martedì 27 gennaio 2015
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Chi studia le immagini sacre è ormai consultato su ogni presunto caso di blasfemia», racconta il domenicano François Boespflug, specialista di fama mondiale della rappresentazione del sacro e autore di saggi penetranti ispirati pure dall’attualità, come La caricatura e il sacro. Islam, ebraismo e cristianesimo a confronto (Vita e Pensiero, 2007). Per lo storico e teologo, il cataclisma terroristico degli ultimi giorni nella sua Parigi dovrebbe interrogarci, oltre che sulla libertà d’espressione, pure su una follia omicida che mostruosamente cerca di nuovo giustificazioni nelle immagini. E proprio ai “monoteismi in immagini” è dedicato l’ultimo libro di Boespflug, scritto con Françoise Bayle ed edito in Francia da Bayard: un’opera che reca in copertina anche una rappresentazione di Maometto tratta dall’iconografia islamica del XV secolo, giustapposta a un mosaico ebraico della Sinagoga di Hammath raffigurante il Tempio (IV secolo) e al Crocifisso di San Damiano ad Assisi (XII secolo). Lo studioso spiega: «Mi disturba che ancor oggi anche persone di cultura pensino davvero che non esistono immagini del Profeta o della fede musulmana. Ce ne sono invece molte. Sarebbe agevole fare un libro d’immagini sulla vita di Maometto, dalla nascita fino alla morte». Ma ciò non significa che la relazione dell’islam con le immagini sia semplice, sottolinea Boespflug: «I musulmani hanno una profonda paura di una sorta di ricaduta nel feticismo pagano. Nelle immagini, non percepiscono tanto un pericolo di significati confusi, quanto un rischio d’idolatria. Temono il potere seduttore delle immagini su un uomo creduto debole».Sullo status generale delle figure che affrontano temi sacri, Boespflug enuncia una sorta di massima: «Maneggiare immagini è appassionante, ma pure delicato, perché esse sono al contempo presenza, emozione, senso e potere». Su questo versante, la strage al settimanale Charlie Hebdo ispira allo studioso un’amara riflessione: «La violenza assassina è l’argomento degli impotenti sul piano culturale, e l’islam ne genererà molta fin quando non verrà riconciliato con l’idea stessa di cultura critica. Le élite musulmane, politiche e religiose, sono poste oggi davanti a particolari responsabilità». In proposito, secondo Boespflug, gli ultimi fatti possono essere pure letti come «un segno eloquente e tragico, da una parte, dello scarso peso degli intellettuali musulmani nell’educazione della sensibilità religiosa delle popolazioni musulmane che vivono in Europa, e d’altra parte del progressivo congedo, a scapito di tutti, della teologia nella riflessione politica e sociale, così come all’interno del dialogo interreligioso, da dove un dibattito esigente sembra assentarsi in punta di piedi». E invece sarebbe necessario e quanto mai utile, insiste lo studioso, convinto che sul versante delle immagini un confronto aperto e sincero fra i monoteismi possa imboccare strade feconde e costruttive. Ma finora, hanno prevalso timori e reticenze, lasciando ancor più campo libero agli estremismi. Lo studioso confessa: «Sogno un rilancio dell’ecumenismo e del dialogo interreligioso anche attraverso le immagini. Dovremmo organizzare incontri in cui scambiare e commentare immagini dei nostri rispettivi culti, un po’ come fanno gli innamorati con le foto di famiglia. Ciò forzerebbe le religioni a non tollerare più la circolazione di dicerie. Sogno un incontro con pensatori e intellettuali islamici pronti a screditare le tesi diffuse da wahhabismo, Fratelli musulmani egiziani e salafismo, come quella sulla non esistenza d’immagini nell’islam». Ogni religione ha una sua relazione particolare con le immagini, ricorda Boespflug: «Nell’ortodossia hanno un ruolo liturgico. Per il cattolicesimo hanno quanto meno uno statuto decorativo, pedagogico e devozionale. Mentre nel mondo ebraico e musulmano, hanno soprattutto il valore di una testimonianza della fede nella storia». Lo studioso sottolinea che la consapevolezza di queste differenze può aiutare pure ciascuna religione a comprendere meglio le proprie specificità: «Gli storici dell’arte, i teologi e i fedeli dei monoteismi dovrebbero collaborare molto di più per nutrire una scienza comune delle immagini. E sarebbe opportuno veder sorgere in una città come Parigi un osservatorio indipendente sulle questioni litigiose legate alle immagini. Beninteso, detesto ogni forma di polizia delle immagini e naturalmente non si tratterebbe di questo. Al contrario, ciò rappresenterebbe uno strumento per allenare la coscienza critica di tutti». Nel suo ultimo libro, lo storico riconosce «uno sforzo guidato dall’ossessione che le religioni si conoscano fra loro e si frequentino. È capitale familiarizzarsi con l’immaginario degli altri».L’esigenza dell’incontro pare a Boespflug insita nella natura stessa delle immagini, che «hanno una capacità federatrice molto più forte dei concetti». Gli esempi non mancano, ricorda: «Viviamo l’inizio della globalizzazione di certe categorie dell’immaginario. Fra queste, mi colpisce la frequenza del tema dell’uomo in croce, come ha mostrato pure la Crocifissione bianca con cui Chagall ha rappresentato le sofferenze del popolo ebraico». A chi considera in queste ore le immagini come un potenziale pericolo, Boespflug ricorda che possono divenire al contrario un potente antidoto ad ogni veleno: «A partire dall’ospitalità nella preghiera che ha permesso l’incontro di Assisi del 1986, possiamo immaginare un’ospitalità iconica. Si tratta di saper accettare le immagini dell’altro con una benevolenza attenta e analitica. Naturalmente, non certo per creare un immaginario transreligioso che rischierebbe di erodere le ricchezze di ciascuna religione». Una migliore conoscenza dell’altro può servire anche a sviluppare un’etica della convivenza, riconoscendo pure il rischio dell’offesa. E su questo fronte, Boespflug si dice «convinto, in piena lucidità, che la vita, sia essa di coppia, di gruppo, di parrocchia, di comunità religiosa, d’impresa, di partito politico ecc. è possibile solo a costo di autocensure consentite, calcolate e amorevoli, quasi quotidiane, il che non impedisce evidentemente di dire regolarmente quello che si pensa e ancora meno di pensare quello che si dice».
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