sabato 5 agosto 2023
Il maestro angloitaliano domani al Bolzano Festival Bozen guida l’European youth union orchestra, 111 musicisti da tutto il continente: «Peccato la Brexit, spero si cambi»
Il direttore d’orchestra Antonio Pappano

Il direttore d’orchestra Antonio Pappano - ©Musacchio & Ianniello

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Lui ti saluta con un «Ciao!». Detto con il suo inconfondibile accento di britannico la cui vita, però, affonda le radici in Italia. Benevento, precisamente. Tu ricambi con un «Buonasera maestro Pappano ». E lui, Antonio Pappano, si sofferma proprio sul titolo che, solitamente si dà a un musicista. «Maestro vuol dire insegnante » dice con un sorriso il direttore d’orchestra (ma anche eccellente pianista), classe 1959 ricordando proprio il significato della parola maestro. «E a me piace tanto esserlo con i giovani. Tanto che da dieci anni ho scelto di trovare uno o due momenti all’anno per fare musica con un’orchestra giovanile». Quest’estate è la volta della Euyo, la European union youth orchestra che domani sera fa tappa al Teatro Comunale di Bolzano per il Bolzano Festival Bozen. Il Concerto per violino e orchestra in re maggiore di Ludwig van Beethoven con Julia Fischer e «l’Also sprach Zarathusra di Richard Strauss, partitura che mi consente di far suonare tutti i 111 ragazzi della Euyo e di dare spazio a tutti gli strumenti più rari che non sempre sono negli organici di sinfonie e concerti ». Molti italiani tra i giovani musicisti che provengono dai ventisette stati dell’Unione europea. «Sono molto orgoglioso di loro – dice Pappano – perché significa che in Italia ci sono molti talenti e una buona scuola che sa coltivarli».

E lei come si trova con questi ragazzi, una sorta di Parlamento europeo musicale, maestro Pappano?

Mi piace lavorare con loro per mantenere un contatto con il futuro, certo, ma anche per il piacere di fare musica con ragazzi curiosi di imparare e per trasmettere alle nuove generazioni un sapere che ho accumulato negli anni. Per spiegare loro, provando una partitura, il perché delle cose, tecnicamente, musicalmente e anche psicologicamente. Mi piace spiegare la musica, come far scaturire un suono, un colore dagli strumenti… cose che di solito non faccio con gli orchestrali di Santa Cecilia o della London symphony orchestra che sono professionisti di lungo corso. E la mia soddisfazione per quello che faccio è cento volte più grande di quella dei ragazzi che imparano qualcosa da me.

Ventisette paesi, tante lingue diverse…

Ma la Euyo ha scelto come lingua comune l’inglese, ormai la lingua per eccellenza che tutti conoscono bene, anche gli italiani che un tempo, mi dispiace dirlo, erano abbastanza carenti in questo.

La musica allora diventa un laboratorio di dialogo?

Certo. Non solo di dialogo, la musica è anche una grande scuola di democrazia. Io parlo bene quattro lingue, mi sento dunque predisposto ad essere aperto alla diversità delle culture. Nella mia professione di direttore sono chiamato a dare unità a tutte le diversità. Ma non è difficile, perché i ragazzi sono ben disposti, hanno capito che la musica è un paradigma della democrazia, una forma d’arte dove non mancano i contrasti, temi opposti da armonizzare, che alla fine riescono sempre a imboccare la strada del dialogo. Nella musica una delle prime caratteristiche, fondamentale per poter suonare insieme, è la capacità di ascolto, quell’ascolto del prossimo che il mondo di oggi sembra aver disimparato. E non serve citare la Russia e l’Ucraina per capirlo, perché oggi se sei mio nemico, mio avversario non ti ascolto, non ascolto le tue ragioni… eppure basterebbe così poco per imparare a dialogare.

Cos’è per lei l’Europa, lei figlio di italiani, nato e cresciuto nell’Inghilterra che ha scelto la Brexit!?

La Brexit è un tragico sbaglio, ma lo sappiamo, gli uomini spesso sbagliano. Però la forza di un uomo è anche nella capacità di ammettere i propri errori. E io spero che la mia Inghilterra ci ripensi. Tanto più che dal prossimo anno, dopo l’addio al londinese Covent Garden, guiderò come direttore principale la London symphony, un’orchestra che dirigo dal 1996, insieme abbiamo esplorato tutto il repertorio sinfonico e abbiamo inciso molte opere. Un’orchestra che viaggia in tutto il mondo ed è un’eccellenza che non può restare chiusa nei nostri confini. Io mi sento europeo. Non serve dire altro.

All’orizzonte la London symphony dopo l’addio, dopo diciotto anni, a Santa Cecilia.

Per me uomo di teatro, italiano nelle mie radici, è stato importantissimo aver avuto la possibilità di lavorare con un’orchestra sinfonica italiana e con musicisti eccellenti come i miei orchestrali di Santa Cecilia. Nel salutarli ho provato tanta tristezza, ma anche tanto orgoglio per tutto quello che abbiamo costruito in questi anni. Ma non è un addio, perché tornerò sul podio del Parco della musica e il prossimo anno sarò con loro al Festival di Pasqua di Salisburgo per La Gioconda di Ponchielli, titolo italianissimo.

Tournée estiva quella della Euyo che fa tappa a Bolzano. Un musicista va in vacanza?

Mia moglie dice che dovrei prendermene di più. Di recente ci siamo concessi un viaggio in Kenya, in vista di un anno molto impegnativo. In realtà a me bastano due giorni di stacco, per far riposare il braccio, e sono pronto a ripartire per una nuova avventura.

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