sabato 16 febbraio 2019
Un volume indaga i rapporti fra Vaticano e Hitler. Non è vero che il pontificato di Pio XII tenne col nazismo rapporti meno chiari rispetto a quello di Pio XI. Erano mutati i tempi e le responsabilità
Papa Pio XII

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Di Pio XII e Shoah si è parlato e scritto tanto. Molte sono state anche le discussioni sulla questione degli archivi che conservano documenti relativi a questo tema: i principali, infatti, e cioè quelli vaticani, sono ancora chiusi, anche se Paolo VI volle nel 1965 la pubblicazione di un gruppo consistente di tali documenti nei volumi degli Actes et documents du Saint Siège relatifs à la Seconde Guerre Mondiale. Quando si apriranno, il dibattito avrà ormai una lunga storia alle spalle e difficilmente si potrà prescindere da convinzioni consolidate nel tempo indipendentemente da tali archivi, compresa quella di un papa filotedesco se non addirittura filo-hitleriano. Negli ultimi anni, è stata rivolta un’attenzione crescente anche al pontificato di Pio XI, spesso in un’ottica di contrapposizione tra i due papi: Pio XII non si sarebbe opposto ad Hitler come fece il suo predecessore. In realtà è difficile confrontare scelte e comportamenti che riguardano due periodi diversi: dall’ascesa del nazismo al potere fino alla guerra, nel primo caso, e gli anni della Seconda guerra mondiale, nel secondo.

La morte di Achille Ratti, infatti, e l’elezione di Eugenio Pacelli si collocano nel 1939, l’anno in cui ha avuto inizio questo immane conflitto. E durante la guerra la posizione della Santa Sede è stata profondamente condizionata dalla divisione del mondo in due campi duramente contrapposti e tutto è diventato funzionale allo scontro militare che avrebbe determinato la vittoria di una delle due. C’è però un elemento per cui si è pensato che un tale confronto fosse possibile su una solida base documentaria. Pacelli, infatti, è stato Segretario di Stato dal 1930 al 1939 e dunque principale collaboratore di Pio XI. I documenti vaticani perciò sono stati attentamente vagliati alla ricerca di divergenze o convergenze tra i due. Ma l’indagine ha deluso queste aspettative. Si tratta soprattutto di carte d’ufficio prodotte mentre tra Pio XI e il suo Segretario di Stato c’era una consuetudine di rapporti quotidiani e diretti che non passavano attraverso testi scritti. Questi documenti, però, sono ricchi di informazioni che riguardano entrambi, più di quanto si sia pensato finora...

C’è però anche un’altra condizione da rispettare: non cercare solo negli archivi vaticani. È infatti necessario avere uno sguardo più ampio per capire ciò che avviene nel microcosmo vaticano. I documenti esaminati in questo volume attestano l’attività collettiva di un gruppo di persone che lavorano insieme per definire, giorno dopo giorno, la posizione della Santa Sede su dossier spesso collegati tra loro ma con provenienze diverse, su temi differenti, riguardanti problemi specifici, di varia natura e dimensione. Il ruolo, le funzioni e le competenze di quanti lavorano in Vaticano sono diverse, il loro carattere e le loro inclinazioni pure, anche le idee differiscono. Ma si tratta, comunque, di un collettivo, al cui interno l’azione di ciascuno è fortemente legata a quella degli altri. Non è possibile, perciò, valutare parole, silenzi o scelte dell’uno a prescindere da quelle degli altri e ciò vale anche per il Papa e il suo Segretario di Stato. E tutti dipendono da situazioni, eventi e decisioni che maturano altrove. Anche il flusso delle informazioni esercita un condizionamento rilevante.

Nel caso del nazismo, si trattava di notizie, spesso incerte e frammentarie, che venivano dalla Germania o da altri paesi europei, inviate non solo dai nunzi ma anche dagli episcopati, da dirigenti dell’associa- zionismo cattolico, da leaders politici cattolici, da intellettuali vicini alla Chiesa, ma anche semplici fedeli e pure non cattolici, in particolare ebrei. Sui tavoli vaticani arrivarono anzitutto questioni che riguardavano direttamente la Chiesa e la sua presenza in Germania, a cominciare dal Zentrum e dal Concordato, tra loro strettamente legati, cui si aggiunsero presto gli attacchi alle associazioni, alle scuole e alla stampa cattoliche. Erano problemi che non potevano essere risolti semplicisticamente, tracciando una linea di demarcazione tra religione e politica, come fecero molti illudendosi che sarebbe bastato per scampare alla tempesta. È dentro questo pesante contesto di aggressioni e difficoltà che la Chiesa si è trovata anche ad affrontare l’arduo compito di formulare un giudizio complessivo sul nazismo e sul suo impatto in Germania e in Europa.

A Roma, come altrove, non fu subito evidente che cosa fosse davvero questo nuovo fenomeno totalitario e dove sarebbe arrivato. Mentre il Partito nazionalsocialista passava da forza di opposizione a guida legittima dello Stato tedesco, all’interno della Santa Sede la riflessione si è sviluppata con lentezza, in modo frammentario e disorganico. La sua novità politica e ideologica è stata gradualmente messa a fuoco interrogandosi sul rapporto tra nazionalsocialismo e fede cattolica, sull’ideologia völkisch, sul neopaganesimo nazista ecc. Emergevano intanto questioni sempre più gravi, che riguardavano solo in parte la dottrina o le istituzioni cattoliche e che sollecitavano risposte di fondo, come la sterilizzazione di affetti da malattie ereditarie e, soprattutto, la persecuzione degli ebrei. È un modo di procedere che occorre aver presente, riportando i diversi atti e i diversi documenti al contesto che li ha generati.

Dentro questo complesso processo decisionale non è possibile isolare la posizione di Pacelli e contrapporla a quella di Pio XI o di altri. A tratti, però, il suo atteggiamento emerge con una relativa chiarezza che permette di distinguerlo da quelli di altri. In Pacelli spiccano anzitutto l’interesse per informazioni aggiornate, solide, chiarificatrici e l’inclinazione a cercarle in tutte le direzioni, senza esclusioni pregiudiziali, anche presso ambienti non cattolici. A tale attitudine si accompagna anche la formulazione di giudizi precisi su persone e situazioni, in grado di resistere nel tempo. Non gli mancò tuttavia anche la capacità di valutare eventi o decisioni alla luce di esperienze successive, maturando riflessioni autocritiche e cambiando atteggiamento. È il caso per esempio del Concordato con il Reich tedesco, verso cui Pacelli non espresse critiche, ma che successivamente considerò un modello da non applicare altrove, per esempio in Portogallo. È illuminante anche la complessità del giudizio storico di cui il Segretario di Stato si mostra capace in diverse circostanze, ad esempio sulla questione dei partiti cattolici, comprendendo – forse più di Pio XI – che in molti casi il cattolicesimo politico non nuoceva agli interessi della Chiesa, come sosteneva la propaganda ostile, ma contribuiva alla sua difesa e a quella delle sue posizioni.

Non c’è stata un’assoluta continuità tra il prima e il dopo l’elezione del 1939. Come è sbagliato pretendere di interpretare il Pacelli diplomatico alla luce del Pacelli papa, sarebbe altrettanto sbagliato fare il contrario. Sono stagioni della sua vita molto diverse – per circostanze storiche, per posizioni ricoperte, per responsabilità rivestita ecc. Ma queste stagioni possono illuminarsi reciprocamente. Come non è vero che ci sia una netta separazione fra l’atteggiamento verso il nazismo di Pio XI e di Pio XII, così non si possono leggere i due pontificati come semplice continuità Sono diversi i periodi storici e le responabilità dei due successori di Pietro Udienza di papa Pio XII agli Angloamer icani (11 giugno 1944). Foto simbolica Liberazione di Roma

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