venerdì 25 settembre 2020
Prima che attore, Carlo Pedersoli fu un fuoriclasse del nuoto. La figlia Cristiana in un libro: «Il suo segreto? Non sentirsi mai migliori degli altri. E in Dio trovava la forza per tutto».
Carlo Pedersoli, in arte Bud Spencer, con i figli Cristiana e Giuseppe

Carlo Pedersoli, in arte Bud Spencer, con i figli Cristiana e Giuseppe - Foto tratta dal libro “Bud. Un gigante per papà” (Giunti)

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Noi che siamo cresciuti con i suoi film ne ricordiamo la stazza inconfondibile e le mangiate colossali. Ma cazzotti e fagioli sarebbero arrivati dopo. Carlo Pedersoli, in arte Bud Spencer, è stato prima di tutto un grande dello sport: nuotatore da record, per quasi dieci anni campione italiano dei 100 stile libero (il primo del nostro Paese a scendere sotto il minuto), ha preso parte a due Olimpiadi (Helsinki ‘52 e Melbourne ’56) ma è stato anche azzurro del Settebello, la nazionale di pallanuoto, con cui ha vinto i Giochi del Mediterraneo del ‘55. Un talento naturale che gli permetteva di cimentarsi e primeggiare anche in altre discipline. Un uomo, un fuoriclasse ma soprattutto un marito e padre dalle tante virtù: è questo il ritratto che viene fuori dal curioso diario della figlia Cristiana Pedersoli: Bud. Un gigante per papà (Giunti). Pittrice e scultrice, la secondogenita di Carlo (papà anche di Giuseppe e Diamante), ha raccolto tanti ricordi coinvolgenti e spassosi, che confermano anche quanto l’attore tenesse alla famiglia e alla fede. Nato a Napoli nel 1929, ma da quando aveva undici anni a Roma, è rimasto sereno e gioviale fino al suo ultimo giorno, il 27 giugno del 2016. «Mi raccomando – diceva – quando non sarò più tra voi non voglio facce tristi, gente vestita di nero... E soprattutto non dite che sono morto perché mangiavo troppo…». Con la stessa ironia aveva creato anche il suo pseudonimo Bud Spencer (in omaggio alla sua birra preferita, la Budweiser, e all’attore Spencer Tracy).
Che cosa vi raccontava della sua carriera sportiva?
Diceva che lo sport gli aveva insegnato i grandi valori: l’amicizia, la lealtà…Ma soprattutto la consapevolezza di “non sentirsi mai migliori degli altri”. Lui si è sempre considerato un dilettante, anche nel cinema. Certo si è tolto tante soddisfazioni nello sport anche dopo il ritiro. Raccontava spesso questo aneddoto: quando non gareggiava più e lavorava come bagnino in un albergo in Sudamerica un giorno arrivò un campione di nuoto venezuelano che si dava molte arie… I suoi amici organizzarono una sfida e il bagnino batté il campione…
Nuoto e Settebello, ma aveva praticato anche altri sport…
Il pugilato. Fece una decina di incontri, tutti finiti per ko dell’avversario. Ma aveva giocato anche a rugby. Era tifoso di calcio, del Napoli, la sua città, ma anche della Lazio visto che aveva cominciato in quella polisportiva. Ci insegnò a nuotare, ma non ci spinse a fare agonismo: diceva che lo sport era cambiato e giravano troppi anabolizzanti.
Lo sport è presente anche in alcuni suoi film, da Bomber a Lo chiamavano Bulldozer.
Chiamavano lui “bomber” quando giocava a pallanuoto perché faceva tante reti. Con Bulldozer fece conoscere il football americano in Italia: in quel film alcune canzoni le scrisse proprio lui e le canta con la sua vera voce. Non ha mai studiato musica eppure ha sempre suonato e cantato, si divertiva molto. Autodidatta anche nelle lingue, ne parlava sei. Ma certo si documentava e leggeva molto, specie nell’ultima parte della sua vita leggeva molto di filosofia e di storia.
Rivedevate con lui i suoi film?
Negli ultimi anni sì, ci raccontava tanti retroscena. Il film che rivedeva di più era …più forte ragazzi!, gli piaceva molto perché c’è stato il suo battesimo al volo. Era una delle sue grandi passioni, aveva anche preso il brevetto di pilota di aerei jet e la licenza per elicotteri. Diceva che stare lassù lo aiutava a ridimensionare pensieri e problemi e a prendere coscienza sia del fatto che tutti siamo piccoli, sia della grandezza di Dio.
L’altra sua grande passione era, manco a dirlo, la cucina…
Ah certo. Pretese che la sua sarta, Ida, fosse anche la cuoca sul set: perché era bravissima e cucinava “in maniera seria” diceva, e lui non ammetteva piatti da copione scadenti. Di fagioli ne ha mangiati tanti, ma anche frittate con quante più uova possibili… Amava mangiare, ma mia madre era preoccupata, gli diceva che doveva mettersi a dieta. E quando gli toglievamo il cibo davanti, lui si innervosiva…
Proprio come nei film…
Sì, perché lui era davvero sé stesso nei film. Soprattutto nei film di Piedone: il commissario Rizzo è proprio papà nella sua umanità, nella difesa dei deboli, nel senso di giustizia e nella napoletanità che per lui è stata sempre molto importante. In quei film non si fece neanche doppiare, è proprio la sua voce originale e per me è ancora più emozionante.
Napoletano era anche il suo motto di vita.
Futtetenne”. Che non significa fregarsene degli altri o del mondo, ma al contrario dar valore ogni giorno solo alle cose importanti, senza arrabbiarsi per motivi futili perché è tempo sprecato. Era convinto che bisogna vivere con leggerezza il dono che ci è stato fatto da Dio. Aveva intitolato Futtetenne una delle sue canzoni, quella che più spesso negli ultimi anni canticchiava e faceva ascoltare a noi e ai nipoti.
A casa lo ascoltavate o “altrimenti si arrabbiava” parafrasando un suo film?
L’avrò visto arrabbiarsi forse solo un paio di volte ma dopo cinque minuti tornava e diceva: “Mi sono stufato di essere arrabbiato… cantiamo!” Oppure: “Giochiamo!”. Era più forte di lui. Prima di metterci a letto ci ripeteva filastrocche napoletane e raccontava barzellette in maniera divina, mimandole e gesticolando. E poi ci portava spesso sul set e in uno di questi a sei anni conobbi Terence Hill quando ancora si chiamava Mario Girotti…
… Che è diventato uno di famiglia in casa vostra.
Si volevano un gran bene con papà. Eppure erano tanto diversi. Terence studiava il copione alla lettera. Mio padre che non si è mai considerato un attore ma un personaggio… entrava sul set e improvvisava molto e lo spiazzava continuamente. Terence era più introverso, papà più goliardico e lo prendeva spesso in giro perché era molto preciso. Ma credo che fossero molto legati per la fede che avevano entrambi. Papà aveva ricevuto una profonda educazione cattolica, anche se poi la viveva in maniera intima.
Suo padre non si preoccupava della morte e già pregustava «gli spaghetti con Gesù Cristo».
Sì, lui diceva: “Dio esiste, il resto ve lo farò sapere dall’Aldilà”. Non ci voleva ovviamente andare presto, ma era curioso di andare a vedere dall’altra parte. Mi ripeteva: “Vedi Cri–Cri, la vita vera verrà dopo”. Credere gli dava la forza per affrontare tutto. “Credere in Dio è ciò che mi salva”.
Non è un mistero invece quanto fosse fiero della solidità del suo matrimonio (con Maria Amato) e dell’unità della sua famiglia.
Mi parlava spesso del suo grande amore per mia madre dell’amore per me e per i miei fratelli: diceva che l’amore per i figli è il più puro che possa esistere, perché è incondizionato, e senza di esso si sarebbe sentito perso. E io lo avverto tuttora. Ricevo poi messaggi giorni e notte dai suoi fans in tutto il mondo che mi riempiono il cuore.
Perché la gente gli vuole ancora così bene?
Credo che papà abbia mantenuto anche da adulto uno spirito bambino. Quell’entusiasmo, quel senso di meraviglia e stupore per ciò che ci circonda. Penso che sia riuscito ad arrivare al cuore bambino che c’è in ognuno di noi. Diceva sempre che una volta a scuola gli chiesero che cosa volesse far da grande. Lui rispose: “Essere felice”. Ma dissero che era andato fuori tema, non aveva capito. Mentre lui era convinto: “No, siete voi che non avete capito il senso della vita”».

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