giovedì 8 giugno 2023
Corrado Gavinelli, prima allievo e poi "erede" della cattedra al Politecnico di Milano, ricorda l'architetto romano a una settimana dalla scomparsa
L'architetto Paolo Portoghesi

L'architetto Paolo Portoghesi - Fotogramma

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La morte dell’architetto Paolo Portoghesi, avvenuta il 30 maggio scorso a Roma nella sua abitazione di Calcata, è stato un evento inatteso e doloroso perché ci ha privato di uno dei protagonisti più singolari e tipici della nostra contemporaneità postmoderna, e di uno tra i più noti storici della architettura ed egregio progettista di questa disciplina del costruire che egli ha saputo studiare nella antichità e nella sua fase moderna nonché attuale con i suoi libri e saggi, ma anche degnamente rappresentare quale architetto attivo estroverso.

Ho avuto la particolare fortuna di essere stato un allievo, e poi collega, e quindi collaboratore universitario e amico, di Paolo, da giovane studente prima, e da insegnante poi, alla Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano, dal 1969 e dopo, per lunghi anni. E ho conosciuto Portoghesi proprio in quel fatidico, e prodigioso, periodo della "rivoluzione culturale" sessantottesca al Politecnico di Milano di cui egli è stato, inizialmente come Professore di Storia della Architettura nominato nel 1967 (incarico che mantenne fino al 1977) e quindi quale Preside della Facoltà di Architettura (dal 1968 al 1976) designato dal Ministero per gestire le difficoltose condizioni sviluppatesi in quella critica fase universitaria che vedeva la scuola occupata dai propri studenti, e che richiedeva grandi cambiamenti istituzionali e anche radicali proposte di innovazione scolastica.

È stato in virtù della particolare situazione umana di Paolo (che tutti coloro che lo hanno conosciuto possono ampiamente testimoniare, al di là delle sue note qualità di storico e professore) che mi sono ritrovato con un collega alla pari e un sincero amico, in tutti i momenti di collaborazione che tra noi sono intercorsi. E che mi fanno, senza retorica o esagerazione, ripetere come egli sia stato per me una persona indimenticata, e indimenticabile. La sua affabilità nel proporsi agli altri, e la sua pacatezza nel parlare, la disponibilità verso il prossimo e la calma accomodante adoperata nella comunicazione e nel lavoro, mi hanno aiutato molto nella formazione da giovane e sostenuto anche nella mia autonoma routine del mio percorso istituzionale.

Voglio però concludere nel ricordo di questo eccezionale personaggio, rammentando due episodi significativi della sua attività di politico e studioso: nel primo caso, la straordinaria ed estrosa vicenda del 1971 con la improvvisata ospitalità, nelle aule della Facoltà di Architettura a Milano, degli sfollati dalle case popolari milanesi rimasti senza tetto, che costituì la opportunità didattica per un Seminario sulla Casa, ma purtroppo anche il pretesto governativo di sgombero poliziesco dell’ateneo, e la conseguente sospensione temporanea di attività e lezioni; una iniziativa che Portoghesi escogitò per attirare la opinione pubblica sul serio problema di una edilizia urbana non soltanto di disciplinarità architettonica esteriore.

Il secondo episodio, di maggiore attinenza rispetto alla composizione architettonica, riguarda la concezione del progetto edilizio quale oggetto espressivo dell’involucro da abitare (casa, edificio pubblico o chiesa), il cui espediente tecnico-estetico più significativo a mio parere risulta la cosiddetta "finestra dialettica", che nella Casa Baldi - costruita a Roma nel 1959-61 con una impronta già tipicamente postmoderna - risalta emblematicamente quale risultato di cesura della collisione tra tradizionali pareti rettilinee e muri concavi, per accogliere moderatamente la luce all'interno e insieme allargarne l'estensione all'esterno. Si tratta della premessa di evoluzione e uscita dalla cultura di rigida formulazione tecnicistica del Movimento Moderno verso una innovativa sintesi contemporanea tra invenzione formale e suggestione storica: fatto che ha costituito non solo la caratteristica speciale di una parte della postmodernità architettonica da Portoghesi, ma anche la sua propria impostazione progettuale. Questo principio ha trovato poi attuazione in tante altre opere e progetti, anche sotto il profilo paesaggistico, in particolare nel suo giardino a Calcata, e territoriale.

La ripresa innovata del passato e la nuova invenzione espressiva della contemporaneità sono due estreme condizioni propositive che si accompagnano a un altro binomio perseguito da Portoghesi nel suo lavoro per la politica sociale e il mestiere di architetto, in cui l’insegnamento e la professione sono stati, insieme allo studio della storia della architettura, gli argomenti di maggiore passione di Paolo, nella vita e nel lavoro: per un senso civile da una parte e una pratica operativa dall’altra. Manifestate indubbiamente per sé, ma anche generosamente rivolte al pieno utilizzo degli altri.

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