martedì 27 febbraio 2024
L'attore e trasformista televisivo porta in scena "Born in the Solvay", monologo in cui racconta la sua infanzia nel villaggio operaio di Rosignano, la "Topolinia" da cui è partita la sua carriera
La locandina dello spettacolo teatrale di Ubaldo Pantani, scritto con Carlo Conti e Paolo Tamburini

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Finalmente Ubaldo Pantani si toglie la maschera e mostra, anche con un accenno di buffa vanità, il suo volto fresco da cinquantenne (classe 1971), già pronto per il prossimo camouflage televisivo. Il trasformista, imitatore e attore, livornese di nascita pisano d’adozione, dopo essere stato uno e centomila personaggi, ora è solo se stesso e sul palco (stasera quello del Teatro Martinitt di Milano) recita a soggetto nel monologo Born in the Solvay. Un “Bruce Springsteen” teatrale in cui la sua Usa diventa Rosignano, dove il giovane Ubaldo è cresciuto con la passione per lo spettacolo d’arte varia. «Il mio debutto è stato a sei anni - ricordava nel precedente incontro con Avvenire - . Il teatro? Era il salotto dei miei. Improvvisai un Enrico Beruschi, asta del casco da parrucchiera a farmi da microfono e per platea tre spettatori non paganti: babbo, mamma e nonna, direi piuttosto divertiti. Con quel primo pubblico poi ho affinato le voci di Enzo Tortora, Mike Bongiorno e Corrado Mantoni. Quando l’ho raccontato a Beruschi mi ha risposto: “Uè... Ce ne fosse uno vivo!”». La gavetta prosegue sempre nella stanza del figlio unico di casa Pantani, provando e riprovando le stesse imitazioni del “maestro”, Gigi Sabani. Reading d’avanguardia («lascito della mia passione viscerale per Freak Antoni e gli Skiantos») durante gli anni dell’Università (laurea in Scienze Politiche a Pisa) e master in teatro con la compagnia del grande Giorgio Albertazzi.

Gianni Boncompagni lo fa debuttare in tv, a "Macao"

Poi, nel 1997, il biglietto di sola andata per il piccolo schermo con prima fermata e lancio su Rai2 nello sperimentalissimo Macao di Gianni Boncompagni. Seguono altre trasmissioni Rai, Conversescion, Nessundorma e vent’anni fa l’inizio di una lunga storia d’amore artistico con la Gialappa’s Band (in Mai dire …) che di fatto non si è mai interrotta: collaborazione proseguita in Quelli che…il calcio (dal 2009, fino alla chiusura avvenuta nel 2021) e tuttora in corso nel GialappaShow , in onda su TV8. E adesso, dopo una domenica sera trascorsa a “lapeggiare”, a fare Lapo Elkann al tavolo di Fabio Fazio in Che tempo che fa (sul Nove), la valigia dell’attore si apre e Pantani indossa gli abiti di scena di Born in the Solvay. One man show da un’ora e mezza, scritto con Carlo Conti («È stato Carlo a spingermi a farlo. Chissà quanto avrei ancora rimandato se non ci fosse stato lui...») e Paolo Tamburini, in cui ripercorre il suo viaggio artistico ed esistenziale.

Dal Villaggio operaio a quello globale dello spettacolo televisivo

«Parto dalle origini e racconto al pubblico quanto per me sia stato determinante crescere in un villaggio operaio come quello della Solvay. Una sorta di “Topolinia”, un villaggio globale antelitteram, costruito attorno allo stabilimento dove lavorava il mio babbo. Un percorso dalla culla alla tomba, ma soprattutto una comfort zone». Confortevole “Macondo” industriale, e formidabili quegli anni trascorsi nel “Villaggio del sale”. «In quel viaggio che compie il sale - estratto dalla società chimica Solvay - verso il mare, dove si trasforma in bicarbonato, c’è un po’ la metafora di tutta la mia vita. I primi incontri, i primi miraggi, come quegli scarti della lavorazione che regalavano l'illusione di un mare caraibico nel bel mezzo delle acque della Toscana». Quei quattro chilometri delle “Spiagge bianche” di Rosignano Marittimo, da sempre meta di bagnanti temerari che fanno parte dell’anedottica dell’attore. Tutto questo è il sale della vita del giovane Ubaldo che a un certo punto finisce nel mare popolato di grandi “pesci popolari”: i suoi personaggi. «E questa è stata la scoperta della mia seconda comfort zone».

Maschere e Personaggi, uno, mai nessuno, semmai centomila

Lapo Elkann, Massimo Giletti, Max Allegri, Gigi Buffon, Paolo Di Canio, Del Debbio, Mario Giordano… e la lista supera ampiamente le cento maschere indossate e altrettante voci rimodulate ad arte, grazie a un mestierato che affonda le sue radici nella grande tradizione avviata dal caposcuola di tutti gli imitatori e trasformisti, Alighiero Noschese. «Tutti incontri importanti, fortunati, che mi hanno permesso di volare, ma al tempo stesso si è innescato il pericolo di rimanere prigioniero del personaggio. Un rischio che devi calcolare se fai questo mestiere. Il personaggio più lo fai e più pretende, a un certo punto ti accorgi di vivere al suo servizio, e se non lo sai gestire, beh quello ti succhia l’anima. Born in the Solvay dimostra che questa mia gestione è riuscita e ora posso permettermi il lusso di affiancare a loro altri personaggi meno popolari, inediti per lo spettacolo, che fanno parte di quel vissuto nella mia prima comfort zone del villaggio operaio». Uno spettacolo in linea con la crescita artistica di Pantani, al quale manca solo il personaggio e il film giusto da interpretare sul grande schermo («Sono l'unico iscritto all'Enpals nato in provincia di Livorno a non avere lavorato con Paolo Virzì. Ci voleva un pratese, Giovanni Veronesi, per farmi debuttare al cinema... Confido nel futuro», ricordava sempre nel precedente incontro) mentre è ormai maturo per il “grande salto” sul piccolo schermo, magari proprio con un one man show televisivo. Materiale di repertorio ne ha in abbondanza, compresi quei politici (Salvini e Renzi in primis) affrontati, tagliati e cuciti addosso all’abito del trasformista, anche, e forse meglio, dello stesso Maurizio Crozza (appartengono alla scuderia di Beppe Caschetto).

Al tavolo di Fabio Fazio con "il mio Lapo" a Che tempo che fa

Ma in questo momento anche Pantani, con Fabio Fazio è sbarcato nell’avveniristica astronave di Discovery Chanel, lì dove da tempo Crozza faceva il marziano solitario. Siamo sul Nove, anzi in quella che il Lapo pantaniano scambia per “Telemontecarlo”. «Beh per il mio Lapo si tratta essenzialmente della “Factory di Fazio”, una bottega italiana alla Andy Warhol in cui incontra “creativi” come lui e artisti di cui ovviamente sbaglia nomi e cognomi, così come fa con i congiuntivi – sorride – Lapo approva? Si diverte da sempre e non si è mai risentito, come la maggior parte dei personaggi che ho fatto in carriera. E poi il mio Lapo ormai è diventato un personaggio di fantasia che ha poca aderenza con il vero Lapo Elkann attuale. A Che tempo che fa mi diverto molto, anche nel non far capire al telespettatore ciò che fa parte del testo autoriale e quello che improvviso ad ogni puntata beh,: il 30% è già scritto, il 70% è frutto di improvvisazione. E poi con i colleghi del ca s t c ’è u n c l i ma f a ntastico. Con Maurizio Ferrini ridiamo spesso durante le pause e per il futuro immaginiamo una puntata apocalittica e scorrettissima in cui la Signora Coriandoli confessa le sue “passioni segrete”» Via trucco e parrucco e di corsa si precipita negli studi della Gialappa’s. «Con Marco Santin, Giorgio Gherarducci e Carlo Taranto, nel tempo si è creata un’alchimia che va oltre il lavoro: sono amici, gente che ha creduto in me fin dagli inizi e che mi ha spronato a dare sempre il meglio. Per loro io ci sono e ci sarò sempre. Ora per il Gialappa’s Show sto preparando un personaggio insospettabile…».

Il futuro? Tanto teatro e poi testimonial di crema per uomo

E altri personaggi sono in lavorazione per un futuro che vedrà Pantani ancora in video, ma anche sempre più in scena: «Voglio continuare a fare teatro. Il sogno? Diventare il testimonial di una crema per uomo… Ma solo chi verrà a vedermi in Born in the Solvay capirà di cosa sto parlando».

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