venerdì 22 giugno 2018
Protagonista sul palcoscenico, l'attrice ha trovato la sua filosofia di vita anche vogando. E ha scoperto il giusto allenamento quotidiano
La Villoresi voga con l'8 con timoniere del Circolo Canottieri Tre Ponti di Roma

La Villoresi voga con l'8 con timoniere del Circolo Canottieri Tre Ponti di Roma

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L'entusiasmo della sedicenne al debutto teatrale «è stato nel 1973 con la commedia Cauteriaria con l’esperienza e la preparazione, anche atletica, dell’attrice che si avvia al traguardo delle nozze d’oro con il mondo dello spettacolo. Pamela Villoresi, splendida sessantenne, per brevità chiamata attrice. La sua valigia è ricolma di foto di scena, dal Piccolo di Milano, voluta da Strehler, fino all’Unione dei Teatri d’Europa, con Jack Lang. Poi ci sono stati i set dei fratelli Taviani, della Grande bellezza da Oscar di Sorrentino, i recital di poesia, le fiction gli sceneggiati tv (ultima: Romanzo famigliare dell’Archibugi). Ancora in scena indossando gli abiti e la maschera della “divina” Eleonora Duse (La musica dell’anima accompagnata al pianoforte dal maestro Marco Scolastra). E ora, questa “donna olimpica” sta per debuttare (lunedì 25 giugno al Teatro Sannazzaro di Napoli) ne La nuotatrice storia vera di sport e di resistenza al femminile, tratta dal testo di Bill Broady. «Prima di parlare della Nuotatrice, mi scusi ma devo fare la mia oretta e mezza di allenamento quotidiano sulla “iole”». Sacca in spalla, appuntamento con le altre «sette ragazze, dell’8 di punta con timoniere del Circolo Canottieri Tre Ponti, il più proletario di Roma». La città che ha adottato questa amazzone pratese, tutta casa, quella dell’arte recitante, e sport. «Il ritorno all’attività sportiva è avvenuto in un giorno di blackout della città. Roma era senza mezzi, e allora ho cominciato a camminare veloce, poi con una corsa leggera dai Parioli sono arrivata fino a casa, in appena un’ora. È stato in quella strana giornata che ho ripreso consapevolezza del mio corpo e della possibilità di rimettermi in gioco».

E il suo “gioco” preferito è stata prima la canoa e poi è diventato il canottaggio. «Ho cominciato dopo la morte di mio marito – nel 1999 –, l’ho fatto per tranquillizzare i miei figli che al mare mi vedevano sparire e riapparire dopo quattro ore di nuotata al largo. Così presi una canoa da legare al costume, andata controcorrente in canoa e ritorno a nuoto. Ma la folgorazione per il canottaggio è stata a Torino, sul Po, dove per la prima volta vidi scivolare via leggere come libellule eleganti queste magnifiche “8”». Da lì l’approdo al Tre Ponti, in cui assieme alle settanta donne tesserate, «età compresa tra i 14 e i 90 anni», si sente parte di uno stesso corpo. Donne unite dallo spirito di squadra: «Sulla barca, dalla garagista alla nobildonna, dobbiamo essere un “respiro in otto”». Quel respiro sano, agonistico, la sta spingendo a interpretare al meglio La nuotatrice. Ma prima del debutto una prova solidale. «Domani c’è l’Onda Rosa organizzata dalla Tevere Remo e il Circolo Canottieri Aniene (coordinamento di Giulia Benigni): è una sfida “sorrellicida” con un centinaio di canottiere romane. In realtà si gareggia insieme per le donne operate di tumore al seno. Molte di loro hanno scoperto la passione per il canottaggio e lo praticano perché le fa stare fa bene». Si voga con il sorriso, soprattutto quando dalle banchine arriva l’urlo anomalo delle nipotine: «Forza nonna!». Sorride la Villoresi, che ricorda con fierezza: «Quando ho cominciato mi sentivo come la papera nel lago dei cigni. Ora, nell’ultimo mese e mezzo il mio “remergometro” ha registrato un calo di 20 secondi... roba che di solito ci impieghi dieci anni per arrivare a un simile risultato. Intendiamoci: resto un diesel, ma sono contenta perché sono migliorata tanto». Tutto ciò è frutto di una preparazione intensa che la ripaga anche dei momenti duri che sulla “iole” non mancano. «A volte quando sei sulla barca e ti stai allenando a mille sei così stanca che pensi: adesso mi butto a fiume. Nel momento di massimo sconforto poi ti arriva il grido sferzante della timoniera: “A morire!”, e “a morire!” te lo ripeti come un mantra. È un monito che con tutta la tigna e l’adrenalina dentro ti guida fino all’arrivo. E in quel momento, il cuore scoppia, ma di felicità, anche se non vinciamo, perché abbiamo battuto il nostro limite e lo abbiamo fatto insieme». Momenti comunque di gloria che, in teatro, ha già raccontato con Il mio Coppi. «Uno spettacolo che facevo pedalando.

Un’ora di spinning in scena dando voce a Maria, la sorella maggiore del “Campionissimo”, la donna che gli teneva la mano mentre moriva... Quando narravo le vittorie di Coppi al Giro d’Italia e al Tour de France, allora acceleravo al massimo la pedalata. Calato il sipario, rientravo in camerino sudata fradicia. Al teatro di Castellania, il paese di Coppi, alla fine dello spettacolo dei ciclisti vennero a congratularsi, soprattutto per i polpacci che avevo messo su». Grazie al canottaggio, il fisico si è perfezionato ancora, «oggi ho una muscolatura che neppure a vent’anni», dice la Villoresi mentre si avvia alle prove di quest’ultima sfida teatrale e sportiva, La nuotatrice. «Quando il regista Gigi De Luca mi ha proposto il testo ho subito accettato. Sono rimasta affascinata dalla storia. Farò una lettura, ma spero di mandare a memoria almeno quei cinque minuti della gara della nuotatrice, in cui da una scala sbraccio da farfallista, proprio come lei». Una farfallista anonima di cui si sa che aveva vinto i Campionati del Commonwealth, ma che alle Olimpiadi venne beffata da due atlete della Ddr e da una russa che la buttarono giù dal podio, solo grazie all’inganno. «La mia nuotatrice racconta il “rovescio della medaglia”, di come il doping e poi l’abuso fisico e mentale – subito dal suo coach e dall’agente che la sfruttava a fini pubblicitari –, l’abbiano fatta affondare, trascinandola negli abissi... Poi però c’è anche l’altra faccia di quella stessa medaglia, ed è il gran bene che genera lo sport. Un bene che sperimento tutti i giorni con la mia squadra e con i miei “voli” solitari in acqua, un elemento naturale che è sinonimo di libertà e di respiro vitale». Quell’acqua che in scena nella Nuotatrice viene magicamente resa dalla musica, il flauto e le percussioni della francese Odile Barlier, mentre i fondali sono riprodotti dalla scenografia scarna ma efficace (plastica trasparente azzurra, una corda e una scaletta) di Trisha Palma, allieva dell’Accademia di Belle Arti di Napoli.
Dopo il Napoli Teatro Festival, la “teatrante olimpica” tornerà ad allenarsi sul suo amato biondo Tevere. «Il mio fiume... Sbaglia chi pensa che il Tevere sia morto, è più vivo che mai. Pochi conoscono quel silenzio che regna qua sotto. Altro che topi, qui c’è una fauna ricchissima, aironi, cormorani, gabbiani, anatre. E poi vuoi mettere il fascino di remare in questo fiume in cui alzi gli occhi al cielo e hai davanti la maestà di Castel Sant’Angelo?». Appena lasciata l’acqua e la vasca della Nuotatrice la Villoresi tornerà anche con i piedi per Terra, titolo del suo prossimo lavoro teatrale: accompagnamento al concerto per pianoforte di Danilo Rea e voce recitante: un inno alla vita.
«Con Terra saremo a Nora (il 14 luglio), in Sardegna. Ovunque vado ormai nei vari circoli canottieri, dall’Olona di Milano al Cus di Catania, dalla canottieri Olbia all’Irno di Salerno, mi conoscono e mi ospitano per allenarmi». Indomita Pamela che tra quindici giorni si tufferà in mare, e sarà lei la nuotatrice. «Farò la traversata dello Stretto di Messina: 3 km e 425 metri, in piscina sono 136 vasche. È la prima volta che affronto lo Stretto a nuoto, un sogno che si avvera grazie a Mauro, il cugino di mia nuora che mi ha coinvolto, e al Circolo 2 Ponti che mi ospita per gli allenamenti. Ma la traversata sullo Stretto non è una gara». Quelle, le gare, le disputa soltanto con il Tre Ponti. «Il bello viene prima della gara, nell’allenarsi e nel viaggiare tutte insieme per le trasferte. Il canottaggio è come il teatro, se non si rema tutti dalla stessa parte la barca si ferma. Ho imparato che il sacrificio dona gioia. L’impegno e l’unione ripagano. Ogni giorno, prima di cominciare l’allenamento tiriamo giù da sole lunghe barche da 180 chili. Non facciamo neanche tanta fatica, perché a darci forza è anche il nostro motto: “Coordinate insieme, sì fa”. Fare rete, vuol dire volersi bene, compatire le reciproche debolezze e avere la possibilità di essere sereni, felici. Questo è il più grande insegnamento che continua a darmi il teatro, e anche lo sport. Due facce di una stessa medaglia, in fondo un’unica scuola di vita».

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