venerdì 12 novembre 2010
Inaugurato il nuovo centro congressi progettato da Albert Wimmer nel 2003. Una costruzione «semplice», che si caratterizza per il tetto, «un panno morbidamente adagiato» che ricorda Le Corbusier
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E' uno dei luoghi più in vista del mondo, e uno dei più "caldi" dato che vi si discute di industria, armi, energia nucleare, traffico di droga e criminalità internazionale: il complesso delle Nazioni Unite a Vienna è considerato lo "hub" della sicurezza globale. Eppure l’architettura che lo ospita non ha mai fatto "rumore", né quando fu inaugurata nel ’79, né ora, che è stata ampliata con un nuovo centro per convegni, illustrato nel volume New Conference Building. Wien/Uno-City (di Albert Wimmer e Doris Rothauer, SpringerWienNewYork, 120 pagine). Né all’origine, né oggi è intervenuto un nome noto dell’architettura e questo, nel proscenio massmediatico dominato dagli archistar e dai loro detrattori (spesso a loro volta affamati di una fama speculare a quella dei primi) è un peccato originale non perdonabile. Chi conosce infatti Johann Staber, che progettò i primi edifici a torre per l’Onu in quella che sarebbe diventata Donaucity (la "città del Danubio" ai margini del centro storico della capitale austriaca) detta anche Uno-city, caratterizzati da una pianta a "x" con facciate concave, specie di materializzazione dell’interstizio tra tre cilindri tra loro tangenti, forse espressione inconscia dello statuto di questa città caratterizzata dalla neutralità e dal suo essere cerniera tra quel che erano l’Est e l’Ovest, nonché il Nord e il Sud, ai tempi della Cortina di ferro? E chi conosce Albert Wimmer, che nel 2003 vinse il concorso internazionale convocato per la realizzazione di un nuovo centro congressi che ampliasse gli spazi disponibili? Sotto le alti torri concave (di circa 120 metri) il nuovo edificio, da poco inaugurato, è basso, convesso (si insinua negli spazi liberi) e sembra acquattarsi per cercare di scomparire: è chiamato "M", ma non è chiaro per che cosa stia quella consonante. Si caratterizza in particolare per la copertura, che è come un panno morbidamente adagiato (ricorda un poco quella della cappella di Ronchamp, di Le Corbusier) che coi suoi bordi stondati sopravanza di molto le pareti verticali - in ciò contravvenendo alla moda di evitare gli sporti, imperante dall’irrompere del "moderno", quasi che la protezione che i tetti da sempre offrono contro la pioggia, la neve e il sole battente si fosse improvvisamente resa inutile, anzi dannosa del profilo esterno delle architetture.«"M building" è un nome semplice - ha scritto Ban Ki-moon, il segretario generale Onu - per un edificio complesso, con sale che ospitano fino a 1500 persone e che ci permette di sostenere la causa della comunità internazionale su diverse questioni di rilevanza globale». In linea con la tendenza al risparmio energetico, con la sua vetrata parietale continua l’edificio è studiato per il riscaldamento passivo grazie alla luce che incide direttamente in inverno quando il sole è basso, mentre gli sporti del tetto la schermano in estate, quando il sole è alto: uno di quegli accorgimenti che un tempo si davano per scontati e oggi, dopo essere stati dimenticati, sono riscoperti grazie alla bioarchitettura.I corridoi vi si allungano attorno al perimetro e sembrano continuare i percorsi esterni entro un clima di chiarore diffuso dalle pareti bianche, ornate da una trama di segni concavi-convessi, mentre all’interno si assommano le aule per riunione le cui pareti sono tutte rivestite in legni di differenti coloriture, così da rendere variato l’ambiente.Il disegno è morbido nell’insieme, raffinato e particolareggiato nel dettaglio talché l’impatto estetico nasce spontaneamente non da un gesto eclatante, ma dalla progressione armonica dell’assieme, sottolineata dalla giustapposizione del colore (per esempio, diverse gradazioni di azzurro rivestono pavimenti, banchi e sedute).Una forma «chiara e semplice» secondo il progettista. Un rendimento energetico elevato, un’acustica ben curata. «Nelle sale troveranno posto persone provenienti da tutto il mondo, con volti di colore differente e abiti diversi. Alla luce della ricchezza e varietà delle culture che la abiteranno, penso che l’architettura debba restare sullo sfondo, non imporsi»: spiega Wimmer, con parole che suonano come un manifesto di estraneità alla logica dell’archistar. Protagoniste infatti dovranno essere le persone, non i muri: quando si parla di disarmo atomico, terrorismo internazionale e traffico di droga, gli argomenti sono troppo importanti per esser disturbati da un chiasso di sottofondo proveniente dall’architettura.
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