mercoledì 1 luglio 2015
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Saranno in duecento, questa sera a Como, a vestire la giubba per Pagliacci. L’opera di Leoncavallo va in scena in una versione “speciale”. Insieme al cast di professionisti (Federica Lombardi, Francesco Anile, Luis Choi) e l’Orchestra 1813, diretti da Carlo Goldstein, sul palco “en plein air” dell’Arena del Teatro Sociale ci saranno come coro anche un paio di centinaia di cittadini comaschi. È la terza tappa di 200.com, progetto di opera partecipata ideato da Barbara Minghetti, vulcanico presidente di AsLiCo, che l’anno scorso ha vinto l’International Opera Award per la categoria Accessibility.Le duecento persone del coro, in gran parte amatori, hanno studiato negli scorsi mesi presso il Teatro Sociale. Ma quest’anno (repliche domani, il 4 e il 5) l’esperimento fa un passo in più. Sotto la guida di Michal Znaniecki, regista polacco di formazione italiana e carriera internazionale, l’opera invaderà la città: tre spettacoli itineranti anticiperanno la messa in scena, con artisti del circo e acrobati che chiameranno e porteranno il pubblico in arena con il “carretto” e la grancassa.«Un progetto così è una sfida» dice Znaniecki, che da anni allestisce spettacoli di matrice sociale. «Ci sono 200 dilettanti che entrano in una produzione professionale, per la quale vendiamo un biglietto. Non è uno spettacolo terapeutico. È un approccio che mira all’inclusione e all’allargamento del pubblico dell’opera. Queste persone arrivano da professioni e ambienti diversi. Si mette in moto un processo di radicamento dell’opera dove di solito non riesce nemmeno ad arrivare. Quando donne e uomini tornano in famiglia, raccontano cos’è l’opera. La città comincia a viverla, ad aspettarla. Gli amici, i vicini verranno a vedere. E l’opera è una trappola: se ci entri sei finito, per sempre…».L’idea registica di Znaniecki, abituato a grandi produzione all’aperto, è allargare la sovrapposizione dei piani di realtà e finzione al cuore di Pagliacci, su grande scala. «Il coro sarà protagonista. A tutti noi capita ogni giorno di mettere e togliere maschere... Nello spettacolo il coro dei 200 entrerà e uscirà dalla parte. Ma è proprio l’opera che consente ai nostri Pierrot di uscire dalla loro normalità e di esprimere la propria creatività e la propria vena di follia. Inoltre non ci sarà un vero palcoscenico ma useremo l’arena sottolineandone la natura urbana: la gente conosce questo spazio come parcheggio... Noi vogliamo rendere magico ogni centimetro di questa superficie ».Znaniecki lavora da tempo su un’idea espansa di messa in scena. «Accanto a una carriera “standard” ho iniziato a esplorare un altro uso dell’opera e del teatro. L’esperienza è nata in Polonia, con progetti in cui l’opera è strumento sociale. Mescolo il mondo professionale con quello dilettante, lavorando soprattutto con gli esclusi, dagli orfani ai carcerati agli anziani negli ospizi». Diffondere questo tipo di approccio, però, è difficile: «Le difficoltà sono molte, a partire da quelle di ordine economico. A Bari tra il 2006 e il 2008 ho lavorato con detenuti e anziani, poi la cosa è tramontata ». Ma c’è anche una difficoltà a uscire dagli schemi soliti: «Serve una struttura mentale nuova della classe politica. Quando propongo questi progetti in Germania e Francia mi dicono che lì fanno già tante cose per i gruppi esclusi. In Norvegia mi hanno detto che i gruppi esclusi non esistono... ma non capiscono che non si tratta di offrire spettacoli gratis ma di far partecipare le persone. La verità è che offrire uno sconto o un biglietto gratis ad anziani soli e bambini in difficoltà ci mette in pace».Attualmente Znaniecki sta lavorando in Ucraina, con i soldati tornati dal Donbac. «Ero al lavoro a Lviv su Re Lear, l’opera mai realizzata di Verdi, con un gruppo di anziani: la vecchiaia e l’abbandono qui sono centrali. La guerra sembrava lontana, quando è giunta la notizia del primo studente della città morto al fronte. Nel progetto giovanile di Verdi la guerra aveva una parte importante. Abbiamo cambiato lo spettacolo. Ci siamo fatti raccontare dagli anziani le loro guerre. Le portano in scena i giovani soldati, insieme a Verdi e Shakespeare. Come in tutti i miei spettacoli, non sanno di parlare di se stessi. Lo scopriranno solo alla sera della prima. È così che le persone ne escono cambiate, naturalmente».A Wroclaw, in Polonia, capitale europea della cultura 2016, il regista sta allestendo The Fairy Queen di Purcell con i rifugiati. «È molto difficile: le persone hanno paura, si ritirano, perché sono senza documenti e temono, apparendo, di essere arrestate. Ma il problema dell’immigrazione e dei rifugiati è il vero tema caldo oggi. Ho in mente un Requiem, in cui raccontare le storie delle migliaia di italiani naufragati cercando di emigrare in America. Ma queste storie saranno raccontate da un senegalese o un eritreo». Chissà, magari proprio a Como, l'anno prossimo.
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