domenica 1 novembre 2009
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Ortolani di tutto il mondo, unitevi. La rivoluzione verde avanza ed è guidata da una donna. Il suo nome è Michelle Obama. Da quando nello scorso marzo ha inaugurato il suo White House Kitchen Garden, un orto coltivato con metodi biologici nel mezzo dei giardini della Casa Bianca, la first lady americana è diventata la bandiera di un movimento globale, quello del «grow your own», il «cresci-da-te». Michelle Obama ha fatto del mangiare sano e sicuro la propria missione, tanto da delineare una vera e propria politica del cibo biologico che ha sollevato le proteste delle lobby dell’industria chimica. Nel suo orto di 330 metri quadrati, ben visibile dall’inferriata che recinta la residenza, crescono oltre 50 tipi diversi di verdure e frutta, destinati alla cucina di Mr. President. «È quanto di meglio abbia fatto nella mia vita. Ed è la prima cosa di cui mi chiedono i capi di stato, i re e le regine in visita», ha detto Michelle. Che si appresta a portare in mondovisione il suo progetto. Il 10 novembre sarà ospite della prima puntata della quarantesima stagione di Sesame Street, una specie di Muppet show trasmesso dalle tv di 120 paesi in tutto il pianeta, e incoraggerà i piccoli telespettatori a piantare e mangiare verdure.Il termine «orti di città» a molti può ricordare solo le aiuole malandate lungo i binari dei treni o le trafficate vie di accesso ai centri urbani. E invece, da Los Angeles a Tokyo, pomodori, zucchine e lattuga stanno soppiantando fiori e piante decorative su terrazzi e balconi, piccoli lotti coltivati si guadagnano spazi nelle periferie cementificate mentre sui tetti dei grattacieli crescono cavoli e lattuga. Secondo la statunitense National Gardening Association, nel 2007 gli americani hanno speso circa un miliardo e 400 milioni di dollari per la coltivazione in proprio, il 25% in più rispetto al 2006. Di là dall’Atlantico, inoltre, è boom del biologico: da cinque milioni di ortolani che non usavano prodotti chimici nel 2004 si è passati ai 12 milioni del 2008. Sempre nel 2008 la Burpee Speed, la più grande aziende Usa di sementi, ha raddoppiato il suo venduto. Nel Regno Unito la spesa in semi nel 2007 è stata di circa 74 milioni di euro, due terzi di quali, secondo la Horticultural Trades Association, per piante commestibili con un aumento del 13% rispetto al 2007, mentre le piante da frutto sono cresciute del 43%. Una ricerca di PlantforLife ha rivelato che il 54% degli inglesi nel 2009 ha optato per il «grow your own» contro il 22% di soli due anni fa. I sudditi hanno ricevuto anche il buon esempio da Sua Maestà, che nel giugno 2009 ha fatto piantare nei giardini di Buckingham Palace una selezione di sementi scelte sono in sintonia con l’ambiente: fagioli rampicanti Blue Queen, il fagiolo nano reale rosso, la lettuga Northern Queen, pomodori Golden Queen, Queen of Hearts e White Queen. Il National Trust, l’organismo che gestisce il patrimonio culturale britannico, nel febbraio scorso ha destinato mille piccoli appezzamenti collocati in dimore storiche, molte delle quali inserite in un contesto urbano. Le richieste sono state centomila.In area anglosassone il fenomeno ha assunto proporzioni di massa. Alcuni analisti hanno attribuito il fenomeno alla crisi, una versione aggiornata dell’orticello di guerra autarchico o degli analoghi victory garden della perfida Albione. C’è però chi sostiene che l’aspetto economico sarebbe secondario al recupero di valori autentici come la famiglia e uno stile di vita salutare. Il rischio che diventi una moda non è però lontano, se è vero che il settimanale francese L’Express nel 2005 ha inserito l’orticultura tra le settanta pratiche del moderno snobismo.Certamente non è snob Will Allen. Ex giocatore di basket negli anni Settanta, si è reinventato una vita da urban farmer , da contadino urbano, e una corazza da paladino dell’agricoltura di città. Quando nel 1993 aprì la sua fattoria, Growing Power, nella periferia nord di Milwaukee, Allen sembrava un pazzo alle prese con un ettaro di terra in mezzo a un deserto di povertà, gang giovanili e fast food. Oggi la sua azienda fornisce cibo biologico a diecimila persone, è diventata un laboratorio di economia sostenibile. In quell’ettaro tra casermoni grigi ci sono serre per frutta e verdura, stalle per capre, aie per tacchini e vasche per il pesce persico in cui lavorano molti ragazzi strappati alla violenza delle strade. La domanda da scuole, ristoranti e mercati supera l’offerta, anche perché parte del cibo rimane a disposizione delle case popolari del quartiere.L’idea di creare orti in città con finalità sociale non è nuova. I primi li inventò l’abbé Jules Lemire, uomo di Chiesa e per 35 anni deputato al parlamento francese. Esponente di un cattolicesimo ispirato alla Rerum novarum, Lemire alla fine dell’Ottocento fondò i jardins ouvriers, gli orti operai, oggi inquadrati nella Fédérations Français des Jardins Familiaux. Lo scopo di questi orti era quello di aiutare le famiglie operaie dal punto di vista materiale e morale: «Il giardino è il mezzo, la famiglia lo scopo», diceva l’abbé. Nel 1904 i jardins nei sobborghi parigini erano 48 su una popolazione di tre milioni e mezzo di abitanti. Nel 1913 erano 1.515, la metà dei quali nella banlieue. Alla fine della Seconda guerra mondiale in tutta la Francia se ne contavano 250 mila.Se in Germania e Olanda gli orti urbani costituiscono cinture verdi attorno alle città, qual è la situazione in Italia? Dopo un paio di decenni a vuoto, nei quali il coltivare un orto era stigma di bassa condizione sociale, dagli anni Ottanta si è assistito a un risveglio che ha subito una impennata nell’ultimo lustro. Secondo la Coldiretti il 37% degli italiani oggi si dedica al giardinaggio e all’orticultura. E se la metà sono over 65, uno su quattro ha tra i 25 e i 34 anni. Diversi i motivi: misura anti-stress, la passione o la gratificazione di poter portare in tavola prodotti coltivati in proprio. Senza dimenticare l’aspetto economico: l’orto casalingo fa risparmiare anche 300 euro. Italiana ha rischiato di essere anche la prima vertical farm al mondo. Progettata dall’Enea a partire da un’idea della Columbia University, sarebbe dovuta essere il simbolo dell’Expo 2015 ma la crisi l’ha cancellata. Skyland, questo il suo nome, è un grattacielo verde in cui ogni piano è una serra. All’interno sarebbe stato possibile coltivare prodotti agricoli biologici per 25 mila persone, distribuiti poi in un centro commerciale al piano terra, secondo la filosofia del chilometro zero. «Dobbiamo coltivare il nostro orto», ripeteva Candide. Poco importa se al ventesimo piano di una torre di vetro.
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