domenica 29 giugno 2025
Standing ovation al 68mo Festival di Spoleto per il debutto del mattatore 91enne in "Prima del Temporale" con la regia di Massimo Popolizio dove racconta se stesso e un'epoca teatrale irripetibile
Umberto Orsini in scena al Festival di Spoleto in "Prima del Temporale" con la regia di Massimo Popolizio

Umberto Orsini in scena al Festival di Spoleto in "Prima del Temporale" con la regia di Massimo Popolizio - © Andrea Veroni

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«Portare la mia età in scena è la scommessa più interessante di questo spettacolo. Quello che qui conta è il corpo dell’attore, il corpo che si manifesta senza infingimenti e senza travestimenti così com’è». E’ un’immagine energica e ricca di vita della vecchiaia quella che porta in scena Umberto Orsini, gigante del teatro che esibisce con fierezza e bellezza le sue 91 primavere mettendosi a nudo nel monologo Prima del Temporale con la regia di Massimo Popolizio. Il mattatore racconta in scena 70 anni di straordinaria carriera fra aneddoti, memorie, sorrisi e ironia, ripercorrendo anche un’era irripetibile del teatro italiano. Una standing ovation finale ha accolto ogni rappresentazione di questo nuovo lavoro al Teatro Caio Melisso in apertura del 68mo Festival dei Due Mondi di Spoleto dove lo spettacolo, prodotto dalla Compagnia Orsini, dà il via a una lunga tournée che lo vedrà anche al Piccolo Teatro di Milano e al Teatro Argentina di Roma.

Tutta l’azione si svolge in un camerino, dove Umberto Orsini sta aspettando di andare in scena nell’ultima rappresentazione de Il temporale di Strindberg. Un’opera cui stava realmente lavorando insieme a Massimo Popolizio prima della pandemia, ma mai andata in scena. Così, dopo l’uscita dell’autobiografia di Orsini Sold Out (Edizioni Laterza, 2019) si è pensato di virare su questo Prima del Temporale che però, chiarisce Orsini incontrando il pubblico a Spoleto, non è una rielaborazione del libro. «Lo spettacolo racconta anche cose marginali della mia vita, non le cose più importanti, neanche i punti più alti della mia carriera, ma anche le cose nascoste, quelle che il pubblico non conosce e che in genere mi chiede» aggiunge. «”Come fa a imparare una parte a memoria?” Mi chiedono. Ed io racconto un metodo particolare molto mio – dice l’attore che vediamo in scena anche imparare le battute di Copenaghen di Michael Frayn mentre gioca a tennis, sua grande passione -. “Ma lei era il fidanzato delle Kessler?” Sì, ma di una» aggiunge fra le risate. Perché questa pièce sa alternare abilmente, grazie alla attenta regia di Popolizio e alla tagliente ironia di Orsini, malinconia e sorriso, contando anche sull’intervento comico di due personaggi giovani (la guardarobiera e un pompiere) che spezzano il ritmo e alleggeriscono il dramma. Mentre le proiezioni di immagini d’epoca, di film e sceneggiati, di copertine di fotoromanzi e di attrici bellissime amate da Orsini (da Rossella Falk a Ellen Kessler, sino alle dive americane anni 50 di cui era infatuato da ragazzino) contestualizzano e donano tocchi di assoluta poesia al lavoro.

Sul tavolo del camerino Orsini trova una busta con dentro un libro: Dove corri, Sammy di Budd Schulberg, un romanzo che aveva letto molte volte da ragazzo e che apre la scatola dei ricordi del giovane partito per la sua grande corsa da Novara a Roma, fra le preoccupazioni della famiglia. Il ragazzo destinato a fare l’avvocato di provincia, la cui carriera partì dalla lettura di un atto notarile: le segretarie dello studio del notaio, rapite dalla sua voce, lo iscrissero a sua insaputa alle selezioni per l’Accademia di arte drammatica di Roma che il ventenne Umberto passò con uno stratagemma che racconta gustosamente in scena.

«Questo è il ritratto di un attore giovane da vecchio – spiega l’artista -. Nello spettacolo ci sono due anime, quella mia attuale e quella mia del ricordo che fatalmente è giovane. Quindi c’è il mio esame all’accademia. Portai L’uomo dal fiore in bocca di Pirandello. Per via dello stress avevo un herpes sul labbro. Toccai il mio momento più fortunato durante la battuta “Lo vede questo tubero violaceo, si chiama epitelioma”: afferrai le labbra e mostrai l’herpes. Fui ammesso senza sapere nulla. Non avevo nessuna vocazione per recitare, mi è venuta più tardi».

Altroché vocazione. Orsini tiene incollati gli spettatori per un’ora e 20 minuti con una naturalezza e una maestria senza pari. «Mi è rimasto di quella faccenda che non sapevo bene il testo a memoria – confessa -. Per questo sono ossessionato dalla memoria: è molto importante, quando uno conosce le battute in realtà può cambiare il personaggio da un momento all’altro. Le parole vanno cavalcate».

Poi si succedono gli incontri con attori e amici come i compagni di Accademia Volonté e Giannini, come i componenti della Compagnia dei Giovani Romolo Valli, Giorgio De Lullo, Rossella Falk. «Debuttai nella Compagnia dei Giovani per sostituire Luca Ronconi: grazie a ciò abbiamo eliminato un attore mediocre come era e abbiamo guadagnato un grande regista» ricorda ridendo Orsini.

«Lo spettacolo in maniera gioiosa e non in maniera triste parla soprattutto di fantasmi, che sono i fantasmi del passato e sono le mie amicizie, le persone che hanno avuto una grande importanza nella mia vita – aggiunge l’attore -. Considerandomi un sopravvissuto, se che, se per miracolo tutte le persone che ho amato si affollassero in questo camerino, sarebbero tutte più giovani di me. Visconti è morto a 70 anni, Ronconi a 81, Romolo Valli a 56, Rossella Falk a 86, Patroni Griffi a 84, Corrado Pani a 71». Già, Corrado Pani, grande amico e coprotagonista dello straordinario sceneggiato Rai I fratelli Karamazov del 1969 con la regia di Sandro Bolchi. Vengono proiettate le immagini di un Orsini biondo platino dalla bellezza conturbante nei panni di Ivan Karamazov, poi l’attore inquadra il proprio primo piano da anziano e interpreta le domande di Dostoevskij su Dio e il perché del dolore dei bambini con un’intensità commovente che è un monito alle straziante attualità di oggi.

E poi si arriva al ricordo della grande stagione del Teatro Eliseo di Roma oggi chiuso. Sulle pareti del camerino appaiono i manifesti di tutti i grandi spettacoli lì portati in scena da Orsini per centinaia e centinaia di repliche, una cosa inimmaginabile oggi. «E’ un momento di nostalgia per il pubblico e anche per me - aggiunge -. Come vorrei tornare in scena in quel teatro dove ho recitato per 60 anni, dove ho fatto più di 40 spettacoli, che ho diretto per 20 anni e dove ho avuto i miei più cari amici li. Non si riaprirà più o, se si riaprirà, sarà diverso».

Ma questo spettacolo godibilissimo è pensato anche per i giovani, che possono avere una lezione di grande recitazione. «Non a caso in scena abbiamo voluto un’attrice di 22 anni nei panni della guardarobiera appassionata di teatro – conclude -. Perché ci sono di giovani a cui piace il teatro. Alla prima di Spoleto è venuto a salutarmi un ragazzo di 18 anni che mi ha commosso. “Ma il teatro è sempre cosi? “ mi ha chiesto. Gli ho risposto: “Sei capitato in una serata fortunata. Ricordatela”».

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