Con il terzo "Knives Out" il cinema riflette sulla fede

Il terzo film di Rian Johnson affronta fede e colpa senza cinismo, tramutando il giallo in una riflessione sorprendente sul cristianesimo contemporaneo
December 23, 2025
Con il terzo "Knives Out" il cinema riflette sulla fede
Una scena del film “Wake Up Dead Man: A Knives Out Mystery”, disponibile su Netflix / lmkmedia.com
Il terzo film della serie Knives Out, intitolato Wale Up Dead Man (letteralmente: Svegliati, uomo morto), uscito brevemente nelle sale in Usa e disponibile nel mondo su Netflix a partire dal 12 dicembre, ha avuto un’accoglienza molto calorosa: è considerato quasi unanimemente il miglior film dei tre, sia per la storia, che per la messa in scena e la recitazione (per es. c’è un superlativo Josh O’Connor, giovane attore inglese ormai affermato con titoli come The Crown, Challengers e l’italiano La chimera). Da un punto di vista tematico è senz’altro un film profondo e che mira in alto, ed è una boccata d’ossigeno dopo un’annata 2025 che ci è sembrata particolarmente avara di film che non fossero “usa e getta”.
Ha fatto ovviamente discutere il fatto che il film prenda di petto temi come la fede, e soprattutto il ruolo del sacerdote (e in generale del cristiano) nell’affrontare i mali del mondo, e in che cosa consista la “battaglia” della coerenza cristiana di cui parlava san Paolo nelle sue lettere.
Brevemente, la trama: Josh O’Connor interpreta father Jud, un sacerdote giovane che viene inviato in una parrocchia di campagna, dove c’è un prete anziano molto combattivo e inacidito, Monsignor Jefferson Wicks, che lancia strali contro i mali del mondo, e che raduna un ormai piccolo gregge inneggiando alla battaglia contro il demonio. Questo Wicks non è sicuramente uno stinco di santo: una serie di gravi difetti, fra cui una smodata passione per l’alcool e una condotta sessuale non sotto controllo, lo caratterizzano come un pastore molto discutibile. Wicks viene trovato morto in un modo inspiegabile e i sospetti cadono subito su fr. Jud, con cui aveva avuto un duro ed esplicito scontro poco tempo prima. Jud, fra l’altro, è un ex pugile e ancora sente il rimorso per aver ucciso un altro pugile sul ring, soprattutto perché mentre combatteva sentiva odio dentro di sé.
La morte di Wicks è solo la prima di una serie di altre morti… Ma  il detective Benoit Blanc (Daniel Craig) è l’unico a non credere alla colpevolezza di don Jud, nonostante molti indizi suggeriscano questa ipotesi, perché comunque le cose non gli tornano…
A un cattolico o comunque a una persona credente, alcune cose del film potrebbero a prima vista dare un po’ di fastidio: la figura di mons. Wicks è davvero negativa e caricata in modo molto forte, e -se vogliamo- anche un po’ banale e massimalista. Si accusa in confessione di frequenti masturbazioni, ma poi si scopre che ha un problema fisico che le renderebbe impossibili, quindi forse parlava solo per scandalizzare il giovane Jud;  è alla ricerca di soldi e comanda a bacchetta un’anziana donna che lo aiuta in parrocchia, ecc. Espressione di una religiosità che vede nemici ovunque, di una visione del “noi contro loro” che non è solo ideologica, ma anche incarnata in una personalità violenta e ben poco incline all’autocontrollo. Nel film ci sono poi alcuni dettagli -nei dialoghi, nelle azioni- che sono poco credibili e poco curati, come confessioni sacramentali che finiscono senza assoluzioni, incongruenze liturgiche (per es. non si capisce se Jud è ancora diacono o già ordinato sacerdote), ecc.
Ma la figura di fr. Jud è talmente positiva e profonda che fa mettere in secondo piano questi limiti: è un sacerdote (o comunque un chierico) che invece ha chiaro che la sua funzione è quella di servire e accogliere tutti, pastore di una chiesa che non è fatta per combattere i nemici, ma per amare le sue pecore e comprendere i loro difetti (il cast dei personaggi di contorno è composto in effetti da persone che hanno ferite, vizi, debolezze evidenti). Don Jud ha un sincero orientamento alla preghiera, una vera e profonda umiltà, un vero desiderio di servire le persone della parrocchia… E’ quindi lui che risplende, come personaggio, e che alla fine del film rimane nella memoria.
E in un finale forte e commovente, che non sveliamo, tanto il non credente detective Blanc, quanto il colpevole, valorizzano la confessione sacramentale finalmente per quello che è: un vero atto di pentimento, cioè di richiesta a Dio, sincera, di perdono. 
Un film profondo, quindi, che ha il coraggio di scandagliare temi non banali, che sono forse di particolare attualità oggi soprattutto in Usa e nella Chiesa cattolica di quel Paese (la divisione netta fra una Chiesa che combatte e una Chiesa che accoglie). Ovviamente il regista, per amor di narrazione, ne ha fatto due incarnazioni un po’ estreme in mons. Wicks e fr. Jud, ma la questione è sicuramente sentita e calda.
Rian Johnson, sceneggiatore e regista di tutti e tre i film di Knives Out, quindi caso abbastanza raro nell’industria americana di Autore con la a maiuscola di un film mainstream a grande budget (quasi sempre in Usa la responsabilità autoriale per i grandi film è suddivisa fra produttore, sceneggiatore, regista, che quasi mai coincidono in un’unica persona) si dichiara attualmente non credente o almeno non praticante, ma è cresciuto in un ambiente molto religioso, di confessione protestante. Ma ha anche dichiarato in una recente intervista al National Catholic Reporter, di aver avuto lunghe conversazioni con uno zio cattolico a cui è molto legato, e di aver avuto una lunga cena con il parroco di suo zio e altri cinque giovani sacerdoti di Denver che hanno raccontato della loro vita, il che fra l’altro ha ispirato una delle scene cruciali del film.
Insomma, un film non perfetto, che forse potrà infastidire qualcuno per qualche snodo o qualche dettaglio, ma che  è sicuramente un gradino più su di tanta altra produzione contemporanea.

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