venerdì 13 luglio 2012
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​Sembra ieri, e invece no. L’anno è il 1993, l’antiberlusconiano Giorgio Bocca pubblica ancora per Mondadori, la quale a sua volta è già di proprietà del Cavaliere. Come prevedibile, il libro del «Provinciale», intitolato Metropolis e sottotitolato Milano nella tempesta italiana è uno dei best seller del momento. La circostanza non imbarazza Giovanni Raboni, che dalle colonne del «Corriere della Sera» ragiona di quanta storia occorra per dare corpo a un romanzo storico (Stendhal non era contemporaneo dei fatti narrati nella Certosa di Parma, così come Tolstoj non fu testimone oculare delle battaglie descritte in Guerra e pace) e si lascia andare a una considerazione abbastanza singolare: «Con questo non voglio dire che tra venti o trent’anni avremo sicuramente dei bei romanzi su Tangentopoli – scrive  –; dico solo che sarebbe strano se li avessimo prima».Almeno vent’anni sono passati e non c’è troppo da stupirsi nel constatare che, negli ultimi mesi, diversi «romanzi su Tangentopoli» sono apparsi in libreria. Il loro compito, come prevedeva Raboni, non è affatto semplice, per tutta una serie di motivi. Il primo è che, dal 1992 a oggi, gli esperimenti romanzeschi sull’argomento non sono mancati. Straordinariamente precoci, come Arcodamore di Andrea De Carlo, dove la Milano di Mani Pulite si limita a fare da sfondo, oppure In tempo per il cielo di Gabriele Romagnoli (1995), nel quale affiora in modo emblematico la vicenda di Gabriele Cagliari e della sua vedova. Qualche anno più tardi, nel 1999, sarà Franco Cordelli a tentare con Un inchino a terra una ricognizione all’interno del partito-simbolo di quella controversa epopea, il Psi di Bettino Craxi, ma l’impresa si rivelerà ancora più complessa del previsto. Anche perché – e con questo siamo all’altro, sostanziale motivo di sfasatura fra cronaca e resoconto romanzesco – Tangentopoli ha rappresentato per l’Italia ciò che il Vietnam rappresentò per gli Usa: un ininterrotto racconto in diretta, nutrito dalle riprese televisive e sostenuto dall’incalzare degli scatti fotografici, abbondantemente riversato in saggi, reportage e instant-book. Con l’aggravio di una sensazione di non-finito, di transazione incompiuta, di rivoluzione – se non tradita – perlomeno interrotta.Comprensibile, in un simile contesto, che i romanzieri abbiano voluto prendersi il loro tempo per rispondere a una domanda niente affatto irrilevante: come raccontare qualcosa che è già stato tanto raccontato? Adeguandosi ai riflessi condizionati della memoria collettiva e provando intanto a influenzarli con gli strumenti della metafora, sembrerebbe rispondere Franz Krauspenhaar, scrittore non conciliato e non conciliante che per il suo Le monetine del Raphäel (Gaffi, pagine 224, euro 17,00) prende le mosse da uno degli episodi culminanti dell’epoca. Roma, 30 aprile 1993, Craxi che esce dall’albergo dove abitualmente risiede e viene accolto da una pioggia di spiccioli e insulti: contro la quinta di questa disfatta il pittore Fabio Bucchi – seguace della crudeltà di Francis Bacon e giunto al successo grazie alle entrature socialiste – rilegge la sua intera esistenza, dominata da ossessioni erotiche simili a quelle del Pasolini di Salò o le 120 giornate di Sodoma. Una lettura non per tutti, che restituisce però frammenti non convenzionali della cosiddetta Prima Repubblica, secondo un procedimento già sperimentato altrove dall’autore.Se la Tangentopoli di Krausepnhaar risulta programmaticamente sgradevole per il senso di dissoluzione che la pervade, in Era solo una promessa (Laurana, pagine 438, euro 18,00) Fausto Vitaliano ricorre alla classica struttura del romanzo di formazione per presentarci le inquietudini e i sussulti di Alessandro, un fotografo che si ritrova trentenne sul crinale fatidico del ’92. Inserito suo malgrado nella Milano scintillante che sta andando in pezzi sotto l’assalto della magistratura, ha occasione di comprendere a fondo i meccanismi del «sistema» durante un lungo soggiorno nell’appartata villa dei Neyroz, industriali agiati quanto misteriosi. L’erede della casata, l’ambizioso Giulio, cerca di piegare gli avvenimenti a proprio favore, ma le forze in campo sono troppo potenti, impossibile domarle senza esserne travolti. Esordiente come narratore, ma ben conosciuto per la sua attività di sceneggiatore nella factory italiana della Disney, Vitaliano mescola riflessione sociale e indagine dei sentimenti, concedendosi un’incursione nella (metaforica, anche qui) letteratura di fantasmi.Del resto, un altro dei romanzi che di recente si sono soffermati sull’irrisolta eredità di Mani Pulite non ha esitato ad abbracciare in tutto e per tutto le suggestioni del gotico. Si tratta, di nuovo, di un’opera prima, Le sorelle Soffici di Pierpaolo Vettori (Elliot, pagine 192, euro 16,00), nelle cui pagine corruzione e catastrofe sono evocate attraverso il richiamo ai capolavori di Polidori, di Mary Shelley e dello stesso Kafka. La voce narrante è quella della giovane Veronica e non è detto che la sorella di cui la ragazza si prende tanta cura, la sfuggente Cecilia, non sia a sua volta la proiezione di una mente sovreccitata. Tangentopoli è sempre là fuori, da qualche parte. L’importante è che gli scrittori non l’abbiano dimenticata e che adesso, finalmente, si decidano a esplorarla.
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