venerdì 16 luglio 2010
COMMENTA E CONDIVIDI
Per salvare il calcio in crisi scendono in campo direttamente i tifosi. Esasperati da retrocessioni e fallimenti, stanchi di vedersi rompere il giocattolo dal presidente senza scrupoli di turno, hanno deciso di metterci faccia, cuore e soprattutto soldi. È il fenomeno dell’estate calcistica post Mondiale: un po’ ovunque sorgono gruppi di azionariato popolare per salvare il club della propria città. Succede a Mantova, Livorno, Cava dei Tirreni, e da tempo un’iniziativa simile era stata lanciata a Roma, sponda giallorossa. I primi a pensarci sono stati però i veneziani, sfiniti da due fallimenti in quattro anni che hanno fatto sprofondare la squadra in serie D. Proprio per scongiurare ulteriori disastri è nato “Venezia United”. Duplice l’obiettivo: raccogliere fondi per il club e riaccendere una passione popolare ridotta ai minimi termini da anni di amarezze. A giudicare dai numeri, la strada è quella giusta. «Finora abbiamo raccolto duecento adesioni, ma i moduli distribuiti sono circa settecento - spiega Franco Bacciolo, uno dei promotori dell’iniziativa -. L’obiettivo è mettere insieme almeno 300 mila euro da destinare all’aumento di capitale della società». In cambio, i tifosi avranno un loro rappresentante nel consiglio d’amministrazione. «L’idea di fondo è quella di avere voce in capitolo e allargare la base partecipativa, per evitare di avere un uomo solo al comando. Contiamo di coinvolgere anche le piccole aziende e in prospettiva anche quelle più grandi. Ma la vera protagonista sarà la società civile: tra i nostri soci ci sono giudici, assessori e persino il vicesindaco». Una vera rivoluzione per il mondo del pallone, da sempre legato al modello autoritario del presidente-padrone che fa e disfa a seconda dell’umore e del portafoglio. «Non vogliamo più finire nelle mani di avventurieri come accaduto in passato», avvisa Bacciolo. Decisivo si è rivelato il sostegno ricevuto da Supporters Direct, un’associazione fondata dal governo inglese che favorisce la partecipazione popolare nella proprietà e nella vita dei club. «A differenza dell’Italia, in Inghilterra e in Europa ci sono molti esempi», sottolinea Bacciolo. Il più... ruspante è quello dei tifosi dell’Union Berlino, che nel 2008 decisero di ristrutturare con le loro mani il vecchissimo stadio, portando la capienza da 22 mila a 30 mila posti. In duemila al sabato erano sugli spalti a tifare, la domenica tornavano con carriola e cazzuola. Se la squadra è patrimonio di tutti, in fondo è giusto che tutti se ne prendano carico. È questo il concetto che segna la svolta e che anche a Mantova hanno afferrato al volo. Dopo il fallimento nell’anno del centenario e l’uscita di scena del presidente Fabrizio Lori, il titolo sportivo è finito nelle mani del Comune, che l’ha assegnato al nuovo patron Bruno Bompieri. Ad affiancarlo ci sarà il “Mantova United”, l’associazione di tifosi che si farà carico del settore giovanile. Già 350 le adesioni, si potrà versare una quota da 100 euro in su. Anche in questo caso, il popolo avrà un seggio nella stanza dei bottoni. Gli esempi spuntano un po’ in tutta Italia: a Cava dei Tirreni i tifosi hanno dato vita a "Sogno Cavese", raccogliendo quasi 200 mila euro per aiutare la squadra ad iscriversi al campionato. Ci stanno pensando anche a Livorno e Roma, dove l’associazione MyRoma ha già acquistato a titolo simbolico 1.000 azioni del club giallorosso, in attesa di sapere chi sarà il nuovo proprietario. Prima dell’avvento di Antonio Percassi, persino a Bergamo avevano accarezzato l’idea. L’azionariato popolare è visto come l’unica via possibile anche nel basket: i tifosi bolognesi della Fortitudo si sono uniti nell’associazione “Per amore, solo per amore”, nome che la dice lunga sullo spirito con cui sono stati raccolti finora più di 270 mila euro. La somma dovrà servire a tenere in vita il blasonato club, travolto dalle difficoltà economiche: la crisi è andata anche a canestro. Il modello ideale di riferimento, è quello del Barcellona, dove i proprietari sono gli stessi tifosi. In Italia non c’è nemmeno bisogno di arrivare a tanto: ci si accontenterebbe di molto meno, ovvero sedersi accanto a colui che regge il timone. Per tenerlo d’occhio e impedirgli manovre che portino al naufragio.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: