mercoledì 1 agosto 2012
​Dopo la pistola e l'arco arriva anche l'argento dalla carabina 10 metri. Colpo vincente dell'ingegnere che si mantiene negli Usa con una borsa di studio.
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Niccolò spara e centra l’argento. Bang, bang. Colpito, perfetto, quasi. Non è il luna park, non c’è il pesciolino rosso in regalo. Ferma il cuore Niccolò, perché altrimenti non vinci. Cinquantacinque battiti al minuto, chi si muove è perduto. E lui non si muove, sbaglia un niente: due millimetri che fanno la differenza. Crudele, mortale, bello lo stesso. Bang, bang. Campriani chi? Carabina da dieci metri, roba da cecchini, scarsamente frequentata. Ma i Giochi fanno anche questo. Inventano, modellano storie straordinarie di straordinari sconosciuti.

 

Niccolò, 25 anni da non crederci, ingegnere, testa piena di cose. Infatti in fuga. Imbraccia, mira, spara: dieci colpi singoli, stando in piedi, il bersaglio sembra uno spillo. Anzi lo è. Mezzo millimetro per la gloria, per dimenticare che per arrivare a colpirlo oggi, all’Olimpiade, hai dovuto andar via. Bang, bang, Niccolò. La sfida è a due. Lui e il rumeno Moldoveanu, un Dracula moderno, con la carabina al posto dei denti. Parte male Campriani: in testa dopo le eliminatorie, solo terzo dopo il primo tiro. Impossibile capire per i non addetti. Ma c’è la gigantografia del bersaglio sul maxischermo, cerchi concentrici, punteggi di precisione. Niccolò fa 9,7 all’inizio, il massimo è 11, perfezione assoluta quasi irraggiungibile. Poi 10,2, fino a 10,8. Rimonta, scavalca Dracula, torna primo. C’è l’oro che lo aspetta, risarcimento per Pechino, quattro anni fa, quando un errore alla fine lo fece scendere dal podio. Invece arriva quello che non doveva arrivare, solo un 9,4 al penultimo tiro. Decisivo, fatale. «Avrei potuto farmi prendere dalla tensione all’inizio – spiega lui – perché in una finale del genere ce la facciamo tutti sotto. Ma per fortuna mi sono rimesso in carreggiata, ho fermato i battiti del cuore e andando in apnea al momento giusto ho cominciato a sparare bene. Se poi ho trovato qualcuno che lo ha fatto meglio di me, pazienza. Moldoveanu, poi, è un bravo ragazzo, sono felice per lui. L’importante è non avere rimpianti, ed io sono secondo in una finale olimpica da cui sono rimasti fuori dalla finale fenomeni come il cinese Zhu, il vero favorito». Spara e scappa. L’Italia non è un Paese per giovani. Campriani l’ha capito qualche anno fa. La carabina come una scuola di vita, ma per viverla è andato in Usa, Università di West Virginia. Una proposta che avrebbe stecchito molti: tu spara bene, gareggia e vinci per noi nei campionati americani, studia e prendi bei voti e noi paghiamo. Bang, bang. Colpito. Gli hanno offerto una borsa di studio, Niccolò si è laureato in fretta: ingegneria manageriale. Ed è diventato campione del mondo l’anno scorso con il fucile in mano. In nome dell’Italia, certo. Ma con i pantaloni a stelle e strisce. Così da un vile capannone di plastica piazzato in mezzo alla gloriosa Royal Artillery Barracks, spunta il fucile di un ragazzo al bivio. Metà highlander, con la visiera e i paraocchi laterali. Metà palafreniere, con quella tuta rigida che, dicono, serve a ingessarti i movimenti. Spalle al bersaglio prima di iniziare, rituale misterioso, estraniazione totale. La carabina sembra una fionda moderna, legno e metallo, mirino e silenzio. Bang, bang. Strana gente, strano sport, ancora più strani quelli che vanno a vederlo. Ma chi spara lo fa con la testa. Concentrazione totale, occhio di falco, statue di cera dietro al mirino. Un bersaglio, sempre quello. Cento, mille colpi al giorno: si può diventare pazzi. O almeno chiedersi perché continuare a farlo. Niccolò ad un certo punto ci ha pensato. Ha chiesto aiuto a uno psicologo, Edward Etzel, che gli ha dato i consigli giusti. Ancora più preziosi perché Etzel era anche lui un tiratore, e di alto livello, visto che vinse l’oro a Los Angeles 1984. Grazie a lui, Niccolò ha ammortizzato i contraccolpi della delusione di Pechino, si è convito che il tiro è uno sport meraviglioso. «Basterebbe conoscerlo – dice – e capire quanto è affascinante. Sarebbe bello che la mia medaglia servisse a tanti ragazzi per avvicinarsi ad un poligono. Se poi non piace, pazienza. Ma nella vita bisogna provare. Io l’ho fatto e sono rimasto folgorato. Concentrazione, coraggio, consapevolezza di sé: doti che ho imparato con la carabina in mano». Fuori lo aspetta la fidanzata, Petra. Di cognome fa Zublasing, è una delle due donne della squadra azzurra di tiro. Ingegnere lei pure, si sono conosciuti sparando, sono andati a vivere e a studiare insieme alla West Virginia. Stessa storia, stesse facce da bravi ragazzi. «Lei – dice Niccolò – è una grande, la vittoria più bella in questo quadriennio olimpico. Da tiratrice sa benissimo cosa vivevo, ma mi conosce profondamente, mi ha confortato e da quando ci conosciamo non ho mai mancato un podio. Lo devo a lei». Italiani puliti, cervelli fini, belle persone da riportare a casa in fretta. Campriani è d’argento, e va bene anche così, «perché la medaglia è bella, certo, ma io ero in gara con me stesso. E ho vinto comunque». Ma non è finita qui: in realtà la sua vera gara deve ancora arrivare. La specialità si chiama carabina a tre posizioni: si spara da 50 metri, stando a terra, inginocchiati e in piedi. I veri duri aspettano quella gara, la data da segnare è il 4 agosto. Ci riproverà. Niccolò Campriani. Ora sappiamo chi è, peccato non averlo scoperto prima. Bang, bang.

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