L’icona dell'Ascensione di Andrej Rublëv. Mosca, Galleria Tret’jakov - Ansa
Pubblichiamo un estratto dal libro di Pierangelo Sequeri Il grembo di Dio, quinto volume del Dizionario dinamico di ontologia trinitaria (Città Nuova, pagine 320, euro 23,00). L’opera è introdotta da Piero Coda e contiene un saggio di Kurt Appel. La tesi svolta dal sacerdote, teologo, musicologo e musicista milanese, classe 1944, è la contemplazione dell’ascensione in Cielo di Gesù: il fatto che nell’intimità trinitaria di Dio è insediato a pieno titolo – per sempre e quindi da sempre – un essere umano. Nessuna creatura abiterà mai questo spazio e questo tempo assoluto nel modo singolare in cui lo abita il Figlio. Eppure, questo insediamento, apre la certezza di una ospitalità inimmaginabile del grembo di Dio per tutte le creature.
Possiamo continuare a pensare come se il sasso fosse un ordine di referenza del concetto di essere veramente reale, non bisognoso di alcuna dimostrazione, mentre Dio è un pensiero della nostra mente sulla cui realtà dobbiamo faticosamente arrancare, per farlo uscire dalla sua pura condizione mentale? Nel magmatico sommovimento dell’odierna fisica e dell’odierna cosmologia, d’altra parte, persino la materia e l’universo non sono più quelli di una volta. L’effettività dell’essere materiale non è meno enigmatica di quella dell’essere spirituale. La chora ritorna ad essere pensata come grembo dei possibili che se ne separano, la physis come affetto della generazione che li unisce. I loro significati elementari ritornano al vertice della catena semantica che le ha indirizzate – o deviate – verso costrutti più limitati e, presuntivamente, più governabili dalla nostra volontà di potenza (o dal nostro delirio di onnipotenza).
La parola biblica chiama in causa l’arché di un’affezione creatrice, grembo eterno il cui sigillo irrevocabile appare infine come corpo del Signore. L’ontologia trinitaria e l’affezione creatrice chiedono di essere esplorate pensando fino in fondo il corpo del Signore con la libera disposizione dell’interiorità e dell’esteriorità di Dio. E il compito deve essere svolto prendendo sul serio il mistero dell’ascensione del Signore.
Quello odierno, per me, è il kairos favorevole al regolamento di conti che si rende necessario, per la fede e per il pensiero, nell’odierna fase – teologica, ma anche culturale – dell’annuncio cristiano. L’invisibile e affidabile Iddio della creazione vuole essere amato, non subìto. E l’incanto della creatura che se ne commuove, restituendo amore al fratello e alla sorella che vede, è per Lui irresistibile. La formula che riassume l’atto creatore nel far emergere l’universo dal “nulla”, ha un significato formale intelligibile, ma si carica facilmente di un senso “nichilistico”: certo non inteso e non voluto, ma facilitato da una recezione semplicistica.
L’eccitante immagine di un potere che “produce” un’esistenza preceduta dal nulla e seguita dal nulla, finisce per oscurare totalmente l’amore che “genera” eternamente il principio relazionale della vita con l’altro, nell’orizzonte di un amore che non ritorna semplicemente su sé stesso. Questa rivelazione non ha ancora irradiato tutta la sua profondità nell’ambito dei suoi potenziali ontologici. Ora che la metafisica del principio autoreferenziale, che ha offerto sostegno alla purezza del monoteismo biblico, ha assolto il suo compito, viene il tempo di mettere mano alla parte mancante. Il principio di autoreferenzialità, che rimuove la generazione e oscura la relazione, è entrato nel cono d’ombra della sua crisi. La pubblicità commerciale e la narrazione tecnica, stressano il linguaggio dell’autoreferenzialità del godimento e della potenza con una ossessione che, già di per sé stessa, tradisce la coscienza della sua deriva nichilistica.
Un bicchiere d’acqua che genera compassionevole prossimità (materiale) può procurare un ingresso nel grembo della vita di Dio che mille elevati pensieri di devota presunzione (spirituale) rendono inaccessibile. Il corpo del Signore, insediato per sempre nell’intimità di Dio rende irrevocabile il pensiero e l’evento della comunità di origine e di destino che Dio inaugura con il mondo umano “fin da prima della creazione del mondo”.
La trinità beata del Padre, del Figlio e dello Spirito santo può e deve essere pensata così: la comunità di origine e di destino in cui è preparato un “posto” e inaugurato un “tempo” segnato dal ritorno del Signore, primogenito di molti fratelli e sorelle. Dunque, anche la troppo rapida liquidazione della figura spazio-temporale di ciò che significa propriamente “vita eterna” dal punto di vista di Dio, andrà sottoposta a più coerente rettifica, dal punto di vista della differenza escatologica. Iscritti nell’intimità beata e protettiva di Dio, rimarremo umani. Perché così siamo creati da Dio, così siamo salvati da Dio.
E solo così saremo nella condizione di rimanere noi stessi. Ossia di essere “viventi”, e non semplicemente “eterni”, nel grembo di Dio. Il libro che affido alla benevolenza del lettore, cerca di tessere i fili di questo ripensamento delle implicazioni della differenza trinitaria nella sua unità con il corpo del Signore, attraverso i passaggi che il kairos attuale rende possibili. Non solo per rapporto allo stallo di una metafisica teologica anaffettiva – e quindi oggettivamente non trinitaria. Ma anche in riferimento ai dirottamenti della filosofia europea che hanno mancato – o ritardato – la revisione necessaria del loro irrigidimento pseudo-scientifico e presuntivamente razionale.