giovedì 9 settembre 2021
La figura del beato, morto in campo di concentramento nel 1944, interpella la nostra attualità e richiama all’urgenza della testimonianza nella vita di ogni giorno
Odoardo Focherini a Mirandola nel 1929

Odoardo Focherini a Mirandola nel 1929 - archivio

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​La gioia della normalità è il titolo del libro dedicato a Odoardo Focherini che le Dehoniane di Bologna sta per mandare in libreria (pagine 80 euro 10). Curato dal teologo Brunetto Salvarani (di cui anticipiamo la prefazione), raccoglie una serie di contributi (da un convegno svoltosi a Carpi il 31 ottobre 2020) che mettono a confronto con l’oggi i temi che furono propri del beato Focherini, martire della fraternità e della speranza, deportato nel campo di concentramento di Flossenbürg e morto, a 37 anni, nel sottocampo di Hersbruck nel 1944. Giovane carpigiano di origini trentine, negli anni del fascismo e della seconda guerra mondiale si era infatti impegnato in prima persona nell’aiuto agli ebrei perseguitati riuscendo a metterne in salvo numerosi. È il primo giornalista a essere beatificato dalla Chiesa cattolica. Non fu un eroe, ma un cristiano comune che visse secondo il Vangelo. Il libro mette a fuoco l’attualità della sua figura, capace di aprirsi all’altro e di scegliere di non omologarsi alla cultura dominante.


«Mi ricordo di un colloquio che ho avuto tredici anni fa con un pastore francese. Ci eravamo posti molto semplicemente la domanda di che cosa volessimo effettivamente fare della nostra vita. Egli disse: vorrei diventare un santo - e credo possibile che lo sia diventato -; la qual cosa al tempo mi fece una forte impressione. Tuttavia lo contraddissi e risposi press’a poco: io vorrei imparare a credere. Per molto tempo non ho compreso la profondità di questa contrapposizione. Pensavo di poter imparare a credere tentando di condurre io stesso qualcosa di simile a una vita santa. […] Più tardi ho appreso - e continuo ad apprenderlo anche ora - che si impara a credere solo nel pieno essere-aldiquà della vita». Questa riflessione, che il teologo luterano Dietrich Bonhoeffer suggerisce il 21 luglio 1944 all’amico Bethge, trovandosi recluso nel carcere nazista di Tegel, è applicabile all’esperienza del beato Odoardo Focherini. Perché questo è, in primo luogo, il senso del riconoscimento ecclesiale della beatitudine conseguita da un suo fedele: la dimostrazione pubblica che si può davvero essere cristiani. E che è possibile farlo non tanto una volta per tutte, ma imparando a credere, giorno per giorno, sino al termine della propria esistenza: così com’è stato per quel giovane carpigiano di famiglia trentina, nei fulminei trentasette anni della sua giornata terrena. Primo giornalista italiano a essere beatificato, probabilmente egli non intendeva diventare un santo, ma a credere nel Vangelo imparò, come un laico autentico: nei suoi incontri, nei suoi innamoramenti, nella moltitudine delle sue occupazioni lavorative ed ecclesiali, nella sua esperienza di figlio e poi di marito e padre, in un territorio, la bassa modenese nei dintorni della Prima guerra mondiale, in cui al suo tempo essere cristiani non era affatto un dato scontato, ambientale, tutt’altro, essendo quella zona segnata, com’è noto, da forti tensioni ideologiche. Fino ad apprendere con i suoi gesti, in largo anticipo con quanto la Chiesa proclamerà nel concilio Vaticano II, due decenni dopo il suo martirio, che il cristiano - se vuol essere coerente col vangelo narratogli dal suo Signore Gesù Cristo - è chiamato ad accogliere la diversità, ad assumere la complessità, a leggere nell’altro non l’inferno ma piuttosto l’unica occasione di comunione che gli è data sulla terra. Perché la straordinarietà dell’esempio di Focherini risiede nel fatto che egli non fu un teologo, come invece fu Bonhoeffer, ma un cristiano normale, come ne sono esistiti e ne esistono milioni di altri: persone oneste, scrupolose nel lavoro, mariti e padri di famiglia. Non eroe predestinato al gesto esemplare, condottiero profetico o intellettuale raffinato capace di indicare strade nuove al pensiero. In una lettera del 16 giugno 1944 tratta dal suo epistolario (la cui raccolta si deve alla pazienza tenace di don Claudio Pontiroli, scomparso nel 2012, presbitero della diocesi di Carpi che molto si è speso per la beatificazione di Focherini) Odoardo, scrivendo alla moglie Maria Marchesi, ricorre a un’espressione rivelativa della consapevolezza di non aver compiuto nulla di strano, per un cristiano radicalmente evangelico: «Mi auguro che la Provvidenza ti assista e ti guidi ogni ora, ti sorregga col conforto della fede nella certezza che non è lontano il tempo in cui, riconosciuta l’infondatezza delle accuse attribuitemi, sia data a tutti la gioia della normalità ». Qualche giorno prima, del resto, a fine maggio, incarcerato a Bologna, aveva inconsapevolmente consegnato un autentico testamento spirituale al cognato Bruno Marchesi che si era recato a visitarlo: «Se tu avessi visto come ho visto io in questo carcere come fanno patire gli ebrei, non rimpiangeresti se non di non aver fatto abbastanza per loro, se non di non averne salvati in numero maggiore». Una normalità e una concretezza che gli erano così congeniali da tornare costantemente nelle sue lettere, segnate anche da un’attenzione ai particolari minimi della quotidianità: le due armoniche a bocca, la richiesta di sigarette, le citazioni dei nomi di tutti i figli, gli indovinelli e le curiosità riservate ai bambini, i baci per la moglie amatissima, la commozione di fronte allo spettacolo meraviglioso della natura... Ora, a settantacinque anni dal martirio di Focherini, la diocesi di Carpi ha deciso di celebrarlo con una copiosa serie di iniziative, svoltesi nell’anno 2020 nonostante la pandemia globale che ha costretto a ridisegnarne tempi e organizzazione. Fra queste, a partire dal tema del messaggio di papa Francesco per la 54 esima Giornata mondiale per le comunicazioni sociali, 'Perché tu possa raccontare e fissare nella memoria (Es 10,2)', un convegno tenutosi online il 31 ottobre, dopo un paio di rinvii per i motivi citati. Nell’occasione il ricordo di Odoardo Focherini, fra l’altro giornalista e ammini-stratore di 'L’Avvenire d’Italia', ha rappresentato lo spunto per scoprire la grande ricchezza offerta dalla testimonianza di vita dei martiri, al fine di fare della comunicazione uno strumento per costruire ponti, per unire e per condividere la bellezza dell’essere fratelli in un tempo segnato da contrasti, divisioni e da un crescente incitamento all’odio. Ecco perché la Chiesa carpigiana, segnata negli ultimi anni non solo dagli effetti della pandemia, ma anche da un terremoto che nel 2012 l’ha ferita profondamente, ha ritenuto utile mettere a disposizione dell’opinione pubblica i materiali del convegno, opportunamente rivisti dagli autori. Con l’augurio che resti viva e sia custodita con sempre maggiore impegno la «memoria pericolosa» di Odoardo, laico, marito, papà, professionista, appassionato amante della Chiesa e insieme dell’impegno sociale, fedele alle ragioni di Dio non meno che a quelle della terra, secondo la formula cara a Bonhoeffer (ucciso nel lager di Flossenbürg, che fra i suoi 74 sottocampi contava anche quello di Hersbruck, in cui trovò la morte Odoardo, probabilmente il 27 dicembre 1944). E che col beato-martire Focherini, uno dei trentasei giusti su cui, nella sua stagione, secondo un’antica tradizione ebraica, riposava il mondo, si continui ancora a lungo a fare i conti, e soprattutto con la sua straordinaria e paradossale 'gioia della normalità'. E che, infine, ripensando a lui ci torni in mente che anche oggi essere cristiani, certo, non è facile, né è agevole vivere la vita buona del Vangelo. Ma è possibile: nonostante tutto.

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