lunedì 2 gennaio 2012
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​Una vignetta come terapia per i problemi della vita quotidiana in un Paese complesso, ma anche come mezzo per sollevare istanze politiche e sociali di cui la gente preferisce non parlare. Dopo essere diventate un fenomeno editoriale in Libano e in Francia, le storie illustrate della giovane blogger libanese Maya Zankoul sono state tradotte anche in italiano dalla casa editrice Il Sirente, che ha dato alle stampe i suoi volumi Amalgam e Amalgam 2 (quest’ultimo uscirà in gennaio), nei quali l’artista racconta in modo ironico e spregiudicato le contraddizioni e i tabù del Paese dei cedri. Graphic designer di talento nata in Arabia Saudita 25 anni fa, Zankoul è arrivata in Libano nel 2005, in tempo per respirare a pieni polmoni l’atmosfera della Primavera di Beirut e il suo impatto sui giovani. Le sue vignette minimaliste, dal tratto quasi infantile, raccontano i problemi di una gioventù vittima della disoccupazione, della crisi degli alloggi e di un autoritarismo familiare legato alla tradizione, ma parlano con arguto sarcasmo anche di corruzione, maschilismo e disparità sociali. «La vita in Libano è difficile, ma la complicazione ha anche un risvolto divertente», ha spiegato nei giorni scorsi, durante un giro di presentazioni del suo lavoro in varie città italiane. La sua esperienza è nata quasi per caso, un paio d’anni fa, grazie allo straordinario successo riscontrato dalle vignette pubblicate sul suo blog, dal quale sono poi nati i libri. Viene quasi automatico un accostamento con l’iraniana Marjane Satrapi: Amalgam non ha l’intensità emotiva di Persepolis, ma servendosi dell’ironia riesce comunque a raccontare la realtà quotidiana di un Paese pieno di contraddizioni, disordinato, esuberante, talvolta anche disinibito. Il primo volume, autobiografico, è una raccolta di episodi realmente accaduti all’autrice, che fotografano in modo originale la società libanese, usando la satira per parlare anche di eventi drammatici. Il secondo, più incentrato sui temi sociali, dà invece uno spaccato inedito del Libano odierno. La gioventù raccontata da Zankoul è disincantata e ironica, capace di scherzare anche in tempo di guerra («Scommettiamo quale sarà il prossimo ponte che salterà in aria?», si chiedeva con gli amici durante l’ultimo conflitto con Israele), di ironizzare su problemi quotidiani come l’elettricità razionata («Quasi vent’anni dopo la fine della guerra civile il razionamento è ancora una realtà quotidiana»). Oppure di giocare con i paradossi dell’emancipazione femminile, ricordando che una donna libanese su tre si è sottoposta a chirurgia plastica e che molte donne vanno a fare jogging truccate («Ma il mascara non va via con il sudore?», si chiede). Eppure il sistema sociale libanese ha ancora una base patriarcale e riconosce piena cittadinanza soltanto agli uomini. «Il velo e la minigonna non sono indicatori attendibili di sottomissione o libertà – spiega –. La donna libanese è più libera rispetto ad altri Paesi arabi ma mancano ancora alcuni diritti effettivi. Per esempio non possono ancora aprire un conto in banca al figlio o dargli la nazionalità». A complicare ulteriormente la vita alle donne, poi, c’è anche un diffuso pregiudizio sociale: «In Libano, prima dei ventun anni nessun genitore ti parla di ragazzi. Dopo vogliono che tu ti sposi. Dopo il mio successo con il blog, mia nonna mi ha chiesto: hai delle buone notizie per me? E io le ho detto: ho un libro, un blog e sta andando tutto davvero bene». Ma lei ha risposto: «L’unica buona notizia per me sarebbe il tuo matrimonio». La religione è un altro tema ricorrente. Amalgam insiste sui paradossi di un Paese tra i più ricchi e liberi del mondo arabo, dove però le differenze religiose – con ben 18 confessioni religiose per soli 4 milioni di abitanti – rappresentano ancora la principale causa di tensione politica. Oggi, la gioventù libanese è tormentata anche dal dilemma esistenziale sul «restare o partire»: molti ritengono che il Paese non offra niente e per questo se ne vanno in Europa o in America. Maya non ha dubbi. Sull’onda del successo dei suoi libri viene invitata in tutto il mondo e se volesse, potrebbe andarsene a vivere in Occidente. «Ma andar via vorrebbe dire aver perso la speranza – dice –. Io invece ho deciso di non scappare perché se tutti se ne vanno il mio Paese non cambierà mai. Gli ostacoli vanno superati e disegnare, per me, è un modo di resistere».
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