mercoledì 22 gennaio 2014
​Una scoperta dell'Università di Sidney potrebbe rivoluzionare la terapia del cuore. Se iniettate nel sangue entro 24 ore dall'attacco ischemico sono capaci di ridurre i danni ai tessuti in modo sostanziale e di facilitare il recupero funzionale. Per passare allo stadio dei test clinici serviranno ancora un paio di anni.
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Microparticelle contro l'infarto. Un altro passo in avanti nelle terapie delle patoligie cardiovascolari. Una scoperta dell'università di Sydney, in Australia, ha le potenzialità per rivoluzionare il trattamento dell'infarto. Lo studio, pubblicato sulla rivista Science Translational Medicine, si basa su "microparticelle" che vanno iniettate nel sangue entro 24 ore dall'infarto e che sono in grado di ridurre il danno provocato dall'attacco di cuore. Testata al momento su animali, la scoperta è il risultato di una collaborazione che fra i ricercatori australiani, l'americana Northwestern University e le università tedesche di Bonn e Muenster. "Dopo un infarto - spiegano gli esperti - gran parte del danno al muscolo cardiaco è provocato dalle cellule infiammatorie, che si accumulano nei tessuti che soffrono per una mancanza di ossigeno. Questo danno, però, è dimezzato se si utilizzano speciali microparticelle capaci di tenere lontane le cellule infiammatorie dal cuore". Le particelle sono così piccole che hanno dimensioni 200 volte inferiori a quelle di un capello. "Questa terapia - dice Nicholas King, professore di Immunopatologia all'Università di Sydney e co-scopritore della procedura - potrà portarci a prevenire i grossi danni del tessuto cardiaco grazie alle microparticelle che 'costringonò le cellule infiammatorie ad essere smaltite dall'organismo". La scoperta potrà avere un grande impatto anche su altre patologie: le stesse microparticelle hanno dimostrato di potenziare la riparazione dei tessuti in modelli animali di malattie come sclerosi multipla, peritoniti, infiammazioni virali del cervello o in caso di trapianti di rene. Ora il prossimo passo sarà testare la sicurezza di queste microparticelle per poter quindi passare ai test sull'uomo. I primi studi clinici sono previsti entro un paio d'anni all'università di Sydney.
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