giovedì 15 gennaio 2015
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Oggi nessun giornalista va più a seguire gli allenamenti, perlomeno lontano dalle grandi squadre. Le sedute sono spesso a porte chiuse, per evitare “spie”, infiltrati e informatori: celebri i casi dello staff di Mazzarri e del Genoa contro la Sampdoria. Gli stessi giornalisti non hanno più voglia nè tempo per vedere come lavora un allenatore. È tutto internet e telefono, twitter e facebook, provocazioni e risposte, “bombe” di mercato e invenzioni, un rincorrersi vorticoso di provocazioni e milioni, anche virtuali. Sembra un’oasi dunque il campo parrocchiale di Saliceta San Giuliano, il sintetico su cui il Modena si allena quando fa più freddo, in alternativa allo storico Zelocchi, nell’antistadio del Braglia. Il campionato di Serie B riprende sabato con la prima giornata del girone di ritorno, i “canarini” sono 12esimi con 27 punti, a 3 dai playoff. Il loro tecnico è Walter Alfredo Novellino, 61 anni, in panchina dal ’91: è il tecnico più longevo della serie B, e in allenamento veste la tuta. «L’ho indossata per anni anche in panchina - racconta -, poi siccome la gente mi giudicava per l’aspetto, anzichè per il gioco e i risultati, quando c’è la partita metto giacca e cravatta». Novellino la scorsa stagione è andato vicino a cogliere la promozione con il Modena che in mezzo secolo, in Serie A c’è stato appena due volte. Esce dallo spogliatoio, si piazza in una metà campo, dall’altra c’è il vice Giuseppe De Gradi. In panchina c’è il presidente Antonio Caliendo, 70enne che ha inventato il mestiere di procuratore, in Italia. I tifosi sulla tribunetta sono una dozzina appena.  Ma è un classico del calcio a nord, solo qualche pensionato va a seguire gli allenamenti. Anzi, vanni in pochi anche allo stadio, il Modena per la verità ha un buon numero di abbonati (3.526) più quasi 2mila spettatori paganti. La prima seduta era stata la mattina, la seconda è più tecnica. Il mister urla, distribuisce le casacche: «Cinque minuti di lavoro a pressione». Significa pressare chi porta palla nella squadra avversaria. Segue da lontano e sbraita: «Chi è il perno centrale?». Richiama così Andrea Schiavone, 21enne mediano in prestito dalla Juventus. Fischia e ordina: «Tutti dietro, tutti preparati. Dai. Rientriamo di più, più qualità nelle giocate...».  Novellino sa che siamo lì per lui, ma non teatralizza nulla. «Non essere già alto, Luca, ti alzi dopo», aggiunge De Gradi, riferito a Calapai, altro 21enne. In gergo calcistico, significa: stai dietro, in difesa, avanzi in un secondo tempo. «Alzati, alzati», urla Zoboli a un compagno, è lui l’uomo forte della fase difensiva. Specialista nel rubare palla è il nigeriano Osuji, ha il berrettino per proteggersi dal freddo. Si va al cambio delle pettorine, con grande intensità e ritmo elevato. «Scivola sull’uomo», ordina Novellino. E ancora: «Dov’è il mediano basso? Faglielo fare ’sto movimento...». Sul campo regna l’armonia, nonostante le sole 6 vittorie conquistate in 21 gare. «Non portatela, giochiamo - riprende Novellino -. Dai Tonu, via». Qui il riferimento è al difensore Devis Tonucci. Ogni tanto l’allenatore interrompe il gioco: «Sono i perni centrali che decidono la partita. Non siamo il Barcellona, eh, ma ti dispiace tenere la palla un attimo?», è l’invito a un centrocampista a ragionare di più, ad accennare il tiki-taka, il famoso modo di palleggiare degli ex campioni d’Europa.  «Avanti, prima punta». La richiesta è di giocare per l’urugua- gio Mariano Granoche, El Diablo tornato vicino ai livelli di Trieste, dopo un lustro negativo. È capocannoniere con 12 gol, assieme a Maniero (Pescara) e a Castaldo (Avellino). «Bisogna correre, non fare l’allenamento che uno vuole. Chiaro?». Appena vede che la determinazione scende, Novellino si fa sentire: «Giocate all’incontrario: giocate la palla, anzichè portarla». Non tutti sono convinti di fronte a queste indicazioni e allora il mister li tranquillizza: «Non vi preoccupate, so io cosa fare. I due centrali la buttino sulle due punte». Cioè: provate ad attaccare con lancio lungo. A un tratto Novellino si stizzisce, con Matteo Rubin, mancino che in Serie A era bravo a offendere ma vulnerabile in difesa: «Devi fare il terzino sennò ti strappo l’orecchio », urla. E lo manda fuori. Poi: «Dovete andare a 200 all’ora». Ancora: «È importante correre all’indietro, non solo in avanti». Si chiude con due simulazioni. «Mancano 5 minuti alla fine, è come se fosse sabato, andiamo alla grande». Poi: «Manca un minuto e mezzo. Dovete prendere come abitudine di rientrare. Via, via, via. Più svelti». «Dai, 30 secondi. Attacco contro nessuno». «Non dovete stare fermi, giocate in ampiezza...». Finisce così. La seduta era a 22, compresi 4 giocatori della Primavera. Novellino si avvicina, non ha fatto un’eccezione per noi. «Ogni mia seduta è aperta - spiega - tranne la rifinitura del venerdì. Non mi interessano le spie, anche a me capitarono quelle di Mazzarri. Tanto si sa che gioco con il 4-4-2». Novellino tiene alta la tensione sul campo ma fuori la stempera. Nessuna parolaccia, solo quella curiosa minaccia a Rubin di “staccargli l’orecchio”. Assieme a Castori, è l’unico ultrasessantenne in panchina in cadetteria. E dà ancora lezioni di tattica a tanti colleghi rampanti. «Da giocatore - racconta vinsi lo scudetto della stella al Milan, nel ’79: vissi 4 stagioni splendide, eppure sono interista. Perchè a 15 anni, mentre papà Giuseppe apriva un’officina a Milano, lo zio mi portò a vedere una partita a San Siro. C’era l’Inter e da allora sono rimasto affezionato ai colori nerazzurri».  Anche per questo gli è dispiaciuto il primo esonero in carriera subito da Mazzarri. «Sino alla scorsa stagione aveva fatto molto bene. Le difficoltà sono state soprattutto con il pubblico, perchè è un istintivo e ha sempre detto la verità: a volte le persone vere pagano qualcosa in più delle altre. Mancini? Penso sia fortunato, oltre che bravo». Inzaghi invece è l’ultimo arrivato, gli sono bastate due stagioni nelle giovanili per arrivare al Milan. «La società gli ha offerto questa chance per quanto aveva fatto sul campo. Non ha l’esperienza di tanti ma il tempo gli darà ragione: l’ex campione sa certamente preparare la partita, il problema è gestire le teste di 25 giocatori, i media e il pubblico». Novellino allena dal ’92, al massimo è stato fermo un anno. «È lo stress della panchina a farmi sentire vivo, mi dà quell’energia di cui ho bisogno. Serve conviverci con lo stress, ma io mi diverto sul campo. E non vado in pensione».
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