martedì 13 giugno 2023
Parla la poetessa Carmen Yañez, moglie perduta e ritrovata di “Lucho”: «Restano i sogni, suoi e di una generazione. Abbiamo commesso errori, ma l’anelito di giustizia è vivo. Grazie ai giovani»
Luis Sepúlveda e Carmen Yañez

Luis Sepúlveda e Carmen Yañez - Daniel Mordzinski/Taobuk/Delos/Guanda

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La poetessa cilena Carmen Yáñez, giovedì alle ore 21 in piazza IX Aprile, a Taormina, renderà omaggio al marito Luis Sepúlveda dialogando col fotografo Daniel Mordzinski, nella XIII edizione di Taobuk Festival SeeSicily, diretto da Antonella Ferrara. Introduce Juan Carlos Reche Cala, direttore dell’Instituto Cervantes di Palermo; modera Massimo Vigliar. L’edizione 2023 del festival sarà dedicata al tema “Le libertà”. Sabato al Teatro Antico saranno consegnati i premi Taobuk al Nobel per la letteratura Annie Ernaux, alla scrittrice americana Joyce Carol Oates, al musicista David Garrett, al divulgatore scientifico David Quammen, all’artista Giuseppe Penone, all’attrice Valeria Golino, al regista Marco Bellocchio. Tra i partecipanti: Ildefonso Falcones, Daniel Pennac, Niccolò Ammaniti, Marco Missiroli, il ministro Gennaro Sangiuliano, il fisico Roberto Battiston. Info: www.taobuk.it.

«Farai del tuo futuro una costellazione di stelle e di poesie», le scrisse, d’impulso, Luis Sepúlveda quando la conobbe. Il tempo gli ha dato ragione. Oltre mezzo secolo dopo quel giorno, la cilena Carmen Yañez è una poetessa famosa nelle due sponde dell’Oceano. Le sue raccolte – pubblicate in Italia da Guanda – sono state insignite di numerosi riconoscimenti, dal Premio “Nicolás Guillén” al “Tonino Guerra”. La poesia più importante resta, tuttavia, quella che Pelusa e Lucho – come si chiamavano l’un l’altro – hanno composto con le loro esistenze. Intrecciate in una danza tragica e sensuale come il tango che tante volte hanno ballato insieme. Si sono innamorati, poi, sposati e sono diventati genitori contro il volere della famiglia Yañez, nel fermento di rinnovamento del Cile degli anni Settanta. Entrambi sono diventati militanti di Unidad Popular e ne hanno pagato il prezzo quando il golpe ha messo fine con violenza all’inedito esperimento di costruzione del socialismo per via democratica. Luis, nella guardia del presidente Salvador Allende, è stato arrestato. Poi è toccato a Carmen, torturata brutalmente nel centro di Villa Grimaldi. Per sfuggire alla repressione si sono dovuti separare e, divisi, hanno affrontato l’esilio in Europa. Là hanno costruito altre relazioni, addirittura Sepúlveda ha sposato la tedesca Margarita con cui ha avuto tre figli. Né la distanza né gli anni né le vicende vissute, però, sono riusciti a spezzare il loro legame fatto di sogni di giustizia tramutati in versi, di battaglie di carta e sconfitte impresse sulla carne. Quando si sono rincontrati nel Vecchio Continente, negli anni Ottanta, hanno percepito che prima o poi si sarebbero riuniti. Nel 1996 sono andati a vivere insieme a Gijón, in Spagna dove, otto anni dopo, hanno celebrato il secondo matrimonio. Un amore fuori dal tempo, lo definisce Carmen come il titolo del libro edito da Guanda l’anno passato, sopravvissuto anche al Covid che il 16 aprile 2020 ha ucciso l’autore de La gabbianella e il gatto e L’uomo che scriveva romanzi d’amore. Una storia drammatica quanto romantica che Carmen Yañez ha scelto di condividere - insieme a Daniel Mordzinski e Juan Carlos Reche con il pubblico del Taormina Book Festival (TaoBuk) che, nel 2014, ha inaugurato il riconoscimento Taobuk Awards premiando Luis Sepúlveda.

Non accade spesso di sposare due volte lo stesso uomo. Qual è stato il fondamento del vostro amore, più forte della prigionia, della dittatura, dell’esilio?

Lucho e io avevamo una storia in comune. Esperienze che ci hanno reso come siamo. E condividevamo il modo di esprimerle, attraverso la parola scritta.

Già, la parola scritta. Lui i romanzi, lei la poesia.

In realtà, anche Lucho scriveva versi. Sia da giovane, quando ci siamo incontrati la prima volta, sia durante la seconda parte della nostra vita insieme. Dopo la sua morte, quando nostro figlio e io abbiamo iniziato a riordinare la sua scrivania, abbiamo trovato tantissimi componimenti in versi chiusi negli scatoloni. Una biografia emotiva ed esistenziale del suo passaggio in questo mondo. Per me è stato come tornare il punto di partenza: ritrovavo il poeta di cui mi ero innamorata oltre mezzo secolo fa.

Luis Sepúlveda, però, aveva scelto di tenerle inedite e di dedicarsi, almeno pubblicamente, alla narrativa. Come mai?

Credo si trovasse molto a suo agio con questa forma espressiva. I racconti e i romanzi gli davano modo di creare mondi, indagare aspetti di sé e degli altri, immaginare percorsi. Fra noi c’era come un patto implicito che ci divertiva molto. Io ero la poetessa, lui lo scrittore. Giocavamo con questa “divisione” in un modo tutto nostro. Avevamo, ad esempio, due librerie rigorosamente separate. La mia piena esclusivamente di raccolte poetiche e la sua di romanzi.

Ora, però, lei ha infranto l’accordo. Perché ha deciso di pubblicare un’opera di narrativa sulla vostra storia?

Per ripercorrere e fissare tutti i momenti vissuti insieme. È stato il mio modo di affrontare il dolore lacerante della perdita.

Quale è il romanzo preferito dei tanti scritti da suo marito?

Adoro Un nome da torero perché ci trovo molto della nostra storia anche se risale a prima che ci ritrovassimo. Quando l’ho letto la prima volta mi ha toccato dentro. Poi, amo molto Storia di una lumaca che scoprì l’importanza della lentezza, perché è impregnato di utopia.

Com’era Luis Sepúlveda nel privato?

Come appariva in pubblico. Un uomo generoso e coerente. Disposto a pagare in prima persona per restare fedele ai propri valori. Un individuo innamorato della vita, appassionato della giustizia, capace di enorme solidarietà.

L’11 settembre di quest’anno, sarà trascorso mezzo secolo dal colpo di Stato di Augusto Pinochet. Che cosa significa per lei questo anniversario?

Un momento per ricordare come Paese quella tragedia. E di ciò che l’ha causata al fine di non commettere gli stessi sbagli. La memoria è fondamentale per costruire il presente e il futuro. Purtroppo il Cile ha sofferto per troppo tempo di amnesia collettiva.

Che cosa resta della Carmen dell’epoca?

Restano i sogni suoi e degli altri giovani militanti. Volevamo costruire un mondo più equo, a costo di sfidare i poteri forti. Siamo stati duramente puniti per questo. Certo, anche noi abbiamo commesso degli errori. Ma ci abbiamo provato. E, alla fine, nonostante tutto, il nostro anelito di giustizia è ancora vivo.

Con Luis, però, avete scelto di non rientrare in Cile dopo la fine del regime militare. Come mai?

Il Paese che avevamo amato ormai non esisteva più. Nel frattempo avevamo costruito nuovi legami in Europa e qui vivevano i nostri figli. Abbiamo scelto di abitare in Spagna per conservare almeno la lingua. Per chi vive di parole è cruciale.

Lei ha visto infrangersi molti dei suoi sogni. Com’è riuscita a non diventare una persona disillusa? Sono riuscita a conservare un frammento di speranza grazie ai giovani. Magari sono un po’ più pessimista. Ogni volta, però, che li vedo essere capaci di non rassegnarsi alla violenza e all’ingiustizia, sento rinnovarsi il nostro sogno. E rinascere la forza di camminare, passo dopo passo, verso l’orizzonte di un’utopia possibile.

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