lunedì 21 gennaio 2013
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​C’è un certo non so che di leggendario nelle due gallerie del teatro alla Scala di Milano. E fra il pubblico che a ogni spettacolo sale fin quasi al soffitto si perpetua il mito del loggionista. Giudice implacabile, spettatore dalle passioni forti, censore con l’orecchio raffinato. Pronto ad applaudire con vigore ma anche a fischiare senza remore quando cala il sipario.«Messa in questi termini siamo sulla soglia della figura retorica – confida Gino Vezzini, presidente degli "Amici del loggione" –. Più che altro il vocabolo che ci rappresenta ha una valenza sentimentale: racconta l’approccio d’amore al nostro teatro per sostenerlo in modo che sia all’altezza della sua fama». Già, perché la Scala è chiamata «nostra» da chi la frequenza come fosse casa. E a Vezzini piace citare la metafora con cui Paolo Grassi, sovrintendente dal 1972 al 1977, descriveva l’apporto delle gallerie: «Sosteneva che il Piermarini è simile a un albero in cui le radici sono in alto. Infatti i loggionisti rappresentano la linfa vitale che rende rigogliosa la pianta».A Grassi si deve l’impulso per fondare l’associazione che raccoglie gli «Amici» degli ultimi due piani del teatro. Un sodalizio che oggi compie quarant’anni. «Se paragoniamo l’età a quella di una persona – afferma il presidente – siamo nel momento d’oro». All’origine un rapporto col teatro che è rimasto identico. «Finiti gli spettacoli – ricostruisce Vezzini – i loggionisti si fermavano sotto i portici per discutere. Grassi, che usciva per ultimo, li incrociava. E nel 1973 suggerì di trovare un posto caldo dove incontrarsi». Ecco l’idea. «Un po’ come la Scala, anche la nostra storia ha le sue stravaganze: c’è chi dice che i fondatori furono 56, chi 200». Fatto sta che oggi i soci superano i 1300 di cui un decimo ha meno di 35 anni.In quattro decenni il volto dei loggionisti si è trasformato. «La peggiore etichetta che possano affibbiarci è quella di nostalgici. Direi, invece, che adesso siamo meno melomani del passato, ossia meno arbitri della sola parte vocale, e sempre più interessati a valutare e capire lo spettacolo in tutte le sue componenti». E i «buu»? «Manifestiamo il nostro pensiero ma non travalichiamo mai i confini della buona educazione. E prima di ogni titolo ci prepariamo con ascolti e proiezioni nella sede di via Silvio Pellico. La consapevolezza di quanto vediamo dà una tolleranza ben più ampia di quanto si possa pensare». Il calendario dell’associazione è scandito da concerti, conferenze, prove del coro formato da sessanta soci, viaggi musicali in tutto il mondo. Iniziative che hanno l’obiettivo di far conoscere il «tesoro Scala». Come dimostra il Centro di documentazione dove è possibile consultare archivi audio-video, partiture o saggi.Nell’agenda dei quarant’anni l’incontro di ieri con l’assessore alla Cultura di Milano, Stefano Boeri, è stato un assaggio. Evento centrale sarà il concerto al Piermarini organizzato per il 25 marzo. Sul podio Gianandrea Noseda che dirigerà la Filarmonica della Scala. Nel programma Verdi e Wagner. E non poteva essere altrimenti nell’anno del bicentenario dei due compositori. Ma la rivalità fra verdiani e wagneriani? «Superata fra i loggionisti. Anche se un po’ di sale fa comunque bene».
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