giovedì 10 luglio 2014
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Mentre il premier Benjamin Netanyahu ordina alle forze armate con la stella di David di «togliersi i guanti» sulla striscia di Gaza, non è facile per una cantante israeliana dedicare ai figli una canzone di speranza come Don’t be afraid. Eppure Noa, tra i solchi del nuovo album Love medicine, sul mercato dalla settimana prossima, ci tiene a liberare i suoi piccoli Ayehli, Enea eYum dalla paura. E ricordare loro «la luce da dove vengono» perché anche se «questo sole» talora non splenderà su di loro, non dovranno «tenere il pugno chiuso per sempre». «È difficile 'non avere paura' di questi tempi, soprattutto nel mio Paese» ha spiegato ieri la cantante, appena arrivata con la famiglia da Tel Aviv, dove dice di aver passato una notte scandita da sirene ed esplosioni. «Non riesco a capire qual è il progetto di futuro che ci offre questa leadership» spiega l’artista israeliana di origine yemenita. «E siccome, come me, in Israele non lo capisce una larga parte della popolazione, penso che sia passato il tempo di starsene alla finestra e sia arrivata l’ora di scendere in strada, alzare la voce». Quando parla del suo Paese le parole perdono calore, per diventare livide, quasi nervose. Perché pure lei si sente in trincea. Che non è esattamente la stessa del suo governo. «Per spezzare la spirale di violenza occorre una prova di coraggio proveniente dal basso. Di qua come di là dal muro». Cavaliere dell’Ordine della Stella d’Italia nel nostro Paese, Noa è pure ambasciatrice di buona volontà della Fao. E nel 2009 ha rappresentato Israele all’Eurosong duettando con la palestinese Mira Ward. Insomma, molto di più di una semplice cantante. «L’entertainer deve far divertire il pubblico, l’artista è chiamato a responsabilizzarlo. C’è gente in Israele che non vuole la pace e che preferisce considerare gli artisti dei semplici entertainer, ma non è così. Tempo fa ho partecipato ad una grande convention con lo scrittore David Grossman, con Shimon Perez, con Abu Mazen. E ho detto loro che è arrivato il tempo di agire». Mazen le ha fatto una buona impressione perché «è serio e dice cose interessanti ». Netanyahu molto meno. «Il premier israeliano non sta lavorando per la pace. Dobbiamo cambiare le cose. Prego perché possiamo avere un governo nuovo che desidera la pace e spero che, se questo avverrà, in quel momento anche i palestinesi abbiano le stesse intenzioni mettendo fine così a quel triste tango che tiene in bilico la mia terra tra speranza e delusione». In questo l’incontro romano di Mazen e Peres propiziato da papa Francesco «ha dato vita ad un momento di grande speranza». Se c’è una cosa che Achinoam Nini, come si chiama all’anagrafe di quella Tel Aviv dov’è nata 45 anni fa, rigetta con decisione, però, è l’invito di certi colleghi inglesi al mondo dell’arte di escludere la sua terra dagli itinerari perché oggi Israele non è diversa dal Sudafrica dell’apartheid. «L’occupazione dei territori e l’apartheid sono due cose odiose, ma distinte» spiega. «Non credo nel boicottaggio culturale, perché non è un’arma efficace e invece di avvicinare le soluzioni finisce con l’allontanarle; ogni volta che il popolo israeliano si è sentito sotto pressione è andato più a destra, irrigidendo le sue posizioni. Quando venne Leonard Cohen sfidando il fronte del no è stato un momento molto importante per il mio Paese». Il 15 luglio Noa sarà all’Ischia Global Festival e poi in altre quindici città tra cui Città di Castello il 29 agosto per il Festival delle Nazioni, Torino il 21 settembre per il Prix Italia e poi ancora Roma il 21 ottobre, Milano il 27, Bologna il 28 e Trieste il 30. «La musica è una cura per l’anima, perché si prende cura con amore delle nostre piccole grandi ferite. Non dico che tutte le musiche hanno questa capacità, ma la mia sì. O almeno ci prova. Viviamo un mondo malato di individualismo, in cui la gente sembra aver completamente dimenticato che non è sola su questa terra e che è tenuta ad avere cura del prossimo. E in tanti frangenti dovrebbe provare a mettere il piede nelle scarpe degli altri, perché solo così la vita sarà migliore. Per tutti». Lo scatto di copertina la ritrae immersa nell’acqua. «Siccome là fuori il mondo a volte è freddo e brutale, vorrei che la musica di questo disco avesse il tepore tranquillizzante e protettiva del liquido amniotico. Penso sia il mio apice artistico tanto per la qualità delle canzoni che dei collaboratori. Oggi che vige la regola della fruizione istantanea, io vado contro tendenza e provo a dare alle stampe qualcosa che rimanga. Perché il compito dell’artista non è quello di diventare ricco e famoso, ma di sognare e far sognare chi l’ascolta». Ci sono canzoni ispirate legate all’arte di Milton Nascimento e Joao Bosco, o Shalom A paz, «la nostra versione ebraica di una canzone Gilberto Gil. Eternity in beauty – spiega – che mi regala l’opportunità di collaborare per la prima volta con Pat Metheny, che vent’anni fa produsse il mio primo album per il mercato internazionale». Ma c’è pure lo spagnolo Joaquin Sabina, autore in You tù e due cover Eternal Flame, delle Bangles, e una di Bobby Mc Ferrin. Ma ci sono pure cinque canzoni scritte dalla stessa Noa per il musical La vera storia su Giovanni Paolo II, con la partecipazione del Solis String Quartet.
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