martedì 8 agosto 2017
Dopo il fiume di denaro versato dall’emiro del Psg per il campione brasiliano, sotto accusa l’organismo europeo. Ma il vero problema resta un pallone drogato di petrodollari del Qatar
Neymar con la maglia del Psg sabato alla presentazione al Parco di Principi di Parigi

Neymar con la maglia del Psg sabato alla presentazione al Parco di Principi di Parigi

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Nelle pieghe infide dei social network è girata nei giorni scorsi un’immagine, una foto, è chiaramente un “fake”, il falso con il quale ormai si convive, però ha avuto il suo effetto: vi era raffigurato un assegno emesso dalla Banca del Qatar, una cifra stampigliata in rosso, 222 milioni di euro, e il Barcelona Futbol Club come beneficiario. Fosse stata riprodotta anche la matrice, nello spazio dedicato alla causale avremmo letto un nome, sei lettere, Neymar. Tutti in una volta sola, questo sì, è vero, il mare di denaro che inonda il Barcellona e quasi annega il mercato del calcio, o almeno lo sbatte lontano, in un punto sconosciuto che può rappresentare un nuovo inizio e il principio della fine.

Chi affonda, in questo mare, è certamente il principio base del controverso, contestato Fair Play Finanziario, voluto e varato dall’Uefa di Michel Platini, superato a destra proprio da un club francese, almeno per appartenenza geografica e dunque federale. Perché in realtà, è noto, il Paris Saint Germain è una società di un altro paese, il Qatar, protagonista di una mossa politica portata tramite il calcio, forse uno dei pochissimi vettori globali ancora in grado di influenzare, confondere, nascondere. Una pioggia di miliardi per superare e, anzi, rovesciare l’isolamento in cui il piccolo, ricchissimo emirato è stato stretto dai vicini di casa, dai ricchissimi Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, dall’Egitto al Kuwait per finire al tormentato Yemen: l’accusa - condivisa da larga parte della comunità internazionale - è di sostenere e finanziare il terrorismo palestinese di Hamas, e ancora quello dei Fratelli Musulmani, destabilizzare l’area mediorientale e araba, insomma. Ma il mondo è più grande di una regione pur sterminata, e Al Thani, l’emiro di Doha, ha deciso di mostrargli un pallone ripieno di denari, in grado di abbagliare e sedurre persino i potenti.

La Fifa ha detto sì a un Mondiale apparentemente assurdo, da giocarsi in inverno, ancora prima il Barcellona aveva accettato (per poi tornare sui suoi passi al momento dell’esplosione del terrorismo islamico in Europa) di smontare la leggenda della sua maglia intonsa da scritte lautamente pagate. E a Parigi, scelta come capitale fuori confine, ora ecco sbarcare Neymar, un fuoriclasse che nel 2022 - all’appuntamento con la Coppa del Mondo nel deserto - sarà “il” fuoriclasse, con Messi e Cristiano Ronaldo probabilmente ai titoli di coda: è ancora prima che un trionfo in Champions League, la missione di “O Ney” deve essere quella del Pallone d’Oro, del n.1 dell’immaginario ranking dei calciatori, l’uomo perfetto per essere il testimonial perfetto della grandeur qatariota.

Questo è il vero significato di un investimento che tra ingaggio (30 milioni netti), commissioni e tutto il resto ammonta a circa 570 milioni di euro, Everest di denaro largamente superiore a un fatturato, quello del Psg, che da tempo è già modificato ad arte alla voce sponsorizzazioni per mascherare le iniezioni di capitale provenienti da sponsor di enti direttamente legati all’emirato (in questo caso la Qatar Tourism Authority) e aggirare, appunto, i paletti sul rapporto spese-ricavi fissati dalla Uefa. Che è chiamata in causa, ora, innanzitutto dal Barcellona punito per la dissociazione, dalla federazione spagnola e da tutto un fronte che lamenta l’aggiramento alla regola comune: ma l’unica replica possibile della federazione europea si coniuga al futuro. “Vedremo”, “Controlleremo”, i controlli sui bilanci dei club vengono svolti periodicamente, la verifica e l’eventuale resa dei conti non può essere un discorso dell’oggi.

E in ogni caso, ci vorrà un coraggio non all’orizzonte per sanzionare, dire no a chi indirettamente sta iniettando di denaro un intero movimento, visto che da Barcellona - a cascata - l’oro di Neymar si diffonderà in tante casse del continente, si parla dell’ex interista Coutinho dal Liverpool per 80 milioni, sotto traccia c’è sempre lo juventino Dybala. Senza considerare, poi, il perenne spettro della Superlega, il progetto di un campionato continentale autogestito e autoregolato dai grandi club, pronti ad attirare a sé gli emolumenti di sponsor e diritti televisivi con tanti saluti alla Uefa e alle sue regole teoricamente scritte per tutelare i meno ricchi. Un futuro che potrebbe coinvolgere anche le big italiane, anche il nuovo Milan, anch’esso indicato dalle consorelle italiane (vedi Roma, con la rovente polemica scatenata dal suo presidente Pallotta) come “fuorilegge”, sdoganato a una campagna acquisti più che dispendiosa nonostante i dubbi sulla proprietà e sulla sua reale consistenza finanziaria e solvibilità. In autunno, per i dirigenti rossoneri, il primo appuntamento con il board europeo per discutere il piano volontario di rientro dei bilanci dei prossimi trienni nei parametri federali: i guadagni futuri sono solo un’ipotesi, gli impegni da sostenere tanti, come ha dimostrato anche il caso poi rientrato delle fideiussioni necessarie per avallare gli acquisti di Leonardo Bonucci dalla Juve e Lucas Biglia dalla Lazio. Necessita di fideiussioni chi sostiene un debito importante e rateizzato, chi non offre la certezza del saldo, chi insomma non ha già il cash in tasca: e paradossalmente qui il cerchio si chiude, puoi essere il Milan sostenuto dai crediti e ancora a caccia di investitori solidi, puoi essere il Paris Saint Germain con il rubinetto d’oro dell’emiro perennemente aperto, ma il mercato del calcio anno 2017 ti consente tutto, o quasi, a patto che tutta la macchina del soldo vero, verosimile o virtuale si muova, sempre più forte. E domani, chissà.

Intanto, in uno stadio chiamato Parco dei Principi, sabato scorso Parigi si è inchinata al suo nuovo Re Neymar, regalatogli da un altro Re venuto da molto lontano. L’urlo, i fuochi di artificio, un sorriso e una promessa di vittoria. E un primo lancio della maglia numero 10, quella per la quale, in questi primi giorni francesi, una miriade di tifosi grandi e piccini ha sopportato lunghe code con mano già messa al portafoglio. Prezzi non modici, 140 euro, da mega-mall di lusso di Doha o di Dubai, ricavi da merchandising in decollo assoluto: alla Uefa e al suo ormai traballante, incrinatissimo Fair Play Finanziario, qualcosa, per la forma, andrà pure dimostrato.

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