martedì 30 giugno 2015
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Newman conosce bene la società britannica della prima metà dell’Ottocento, a cui parla con i suoi sermoni. Sa quale sia il ruolo rilevante degli interessi economico-finanziari non solo della società, ma nella vita di chi lo ascolta predicare. Infatti afferma con franchezza: «Apparteniamo a una nazione che sussiste in buona parte col far denaro». Non si può dire che queste sue parole non suonino attuali, seppure su scenari diversi, non più quelli nazionali bensì quelli del mondo globalizzato.Come predicare il Vangelo della gratuità dell’amore in un mondo mosso dagli interessi economici? Spesso, per evitare la contraddizione, si opera una spiritualizzazione del Vangelo, evitando le tematiche della ricchezza e della povertà. La predicazione, così, corre quasi parallela alle dinamiche stringenti degli interessi economici e finanziari, il che vuol dire parallela a esistenze immerse in un mondo dominato da queste realtà. O al massimo, nel mondo cattolico, si lasciano queste specifiche tematiche alla trattazione della dottrina sociale. I credenti, inseriti nelle meccaniche di questo mondo, sono chiamati ad ascoltare con disponibilità la parola evangelica, che illumina e libera. Il Vangelo non è una «benedizione» per la vita vissuta, ma apre e suscita gravi problemi. Il primo compito della predicazione cristiana è risvegliare le menti e i cuori addormentati nel compromesso, che spesso è acquiescenza, abitudine, assenza di pensiero.Risuona nelle parole di Newman, ancora pastore anglicano, il senso alto della predicazione cristiana: la sua libertà, senza l’arroganza di imporre, ma con il dovere di far risuonare integralmente la parola del Vangelo su di un aspetto difficile della vita cristiana di allora, in un Paese in estremo sviluppo e sulla via della conquista commerciale e politica del mondo. Si potrebbe pensare che nell’uditorio di Newman c’erano anche ricchi benefattori della Chiesa e che tali persone sono spesso presenti nelle comunità cristiane, mentre si predica il Vangelo. Leggere la «maledizione» evangelica ai ricchi non li offende? Siamo nell’Inghilterra della prima metà dell’Ottocento, ma in pieno mondo globalizzato, con un carico di rassegnazione di fronte a meccanismi che ci appaiono più grandi di noi (anche da parte dei cristiani). Queste parole, oggi, risuonano come un monito in un quadro di globalizzazione finanziaria, in cui esistenze e sentimenti sono dominati dalla invisibile mano del denaro. Non si tratta di «dottrina sociale», bensì di un confronto serio e serrato con la parola di Gesù, che offre, come dice Newman, «ampia materia di serio pensiero». È l’attualità di questo testo del futuro cardinale inglese: come vivere nel capitalismo ed essere cristiani? Newman non presenta facili soluzioni (che peraltro sarebbero oggi datate), ma intende aprire contraddizioni, far pensare e far decidere. Qui sta l’attualità della sua predicazione sulle ricchezze.Il tema delle ricchezze ha fatto riflettere i Padri della Chiesa: si pensi alla predicazione di Giovanni Crisostomo su ricchezza e povertà, ma anche alle parole di Ambrogio e di Gregorio Magno, per citare solo alcuni esempi tra i più noti. Questi grandi Padri hanno posto il povero al centro della Chiesa, ammonendo il ricco sull’illusione delle ricchezze. Molto spesso, però, tali tematiche sono scivolate ai margini della predicazione della Chiesa o addirittura sono uscite dall’alveo del suo insegnamento quotidiano. La «via media» di tanti fedeli non ha sentito il bisogno di confrontarsi con esse, quasi fossero problematiche significative solo per chi faceva una scelta di «perfezione evangelica». Sono rimaste nella memoria, come monumenti della sapienza evangelica dei Padri, come riferimento decisivo per gli «eroi» del cristianesimo, ma poco altro. Si è preferito evitarle. Al contrario, Newman chiede espressamente ai fedeli, che lo ascoltano di riflettere sul messaggio evangelico a proposito delle ricchezze.Il discorso del teologo inglese è pervaso, come altri sermoni, dal senso alto del ministero della predicazione: è un altro aspetto con cui è interessante confrontarsi, anche per trarne una lezione sul significato decisivo del parlare del Vangelo alla comunità cristiana. Infatti, nella Chiesa, si deve riflettere su come riapprendere a predicare in una società in cui i cristiani sono coinvolti da tanti messaggi, attratti e distratti in una stringente logica comunicativa. In questa prospettiva si è mosso papa Francesco, parlando del significato dell’omelia, della necessità della preparazione, del rapporto con la comunità che ascolta. Il confronto con le grandi tradizioni della predicazione cristiana non offre certamente modelli all’oggi, ma invita a riflettere sul valore della predicazione.Senza eccessi tribunizi o invettiva, ma pacatamente e fermamente, Newman vuole riportare i suoi ascoltatori a un serio contatto personale con la pagina del Vangelo. Lo fa riconducendo chi lo segue alle parole della Scrittura.Così nasce un atteggiamento meditativo e più libero verso la propria vita. Infatti, il cristianesimo, di fronte alle ricchezze, deve prima di tutto recuperare la libertà del suo cuore e della sua vita. Le ricchezze o, più banalmente, la ricerca del benessere rubano il cuore. Il Vangelo è chiaro su questo punto. Ma il cristiano deve sintonizzarsi con il pensiero di Cristo e non soggiacere alle abitudini della sua esistenza. Qualcosa di nuovo può nascere. Newman non è un fustigatore pessimista dei suoi fedeli. «Pensieri seri» da parte loro possono condurre a scelte nuove e serie. Ma, prima di tutto, bisogna aprire domande nel cuore di chi ascolta.Newman constata come gli «uomini religiosi» possano distaccarsi da tanti peccati, «ma quanto alla ricchezza non possono liberarsi facilmente d’un sentimento segreto il quale dà a loro sostegno su cui fondarsi, un’importanza, una superiorità; e di conseguenza si attaccano a questo mondo...». C’è un fascino delle ricchezze, che ingenera una dipendenza profonda tra i cristiani. Bisogna imparare a discernere questo fascino. Per questo, la parola del Vangelo deve risuonare senza aggiunte o attenuazioni: «Che, in verità, Nostro Signore – ribadisce Newman – abbia inteso parlare della ricchezza come, in certo senso, d’una calamità per il cristiano, è chiaro... dalle lodi e raccomandazioni che Egli, d’altro canto, fece della povertà».Infatti il discorso evangelico sui poveri e sulla povertà mette in luce anche la «miseria» della ricchezza. Ma è possibile vivere questo Vangelo? Non si tratta di una parola destinata solo a pochi eletti? Così non sembra, nel contesto del messaggio evangelico: è una parola per tutti. Il teologo anglicano evoca la figura dell’evangelista Matteo, che «non solo possedeva, ma era anche occupato a ricercar ricchezza» - afferma. C’è in queste parole del predicatore l’intuizione della condizione esistenziale dei suoi fedeli: gente occupata e preoccupata a produrre e accumulare ricchezza, non solo ricchi proprietari.Oggi in un mondo, anche dal punto di vista economico, tanto differente, tuttavia i sentimenti  le preoccupazioni non sono così diversi, anche se va considerato che occuparsi ansiosamente del proprio benessere non porti spesso a conseguire quanto ricercato. La competizione della vita, per tanti, significa frustrazioni e sconfitte. Insomma l’esistenza umana nel grande mercato della competizione non è così facile e idilliaca, come la si presenta. La predicazione evangelica si propone però come una significativa sapienza, su cui costruire la propria libertà e la propria felicità. Non si dimentichi che il giovane ricco del Vangelo, dopo aver ascoltato le parole di Gesù, se ne andò triste perché aveva molte ricchezze (Lc.18, 18,22).Il predicatore Newman non propone una dottrina sociale o una riforma dell’economia, ma presenta il Vangelo di Gesù a chi lo ascolta. Invita a interrogarsi e a convertirsi alla sua parola. Non è poco nell’Inghilterra dei suoi giorni; non è poco in questo mondo contemporanea. Perché la conversione è anche una grande spinta al cambiamento  degli altri e della società. Decenni di ideologia e di ingegneria sociale, con la loro pretesa di modellare le società, ci hanno forse disabituato a cogliere il valore profondo di un uomo e di una donna che si convertono e cambiano vita. Martin Bufer affermava sapientemente: «Il punto di Archimede a partire dal quale posso, da parte mia, sollevare il mondo è la trasformazione di me stesso».
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