venerdì 10 settembre 2010
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Si era lui stesso addirittura tradotto in «Giovanni Enrico Neandri». Tanto grande sentiva il suo debito ammaliante con l’Italia e i suoi abitanti, prima e dopo la conversione al cattolicesimo. Il teologo John Henry Newman vanta un fecondissimo rapporto con il Belpaese e alcuni dei suoi esponenti, illustri e meno celebri, determinati nel cammino che rese il pensatore di Oxford uno dei più grandi apologeti della Chiesa contemporanea. E in vista dell’imminente beatificazione di Newman, che Benedetto XVI presiederà a Birmingham il prossimo 19 settembre durante la visita in Gran Bretagna, riemergono i legami tra la «casa» della Chiesa cattolica, l’Italia, e il futuro beato.Anzitutto, i retaggi culturali: già in una lettera da quindicenne citava le tragedie di Vittorio Alfieri, mentre da adolescente si era innamorato della musica di Nicolò Paganini, tanto da volersi cambiare cognome appunto in «Neandri» in onore dell’amato musicista. Quindi, la presenza: Newman fu in Italia in tre occasione: un primo viaggio nel 1833, all’insegna della tradizione del «grand tour» degli intellettuali del Nord Europa, che guardavano alla Penisola come la sede della grande cultura classica. Soprattutto è la Sicilia, con le rovine di Segesta, a toccarlo: qui, tra l’altro, contrae una malattia, che gli fa sperimentare un «Provvidenza divina» manzoniana ante litteram (e vedremo perché). «In Italia egli ha visto una vibrane e viva Chiesa cattolica con tradizioni che esistono da secoli» commenta Jo Anne Cammarata Sylva, autrice del recente How Italy and Her People Shaped Cardinal Newman, il cui sottotitolo – «Influenze italiane su una mente inglese» – spiegano il senso di questa monografia uscita per le edizioni americane Newman House Press (pp. 190, 10$). Il 2 marzo seguente Newman è nella Città eterna: «E ora cosa posso dire di Roma se non che è la prima delle città? È possibile che un luogo così sereno e nobile sia la gabbia di creature immonde? Mi sono sentito quasi in imbarazzo, confuso per la grandezza unita all’estrema cura e grazia». Così scriveva l’anglicano (e antipapista) in una lettera citata in John Henry Newman. La ragionevolezza della fede, biografia edita da Ares a firma di Lina Callegari (pp. 424, euro 23).Il secondo passaggio in Italia avviene nel 1846, a conversione già avvenuta: Newman visita Milano, città a lui cara perché terra dei grandi padri della fede, Ambrogio e Agostino. Infine, l’ultima venuta data al 1856 quando visita alcuni oratori di San Filippo Neri, di cui è membro, ad esempio giungendo in inverno a Verona, presso l’abate filippino Carlo Zamboni, cui voleva porre alcune domande sulla regola dell’ordine. Fondamentale è l’episodio «italico» quando Newman divenne cattolico per mano di un missionario di Viterbo, trasferitosi in Inghilterra dove voleva rinverdire la morente tradizionale cattolica. Parliamo del beato Domenico Barberi, nato nel 1792, che invece della Cina e dell’America scelse la terra di Shakespeare come missione (nel 1963 Paolo VI lo proclamerà beato). Ebbene, è la Cammarata a ricordarci come quel 9 ottobre 1845 fu proprio padre Barbarini,venuto in contatto con Newman in precedenza, ad accoglierne la confessione e l’ingresso nella Chiesa cattolica. Racconterà Barbarini: «Arrivammo a Littlemore un’ora prima di mezzanotte. Mi misi davanti al fuoco per asciugarmi. La porta si aprì e che spettacolo fu per me vedere ai miei piedi Newman che mi chiedeva di ascoltare la sua confessione, con straordinaria umiltà e devozione». Commenta Cammarata: «Che cosa curiosa che il "Papa dei protestanti" sia stato convertito da un piccolo prete italiano». Quasi per riconoscenza Newman cercò di imparare l’idioma di Dante tanto che nel suo viaggio l’anno successivo (1846) poté rivolgersi nella nostra lingua al cardinale Fransoni, prefetto del Collegio di Propaganda Fide. Alfonso Maria de’ Liguori fu un altro apporto italico al cammino del teologo verso la Chiesa. Il santo napoletano, con i suoi Sermoni, aiutò Newman a comprendere la reale portata dell’importanza della figura di Maria nella vita cristiana, così da sopire la freddezza del pensatore inglese verso la figura della Madonna.Ancora: il fecondo legame Newman-Italia si esplica nella devozione del teologo per Alessandro Manzoni e i suoi Promessi sposi, nonché la simpatia di Antonio Rosmini per l’autore di Oxford. Il beato roveretano infatti era venuto in contatto con Newman tramite padre Luigi Gentili, cappellano di un benestante cattolico inglese. Il loro rapporto intellettuale – i due non si conobbero mai di persona – era così intenso che nel 1849 addirittura dal cardinale Wiseman venne chiesto a Newman di leggere le Cinque piaghe della Chiesa di Rosmini, sul quale non ebbe niente da dire in termini dottrinali. E probabilmente tale giudizio influenzò anche la decisione vaticana di non censurare l’opera dello studioso di Rovereto.Ancora più interessante il rapporto tra Manzoni e il cardinale dell’Oratorio: nel 1837 Newman scriveva di «aver letto il suo romanzo, che mi è decisamente piaciuto. Non ha la ricchezza o il vigore di un Walter Scott, ma mi sembra pieno di naturalità e dispiega una profondo senso religioso che non compare nelle composizioni di Scott, per quanto belle siano». La Cammarata ipotizza anche che nella figura letteraria di fra Cristoforo Newman abbia trovato il proprio ideale di sacerdote. E quando venne in Italia nel 1846 – sia Callegari che la Cammarata lo ricordano – Newman voleva incontrare Manzoni («mi propongo di andare da lui», scrisse in una coeva lettera a Edward Badeley). Solo l’assenza del romanziere da Milano non favorirò un incontro che sarebbe passato di certo agli annali della storia della cultura.
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