mercoledì 12 gennaio 2022
Una meditazione d'artista con i piedi e lo sguardo sul limite del gigante dormiente, simile a un enorme mandala che si rigenera proprio mentre si disperde
Nello specchio notturno dell'oceano

Patrick Connor Klopf / Unsplash

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La calma solenne del gigante adagiato sul rumine finissimo e sterminato di sedimenti della storia del mondo, che è già come è anche se a noi sembra mutare incessantemente, a ogni onda di più mi rapisce in una pace che mutila alla radice i mondi della veglia. Di fronte a questa distesa di acqua senza fine viene lavata, come in un rito di purificazione che nessuno celebra, tutta la patina compromessa del giorno, il Sisifo dall’inutile astuzia che si adopera in ogni modo nel tentativo di colmare una mancanza senza fondo cui un destino misterioso ci lega senza poterla amare.

Per un attimo penso all’Ecclesiaste dove si dice che tutto è vanità. Di fronte ho l’enorme mandala che si rigenera della sua stessa dispersione, permanenza che si diverte a confondere. Non c’è niente da fare. L’oceano, questo oceano che cova tumulti e rivelazioni, nutrito da fiumi che sono stati culla della umanità e ancora radunano milioni di persone che si addossano gli uni agli altri fino a formare il corpo unico alla disperata e fiduciosa ricerca di un respiro che sia per sempre, è capace di mettermi di fronte a una realtà che altrove mi sfugge. Complice la meraviglia delle infinite gradazioni di azzurro e blu che a volte si filtrano nel turchese disciolto con la sapienza di un chimico artista nei verdi pallidi delle shallow waters, le lagune che incorniciano queste infiorescenze di piccoli atolli disseminati a caso come colture capricciose di un biologo bizzarro.

Anch’io dormo, o meglio stavo dormendo poco prima di farmi catturare dal soffio ineffabile che filtra attraverso le verande semiaperte di questa porta sul mistero capace di ispirare da migliaia di anni intere generazioni di guru e adepti di ogni sorta. Il letto è a pochi passi dal gigante, che questa notte ha improvvisamente vinto la sua battaglia con il sonno, il mio. In questa continuità improvvisa di risacca e respiro, dell’aria e della sabbia, del mio letto e del grande letto, del cielo che non perde tempo a dichiarare la sua differenza dall’oceano che l’orizzonte incide come un rasoio da chirurgo, ogni parola diventa superflua. Verità, senso, essenza, diventano un di più, simile ai tanti di più con cui cerchiamo la gratificazione definitiva che non può arrivare, sempre nebulosa e straniera. Possedere cose e persone, possedere ruoli e funzioni, possedere consenso, possedere noi stessi, possedere. Qui tutto ciò che puoi pensare di aggiungere è la bandierina di una proprietà immaginaria destinata a essere spazzata via dentro la stessa marea che la ha ispirata.

Il punto di risacca che sembra volermi venire a prendere accarezzando i piedi per sciogliere i dubbi residui, è la spinta gentile di un mondo all’altro. Il gigante si diverte a dar di gomito a chi e di qua per ricordargli che ogni giorno la sua placida costanza erode le certezze della terraferma annunciando mutamenti imponderabili capaci di ribaltare qualunque solidità. Il punto di risacca è lo sfioro di una rivelazione che non parla, toglie semplicemente l’ appoggio. Provo a fissare qualcosa che fa di tutto per sfuggire, svuotando ogni termine, ogni paragone. Sei lì e basta. Sono qui e basta.

Siamo sempre qui, faccia a faccia con l’essenza e perdiamo il nostro tempo in una agitazione incomprensibile che non servirà a cambiare il nostro destino. Il gigante dorme, e per fortuna. Il suo sonno permette la vita, è la quantità di vita sufficiente per farmi intuire la possibilità della trasformazione, chimera sempre da venire, ipotesi di speranza, alibi del non agire. In questa calma dove la luce ha la forma tremolante dei riflessi delle casette sull’acqua con i loro lumini perenni si alza improvvisamente un’aria nuova che sembra metterti in contatto con il tuo ombelico, ti entra nei polmoni e rigenera l’esistenza. Quella brezza, che ne ha abbastanza dei miei sproloqui, mi dice che devo seguire l’esempio del gigante, e tornare a dormire.

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