giovedì 16 gennaio 2014
COMMENTA E CONDIVIDI
Ci sono le formule fortunate dei sociologi, e poi c’è la poesia. Che non crea formule, ma mette a fuoco l’esistente, il vivente, attraverso l’ispirazione e la strana arte delle parole. I sociologi hanno il compito di leggere il reale, le sue dinamiche. Non è un lavoro facile. E se andiamo a rivedere le previsioni che sorgevano da certe loro analisi dei decenni passati, che sembravano essere vere da divenire quasi luoghi comuni, ci accorgiamo del notevole margine di errore. Avevano previsto una specie di eclissi del divino e del sacro dalla società ed ecco che siamo immersi non solo in mille segni chiari e confusi di tale presenza (da papa Francesco al ragazzetto che si tatua sul braccio il nome della madre uccisa), ma anche in molti conflitti che usano il senso religioso delle persone come scusa e come strumento. Avevano previsto che questa sarebbe stata l’epoca dell’immagine – dall’avvento di cinema e tv– e, se pur è vero in parte, dall’altra mai come in quest’epoca esiste uno scambio infinito e planetario di parole, di messaggi scritti, di frasi, attraverso tutti i modi della comunicazione e dei network contemporanei.Un’altra formula divenuta modo di dire molto in uso in convegni di ogni genere riguarda i cosiddetti “non luoghi”, ovvero quei posti senza identità, anonimi, molto frequentati dalle persone di oggi, dagli ipermercati agli aeroporti. Ma ogni luogo dove si trova un essere umano diviene un luogo umano. Quando in un mio libro di quasi quindici anni fa (Il bar del tempo, Guanda 1999) pubblicai poesie ambientate in autogrill o sale da gioco, molti sembrarono stupirsi che si poteva vedere poesia anche in tali “non luoghi”. Ma la poesia dimostra appunto che non esistono “non luoghi”, esistono i posti dove le persone vivono e stanno, o dove vanno spesso. E che mettere una preposizione negativa, un segno di negazione davanti a qualcosa che esiste può indicare che certi luoghi non piacciono o non si riescono a interpretare secondo criteri già in uso, ma non può diventare una patente di disvalore. Perché la poesia, come diceva W.H. Auden, rende onore a quel che esiste per il fatto che esiste.Allo stesso modo oggi si parla (e straparla) di “società liquida”, ovvero di una società, secondo la fortunata formula di Zygmunt Bauman, che non avrebbe più ancoraggi e dove le relazioni fluttuano in uno stato – appunto – liquido, non più determinate da qualcosa di ontologico che le fonda e orienta ma disponibili, come un’entità liquida, a conformarsi a nuovi contenitori variabili. Si tratta anche in questo caso di una verità parziale. Almeno a scorgere alcuni dei libri di poesia usciti in Italia nell’ultimo periodo. In molti di questi libri, tutti di buona fattura e opera di artisti non ingenui, si assiste a una concentrazione straordinaria nel mettere a fuoco invece relazioni fondate e fondanti la persona. Come se la poesia anche oggi – come avveniva ai tempi di Leopardi o di Baudelaire – andasse in un altro verso rispetto ai luoghi comuni che pretendevano di interpretare il presente. In un libro di Roberta Dapunt di cui abbiamo dato già conto su queste colonne (Le beatitudini della malattia, Einaudi) si mette in scena il rapporto tra madre e figlia nel momento supremo della prova della morte della donna più anziana. In un altro recentissimo libro della medesima importante collana, Ivano Ferrari, in La morte moglie si misura con il lutto per la donna amata. E se un poeta di primo piano come Maurizio Cucchi continua anche in Malaspina (Mondadori) il suo viaggio nelle figure della stirpe, un poeta tra i romani più notevoli, Daniele Mencarelli, ci offre con Figlio (Nottetempo) una delicata e fortissima discesa nel mistero della paternità.Altri due poeti ormai affermati tra le voci più sicure della poesia contemporanea, Mario Benedetti e Alba Donati, coni loro ultimi libri – rispettivamente Tersa morte (Mondadori) e Idillio con cagnolino (Fazi) – compongono due opere in presenza della figura della scomparsa del fratello e della crescita della figlia. Pare insomma che la società forse è liquida ma la vita reale delle persone è contrassegnata in modo forte e resistente dalle relazioni fondamentali, per nulla liquefatte, con le figure di una pur drammatica appartenenza. Su un altro versante, quello della poesia popolare, il successo della trasmissione di Rai Educational di Ambrogio Sparagna, L’Italia che risuona – un viaggio nei canti e nella tradizione di inni e cantate della Penisola –, indica una forza appassionata alle radici, che si reinventa sempre. Forse la poesia, nel suo modo, che non è mai da prima pagina e non è mai da urlo televisivo o da relazione da convegno, ci sta dicendo qualcosa di noi che altri tacciono o non vogliono considerare perché non rientra nei loro criteri o strumenti di misurazione. Anche le recenti opere di Ennio Cavalli (Poesie con qualcuno dentro, Aragno), Paolo Lisi (E la colpa rimane, Passigli) o di più giovani come Matteo Greco, Giorgia Citti, Davide Ferrari, Giovanni Salis ripropongono una immagine di uomo che non avverte l’esponente di una società di relazioni liquideAnzi, semmai oggi il problema è il contrario. Si tratta di trovare un senso più vasto dell’utilità o della morte alla forza di tali relazioni. Ai pilastri – per nulla liquidi – che fondano, inabissano e fanno da colonnato alla nostra identità. Forse il futuro non è da cercare nella cifra della liquidità, ma da un’altra parte. Forse i politici, coloro che hanno potere nei palazzi, nei media, nelle produzioni di spettacolo e di fiction, dovrebbero leggersi questi libri, che non troveranno in cima alle classifiche o che non ricevono grandi sforzi promozionali da parte degli editori. Roba di nicchia, si dice a volte, facendo finta di non saper che le cose migliori e i tesori in genere si trovano nei luoghi nascosti, riparati dal segreto. Forse se leggessero una poesia come questa – da Figlio, di Daniele Mencarellicapirebbero meglio che cosa anche in una società che cambia rende gli uomini e le donne dei misteri interessanti e difficili da descrivere con delle formule. E capirebbero perché trema il loro cuore. «Ecco la tua casa / i paesi che farai tua terra / ecco i visi di famiglia / ancora sfocati alla tua vista, / del mondo niente altro ti serve, / crescerai di stupore in scoperta / vedrai cose figlie all’universo / cose piccole con dentro un vento / da scoperchiare il petto, / come gli occhi di tua madre / innamorati sui tuoi ancora ciechi».
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: