giovedì 9 dicembre 2010
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Tornerà a Goethe per spie­gare la fragilità dei potenti di oggi, e di sempre. Con il Faust chiuderà la tetralogia del potere, iniziata con Moloch, e pro­seguita con Taurus e Il Sole. «L’ho già girato, sto facendo il suono, l’ultima fase della postproduzio­ne, e durerà 130 minuti. Molto probabilmente – rivela –, andrà a Cannes, ma ovviamente prima devono sceglierlo. Si tratta della figura descritta principalmente da Goethe, professore universitario, colto, che, preso dalla passione e dal desiderio di possesso, compie dei crimini, innanzitutto morali». L’annuncio di Aleksandr Sokurov viene dal Tertio Millennium Film Fest, a Roma, dove ha pre­sentato Intonazii (Intona­zioni) un ciclo di documen­tari- interviste commissio­nato dalla tv russa. Un viag­gio attraverso le parole di al­cune figure-chiave della Russia di oggi: artisti, stu­diosi, boiardi di Stato, che squarciano il velo sulla cul­tura, la storia, il futuro, co­me (ma in tutt’altra forma) avveniva ne L’arca russa. An­che qui, come sempre, in Soku­rov, il soggetto è il pensiero. L’og­getto, il potere. Che significato hanno questi do­cumentari/interviste nel suo per­corso umano e artistico? «Innanzitutto sono una persona che vive nella società russa di og­gi. Non in una torre d’avorio. Da sempre e in ogni cosa mi interes­sa l’uomo. Nel caso di Intonazio­ni si tratta degli uomini dalle cui azioni pratiche dipende, molto, la vita della società intera. Attraver­so la conversazione con queste persone cerco di comprendere e di portare allo spettatore il loro modo di pensare. Riprendere e mostrare le persone della nostra epoca in tutta la pienezza, lo può fare solo il cinema. È la sua testi­monianza». Al presidente della Corte costitu­zionale, Valerij Zor’kin, chiede: «In che Stato viviamo noi? Capi­talista o cosa? Cosa abbiamo noi in Russia?». Che risposta si è da­to Sokurov? «In Russia il socialismo non è sta­to annientato definitivamente, anzi. E non ci sono le caratteristi­che del capitalismo, ma proprio nessuna. La Russia oggi è un va­gare caotico». In un’altra intervista, il presiden­te delle Ferrovie russe Valdimir Yakunin le parla di una lotta con­dotta nel passato contro la Chie­sa ortodossa e la fede, mentre di nascosto il popolo battezzava i fi­gli. Qual è il posto della fede nel­la Russia di oggi? «Purtroppo, non è stato possibile fissarlo. Il popolo in Russia ha cambiato molto spesso il proprio rapporto con la fede e la Chiesa. Durante gli anni sovietici il popo­lo ha tradito la propria religione e la propria fede. Oggi la Chiesa or­todossa vive un periodo difficile a causa della tentazione di caricar­si di varie proprietà restituite. Questo desta una forte preoccu­pazione, perché la Chiesa non è una fabbrica del tempo». Il suo cinema è intriso di un sen­so del sacro, nella natura e nei rapporti umani: una spiritualità che sembra, come anche la cul­tura, poco considerata nel mon­do occidentale attuale. Pensa sia così? «In parte. La vita contemporanea più che intrisa sembra trafitta dal­la lotta tra il pragmatismo e la spi­ritualità come tanti anni fa. Ma la società di oggi, tutta, anche in A­sia, non riesce a trovare una spie­gazione morale del progresso tec­nico e scientifico. Anche la reli­gione viene distanziata: ma non deve nascondersi nelle chiese, de­ve vivere della gente, nella vita rea­le. Dobbiamo uscire dai templi». Dopo «Madre e figlio» e «Padre e figlio», la trilogia si dovrebbe chiudere con il prossimo «Due fratelli e sorella»... «Rifletto da tanto su questo pro­getto. Penso che la storia si svol­gerà oltre i confini della famiglia come tale e accadrà più nel con­testo delle manifestazioni dei ca­ratteri umani». Nella Trilogia del potere e in «A­lexandra » sembra che il suo sguardo si sia rivolto alla vicende storiche (le dittature, la Cecenia) ma senza dimenticare il la­to più intimo e umano dei protagonisti. Di Hitler, Le­nin e Hirohito ha detto che le interessava mostrare «co­me coloro che avevano del­le personalità eccezionali sono stati condizionati dal­le passioni e dalle fragilità umane»… «Certo, i protagonisti della storia mi interessano perché noi dipendiamo molto da coloro che hanno il potere, che non ha natura divina. L’oggetto delle mie riflessioni riguarda so­prattutto la natura del potere co­me manifestazione della volontà e del carattere umano. Ma chi so­no questi uomini? Il potere viene accettato dalle persone che han­no dei grandi problemi nell’auto­realizzarsi, smaniosi di prendersi una rivincita. L’uomo al potere è un uomo profondamente infeli­ce, è condannato alla solitudine ed è privato dal privilegio della pe­nitenza, gli rimane soltanto il pri­vilegio di essere punito. Inevita­bilmente». Cosa pensa delle rivelazioni di Wikileaks, proprio sul lato più personale dei potenti di oggi? «Credo che le denunce via rete in realtà non reggano la concorren­za con i soggetti di Shakespeare».
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