giovedì 22 luglio 2021
Nel romanzo storico di Massimiliano Saputo l'ascesa della caduta di un grande delle arti marziali nel Giappone del 1600. Le persesuzioni cristiane e l'incontro con un Gesuita che gli cambia la vita
Neko, il samurai solitario che va incontro al Mistero
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Il codice di onore delle arti marziali giapponesi e la capacità della fede cristiana di arrivare più in profondità, fino al cuore dell’uomo. Le miserie di cui sono capaci gli esseri umani e la nobiltà, la fedeltà, la compagnia, di cui a volte si mostrano maggiormente capaci gli animali, in questo caso i gatti.

C’è questo e tanto altro ne Il cammino di “Neko” Kurotachi di Massimiliano Saputo, edito da EEE-edizioni esordienti Ebook (pagg. 510, 18 euro, 4,99 nella versione e-book). Si tratta di un romanzo storico ambientato nel Giappone del 1600, in una fase in cui il cristianesimo conobbe lì una importante diffusione, ma fu anche oggetto di forti persecuzioni. Il protagonista è un “ronin”, ossia un samurai senza padrone, finito in questa condizione a seguito di una disavventura nella potente famiglia presso la quale era stato adottato.

La trama e la morale sottostante l’avvincente racconto nascondono dichiaratamente, come spesso avviene, una robusta chiave autobiografica. L’autore, infatti, originario di Guidonia, periferia collinare a a est di Roma, è stato ed è tuttora un grande cultore delle arti marziali. Partito col judo da bambino, ha intrapreso in età più matura un più che ventennale approfondimento di una disciplina poco conosciuta, denominata Akido, di cui è attualmente insegnante ed esaminatore, con il grado di V dan, esperienza che lo ha portato a una profonda conoscenza della pratica delle armi tradizionali giapponesi, che poi si rinviene in tutto il racconto, fin dall’inizio. Tuttavia la vera cifra di Saputo è quella di una straordinaria duttilità, a seguito di diverse fascinazioni, in un mix di curiosità e necessità di riprovarci per far fronte alle esigenze del quotidiano, che lo hanno portato negli anni ad avvinarsi al mondo del teatro, all’attività culturale e musicale, oltre alla più prosaica attività delle assicurazioni sulla vita. Esperienza quest’ultima che però trova un segno di continuità con tutto il resto attraverso il valore dell’amicizia e i comuni interessi coltivati con colleghi del settore, fino all’impegno con i disabili nelle case alloggi dell’Università “La Sapienza” e fino all’incontro con due sacerdoti, don Fabio Pieroni e don Giuseppe Tonello, promotori di un laboratorio della fede presso il Santuario di san Bernardo di Chiaravalle, esperienza che certamente ha a che vedere con la parte finale del racconto.

Si direbbe, rimettendo insieme i pezzi, che il romanzo rappresenti dunque un modo per mettere insieme le tessere del mosaico di una vita, vissuta come nel segno una bella canzone di Franco Battiato che evocava la ricerca spasmodica di un “centro di gravità permanente” in grado di illuminare ogni cosa, non potendo chiedere a nessuna di esse le risposte definitive che non è in grado di fornire se non in parte, se non per un certo periodo.

Nulla si spreca della vicenda del protagonista, come evidentemente nell’esperienza dell’autore. E soprattutto se ne ricava una massima, che rappresenta, forse, il vero movente del racconto: arrivare a scoprire come ogni disavventura, al netto della fatica e del senso di smarrimento che comporta, nasconda in sè stessa un’opportunità di arricchimento personale e di messa in discussione di presunte certezze. Si diceva dei gatti. Tanto per cominciare, lo stesso nomignolo del protagonista, “Neko”, vuol dire gatto.

E in effetti per lunghi tratti della storia è proprio un gatto l’unico compagno di avventura del protagonista, in una stretta sintonia che si crea fra le mosse feline dell’animale e l’agitarsi della spada dell’uomo sul quale esercita la sua preziosa vigilanza, come a sopperire alle carenze e alle cattiverie poste in essere dagli umani, che Neko ha dovuto sperimentare.

La disavventura centrale del romanzo è, come si diceva, la caduta in disgrazia del protagonista presso la famiglia che lo aveva reso samurai, diventando uomo di fiducia a corte, fra tante invidie e gelosie che certamente contribuiranno a farlo incolpare, ingiustamente, a un certo punto, dell’omicidio del suo padre adottivo. Per cui Neko perde in un colpo solo il suo riferimento e anche la famiglia in cui prestare servizio da samurai.

Diventato “ronin” (senza padrone) il racconto vive del suo andare solitario, alla ricerca, in un Giappone che conserva il suo inconfondibile fascino orientale, ma nel contempo vive un grande interscambio commerciale e spirituale attraverso l’attività dei mercanti europei e le missioni di Gesuiti e Francescani.

Il contesto storico in cui il romanzo si dipana è quello che fa seguito alla sanguinosa battaglia di Sekigahara (del 1600) che determinò il passaggio ad una nuova era. L'autoproclamato Iyeyasu, fondò una casata destinata a governare il Giappone per due secoli e mezzo facendosi conferire dall'imperatore il titolo ereditario di shogun (1603) e stabilì la sede del suo governo milita a Edo (l'odierna Tokyo), mentre l’imperatore continuava a risiedere a Kyoto. Tale fase storica prende il nome dalla capitale (periodo di Edo) o dalla famiglia Tokugawa che detenne il massimo potere politico e militare nel paese (fase Tokugawa).

Una società strutturata essenzialmente su un modello feudale, con i samurai a rappresentare una vera e propria casta, di cui il protagonista del romanzo riesce a diventare componente.

Fra le tante figure che esercitano un fascino sulla sua vita, le figure femminili della anziana madre (persa a soli 10 anni) e di alcuni amori tormentati che caratterizzano le diverse fasi della sua vita. Ma le figure principali che influiscono sulla formazione e sulle vicende umane di Neko sono quelle di Ogawa sensei, il suo maestro di spada (sensei vuole dire maestro, in giapponese) e il gesuita portoghese padre Guillermo de Navarra. All’uno deve in gran parte la sua adesione al codice di onore e alla disciplina orientale, di cui le arti marziali sono massima espressione, che contemplano la soppressione della vita altrui proprio in nome di quei principi. L’altro è invece decisivo per la sua apertura finale a una diversa prospettiva. Tutta basata sull’amore. La possibilità di tenere assieme le due prospettive naufraga con la rivolta di Shimabara del 1637 dei samurai cristiani avvenuta a seguito delle discriminazioni che avevano già colpito e portato in carcere il suo riferimento padre Guillermo. Proprio lui gli rivela, alla fine, che l’odiato zio Aritomo, è in realtà, senza saperlo, suo padre. Nell’ultimo colloquio con lui il gesuita appare come la figura del padre che gli è mancata e le peripezie umane, l’ingiusto declassamento sociale che Neko ha dovuto subire si rivelano alla fine come l’imprevisto, la “pre-condizione” che lo hanno fatto arrivare disarmato - e dunque aperto, desideroso – di fronte al disvelarsi, finalmente, per lui, del Mistero in grado di dargli pace.

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