sabato 29 gennaio 2022
Il permafrost conserva i dati dei cambiamenti climatici nella storia. Studiare quello alpino prima che fonda è un investimento per il futuro
Nei ghiacciai la biblioteca della Terra

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Carlo Barbante dirige l'Istituto di scienze polari del Cnr e insegna all'Università di Ca' Foscari. Dal libro, Scritto nel ghiaccio. Viaggio nel clima che cambia, in uscita dal Mulino (pagine 232, euro 15) anticipiamo alcuni brani dedicati al patrimonio di informazioni custodito dai ghiacciai.

Siamo naturalmente molto interessati al clima del pianeta negli ultimi 10.000 anni, periodo nel quale noi Sapiens abbiamo messo a frutto quell’enorme bagaglio di conoscenze acquisito nel corso dei 250.000 anni precedenti. Esperienza guadagnata sul campo, attraverso due lunghe glaciazioni che hanno sicuramente temprato il fisico dei nostri antenati, aguzzandone l’ingegno, fino all’arrivo dell’eden climatico dell’Olocene, caratterizzato da temperature miti e simili alle attuali.

L’unico evento degno di nota negli ultimi 10.000 anni, prima del riscaldamento antropico registrato dopo la rivoluzione industriale, è stato un piccolo evento repentino che si è verificato 8.200 anni fa ed è stato osservato molto bene non solo nelle carote di ghiaccio della Groenlandia, ma anche in una varietà di altri archivi paleoclimatici tra cui sedimenti lacustri, carote oceaniche, stalagmiti, anelli di alberi, nonché nelle oscillazioni dei ghiacciai nella maggior parte dell’emisfero settentrionale. Oggi vi è un consenso generale sul fatto che la causa principale di questo evento di raffreddamento siano stati il crollo finale della calotta glaciale dell’America del nord, nella baia di Hudson, e il conseguente drenaggio improvviso di alcuni laghi. Da lì in poi una calma piatta, o quasi. Secoli e millenni trascorsi inesorabilmente in un monotono alternarsi delle stagioni che ha permesso ai nostri antenati di passare rapidamente da popolazioni nomadi di cacciatori e raccoglitori a civiltà stanziali, con l’espandersi delle prime forme di città e l’avvento della pastorizia e dell’agricoltura.

Tutto questo non senza effetti sull’ambiente, rimasti bene impressi nella memoria del ghiaccio. Questo infatti, formatosi nel corso dei secoli e dei millenni attraverso la lenta trasformazione della neve, registra fedelmente anno dopo anno le variazioni nella composizione atmosferica non solo dei composti naturali, ma anche di quelli di origine umana emessi fin dagli albori della civiltà per produrre energia e per trasformare minerali. Prendiamo l’esempio della combustione di biomasse posta in atto in maniera massiccia dai nostri antenati. La Terra è un pianeta intrinsecamente infiammabile, in quanto contiene tutti gli ingredienti del cosiddetto triangolo del fuoco, le tre condizioni specifiche perché il fuoco possa attivarsi: il combustibile, che nel caso dei primi abitanti del pianeta è la legna; un agente comburente, dato dall’ossigeno contenuto nell’aria; e la disponibilità di un qualche innesco [...]. Il fuoco influenza il sistema climatico rilasciando carbonio che altrimenti verrebbe immagazzinato nella vegetazione legnosa, contribuendo al bilancio complessivo di diversi aerosol e tracce di gas serra presenti in atmosfera, tra cui i principali l’anidride carbonica e il metano. Fuoco e clima si influenzano quindi a vicenda, poiché le condizioni ambientali sono il fattore fondamentale per la propagazione del fuoco, mentre le emissioni di gas a effetto serra degli incendi influenzano a loro volta il sistema climatico.

Molti degli incendi occorsi fin dalle ere più remote sono stati indotti dall’uomo, in quanto gli esseri umani hanno da sempre avuto l’esigenza di utilizzare la combustione per esigenze domestiche (cucinare, cacciare, scaldarsi), agricole (disboscamento, uso del suolo) e di sviluppo economico. Fuoco e storia dell’umanità corrono di pari passo. Ma quand’è che le combustioni provocate dall’uomo hanno cominciato ad alterare a loro volta il sistema climatico e ambientale in una maniera tanto significati- va da produrre un segnale quantificabile nei proxies (indicatori, ndr) climatici? Questa è una domanda fondamentale che trova anch’essa risposta nei cristalli di ghiaccio delle calotte polari dove sono intrappolati i primi segnali degli incendi innescati dai nostri antenati [...]. L’anidride carbonica è in costante ma leggero aumento da circa 8.000 anni e il metano da 5.000. In epoca preindustriale il metano atmosferico ha raggiunto il suo picco più recente, 10.000 anni fa, e le concentrazioni di questo gas dovrebbero essere diminuite da allora se avesse seguito lo stesso schema degli ultimi quattro cicli glaciali-interglaciali.

Tuttavia, dopo l’ultimo picco i livelli sono scesi lentamente per soli 2.000 anni, poi hanno ricominciato ad aumentare. Questo cambiamento coincide con l’inizio della grande deforestazione per l’agricoltura in Eurasia 8.000 anni fa. E il ghiaccio ne conserva una chiara traccia [...]. Il ghiaccio non è solo un archivio climatico, ma anche un testimone dell’impatto antropico sull’ambiente e della grande accelerazione nello sfruttamento delle risorse naturali. Lo sviluppo di nuovi metodi analitici per l’analisi di nuovi proxies climatici e ambientali apre frontiere che fino a pochi anni fa erano inimmaginabili nel campo delle scienze del clima e delle carote di ghiaccio. Eppure il tempo per esplorarle potrebbe essere contato: i ghiacciai di tutto il mondo, compresi quelli delle Alpi, si stanno ritirando e stanno fondendo anche ad altitudini fino a 6.000 m sul livello del mare. La velocità di fusione dei ghiacciai è di gran lunga più rapida della nostra capacità di sviluppare nuovi metodi di analisi per svelare anche i segreti più reconditi del clima del passato [...]. A partire dalla seconda metà del XIX secolo, i ghiacciai alpini hanno subito un generale ritiro, quasi continuo, perdendo in media il 60% della loro massa. Entro la fine del secolo, secondo le più recenti simulazioni, si stima un’ulteriore riduzione delle masse glaciali compresa tra il 60 e il 90% rispetto alla massa attuale. Oltre alle ben note conseguenze in termini di risorsa idrica, ambiente ed ecosistemi alpini, la fusione di un ghiacciaio implica la distruzione del suo archivio naturale di informazioni sul clima e sull’ambiente del passato. La storia delle nostre montagne e delle nostre genti è racchiusa nel ghiaccio, come se i suoi cristalli costituissero le pagine di un antico manoscritto.

E proprio come una biblioteca in fiamme, anche la scomparsa di un ghiacciaio è una perdita incalcolabile del nostro patrimonio culturale e delle nostre conoscenze. È quindi essenziale recuperare il maggior numero possibile di carote di ghiaccio dalle Alpi mentre esistono ancora, perché una volta che un ghiacciaio inizia a fondere, tutte le informazioni climatiche e ambientali che sono state immagazzinate al suo interno per migliaia di anni andranno perse per sempre. A questo scopo, assieme a un team internazionale, abbiamo recentemente lanciato il progetto di ricerca 'Ice memory' (www.icememory.it) che ha come obiettivo la perforazione dei più significativi ghiacciai montani a livello mondiale attualmente a rischio di scomparire, al fine di preservare le informazioni in essi contenute e renderle disponibili per le generazioni future. In ciascun sito verranno estratte almeno due carote di ghiaccio. Di queste, la prima verrà immediatamente analizzata in laboratori specializzati, mentre la seconda verrà trasferita in Antartide, il luogo più freddo del pianeta. E lì conservata come in un santuario [...]. Preservare il ghiaccio per le generazioni future è una responsabilità scientifica della nostra generazione, testimone del riscaldamento globale e dei danni nei ghiacciai di alta montagna.


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