martedì 3 maggio 2011
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«La prima volta che mi successe ero molto giovane. Avevo fatto una reazione di sintesi che doveva portare ad un certo prodotto, ma ciò che avevo ottenuto era diverso da quanto mi aspettavo. Dopo molto studio riuscii a capire quale composto avevo ottenuto: era una struttura nuova, un anello fatto da atomi di carbonio, azoto e ossigeno, allora non ancora noto. Provai un’emozione fortissima: in momenti come questo si sente in concreto di aver dato un contribuito – anche se limitato – al progredire delle conoscenze scientifiche. Ogni chimico organico che si occupa di ricerca ha sintetizzato nuove molecole che possono trovare applicazioni utili oppure no, ma che senza di lui non sarebbero mai esistite». Il professor Leonardo Marchetti insegna Chimica organica all’Università di Bologna e presiede il consorzio interuniversitario "La chimica dell’ambiente". E non è un caso che questo sia anche il titolo che l’Onu ha dato al 2011 quando lo ha proclamato "Anno internazionale della chimica".Professore, quali sono le caratteristiche di questa scienza che, con l’occasione, vanno spiegate ai giovani?«Prima di tutto, la sua magnifica razionalità. La chimica ha leggi precise e inviolabili, che permettono di conoscere come è costituita la materia: le possibilità che ne scaturiscono sono straordinarie. Affascinante, per me, è poi la chimica degli organismi viventi: studiandola si ha la dimostrazione che non può essere frutto di una casualità cieca. È evidente che vi è dietro un preciso e sapiente disegno ordinatore. Ai giovani va illustrata questa profonda razionalità della chimica e delle sue leggi, la cui conoscenza permette di indirizzare le reazioni chimiche verso i nostri obiettivi. E questo gli studenti lo capiscono bene. All’università arrivano anche giovani con un’ottima preparazione, sensibili agli aspetti ambientali della scienza. Certamente il livello della didattica chimica nelle scuole medie superiori è molto più elevato che nel passato».Per i rischi che comporta, la chimica non è troppo amata. La maggior parte delle persone, quando si trova a passare in prossimità degli alambicchi argentei di un’industria chimica, si preoccupa. È ancora giustificata la "paura della chimica"?«No. Oggi la chimica non rappresenta più un rischio, non è un mostro in agguato, ma un valido sostegno per la nostra vita quotidiana, una scienza che può assicurare il benessere. La chimica sta dando molte prove di poter essere "amica dell’uomo". Esistono normative su sostanze e processi chimici, che offrono un’assoluta garanzia di sicurezza. Si tratta di farle rispettare: solo quando vengono violate la chimica può diventare una minaccia. Mi riferisco in particolare a quanto accade nei Paesi che, per attuare aggressive politiche commerciali, si rifiutano di adottare norme come quelle in vigore nell’Unione Europea e in altri Paesi industrializzati».È possibile prevedere ed eliminare sul nascere le emissioni tossiche  e inquinanti?«Sì: oggi da un punto di vista teorico, e ancora di più sulla base di prove sperimentali, si può prevedere la possibilità di emissioni dannose. Da alcuni anni esistono su questi punto normative a livello internazionale. Nella Ue, ad esempio, è in vigore una direttiva sull’uso dei prodotti chimici che fornisce gli strumenti legislativi, tecnologici e culturali perché non si verifichino i gravi incidenti che hanno accompagnato la chimica nella sua storia e che spesso erano frutto di una conoscenza inadeguata della materia».Quali efficaci innovazioni sono state già introdotte?«L’Ocse ha definito diverse aree di interesse in cui la "chimica verde" è impegnata: ad esempio le materie prime alternative, rinnovabili e meno tossiche; i reagenti innocui, intrinsecamente meno pericolosi; i processi naturali e le trasformazioni chimiche basate sulla biosintesi o sulla biocatalisi; i solventi che abbassano i rischi ambientali; le tecnologie per un ridotto consumo energetico; minore impiego di additivi e imballaggi, per arrivare all’obiettivo "rifiuti zero"».Quanto sono scese le emissioni chimiche?«Molto. La diminuzione può essere percepita agevolmente confrontando l’ambiente di oggi, nelle città e nei luoghi di lavoro, con quello del passato. Si osservi come si vive  nelle metropoli che applicano le procedure della "chimica verde" e in quelle che l’hanno ignorata. Basta pensare a Londra e al Tamigi, ma gli esempi positivi sono molti».La crisi economica mondiale può scoraggiare gli investimenti nella chimica "pulita"?«La "chimica verde" sta vivendo una fase di considerevole espansione. Ormai un progetto chimico, a livello nazionale o internazionale, viene finanziato soltanto se risponde ai principi-base della salvaguardia dell’ambiente: tutti gli enti di controllo tendono sempre più a rendere "puliti" i processi e le sintesi chimiche. Applicare i canoni della "chimica verde" ha certamente un costo, e soprattutto richiede un rilevante impegno tecnologico, sociale e culturale, ma oggi è indispensabile marciare in questa direzione. L’Europa, all’avanguardia nel mondo, sta facendo scuola. Chi pensa solo alla produzione senza curarsi dell’ambiente produce forse a costi inferiori, ma provoca un dissesto ambientale con conseguenze drammatiche che poi ricadono su tutti, anche su chi ha creduto di "risparmiare"».
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