domenica 19 giugno 2011
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La collezione di Emil Georg Bürhle è da brividi. Da Rodin fino a Cezanne passando per il meglio di Delacroix, Manet, Monet, van Gogh, Chagall, Braque... Ma i brividi li dà anche perché, produttore di armi svizzero e collaborazionista del regime hitleriano, Bürhle ottenne molti pezzi da ebrei perseguitati dal nazismo. Già nel ’48 il governo inglese individuò ben 77 dipinti appartenuti a famiglie ebree, costringendo Bürhle a restituirli. La collezione è oggi al centro di una polemica. La Kunsthaus di Zurigo vuole esporne in deposito permanente 150 pezzi. Spetterà ai zurighesi, con un referendum, se accettare la collezione. E quindi riabilitare il suo fondatore. Il caso Bürhle è esemplare del fenomeno dell’arte espropriata, razziata o ceduta a forza durante il nazismo. In inglese si chiama looted art.Dopo la caduta del Muro e l’apertura degli archivi, gli eredi di famiglie ebree deportate e sterminate hanno moltiplicato le richieste per riottenere il patrimonio. Nel 1998 quarantaquattro Stati hanno firmato la conferenza di Washington per la restituzione dei beni sottratti nell’era nazista. Il tema è d’attualità: a Milano, a Palazzo Turati giovedì prossimo si terrà un convegno internazionale, il primo del genere in Italia, con molti esperti, tra i quali Agnes Peresztegi della Commissione for Art Recovery, Howard Spiegler, presidente della Art Law Commission della Union Internationale des Avocats, Tullio Scovazzi, docente di Diritto Internazionale all’Università Milano Bicocca, il capitano dei Carabinieri Andrea Ilari, del Nucleo tutela patrimonio culturale di Monza. E altrettanti avvocati nordamericani. Fin dagli anni 30 Hitler aveva pianificato di appropriarsi del meglio dell’arte europea. Lo scopo era realizzare nella "sua" Linz il Fürhermuseum, destinato a raccogliere l’immenso bottino. Le opere erano ottenute con metodi che andavano dal furto alla confisca. Molte furono acquistate – ma certo non al reale valore di mercato. Predatore bulimico fu Hermann Göring. Nel ’45 aveva raccolto oltre 2000 pezzi come Venere e Cupido di Cranach, I due filosofi di Rembrandt e il Ritratto di giovane di Raffaello (tutt’ora disperso). Nel ’44 ricevette come "dono di compleanno" la Danae di Tiziano da Capodimonte. Le cifre finali sono da capogiro: gli alleati nel ’45 individuarono 1045 depositi per circa 700 mila oggetti. Alla base non c’era sempre un tragico, malinteso amore per il bello. Anche il lato economico contava. Lo stesso Göring rivendeva i quadri, pagati a poco, a prezzi stellari. Gli ebrei per sopravvivere si ritrovarono a svendere i patrimoni familiari, che finivano presto sul mercato. E per fare cassa i nazisti non disdegnavano nemmeno l’arte degenerata. Dopo la guerra fu fatto un grosso sforzo per restituire i beni ai legittimi proprietari. In Italia De Gasperi incaricò Rodolfo Siviero di recuperare le opere sottratte sia dai tedeschi (fu lui a riportare nel 1947 a Napoli la Danae) sia dal regime mussoliniano. «Le razzie fasciste furono odiose quanto quelle naziste – spiega lo storico Mimmo Franzinelli – ma non ci fu una programmazione analoga a quella hitleriana. C’era piuttosto una persecuzione quotidiana, burocratica, il cui scopo era fare bottino, senza nessun interesse per un eventuale valore estetico o culturale». Ma già negli anni 50 lo zelo verso la looted art venne meno. Solo negli ultimi due decenni l’interesse è rinato. Certo la distanza dagli eventi concede una maggiore lucidità nell’affrontarli. Ma non si deve trascurare l’aspetto economico: molti quadri infatti finiscono direttamente in asta. L’Italia nel 1995 in L’opera da ritrovare pubblicò l’elenco di Siviero con i pezzi ancora mancanti all’appello. Nel 2001 sui soprusi patrimoniali subiti dagli ebrei con le leggi razziali tornò una commissione parlamentare guidata da Tina Anselmi. Il web poi ha facilitato la circolazione delle informazioni. Nel 2008 Berlino ha messo online l’elenco dei pezzi destinati al Fürhermusem. E da maggio è attivo il portale della Commission for Looted Art in Europe che riunisce in un solo archivio i dati di Regno Unito, Francia, Belgio, Germania, Ucraina e Usa. Ma la restituzione è spesso problematica. «La legiferazione dei singoli Stati è molto carente» commenta Tullio Scovazzi. «Pochi Stati hanno adottato leggi ad hoc. La più avanzata è quella inglese, l’Holocaust (Return of Cultural Objects) Act. Votato solo nel 2009». E l’Italia? «Non ha nessuna legge». E proprio il nostro Paese è coinvolto in un caso di restituzione negata. Nel 2009 i Carabinieri del Nucleo di tutela del patrimonio culturale di Monza ritrovano due dipinti trafugati dai nazisti nel 1943: i primi recuperi di looted art in Italia dagli anni 50. Il primo è un ritratto di Sustermans, felicemente consegnato alla Diocesi di Assisi, erede universale dello storico dell’arte Mason Perkins, l’antico proprietario. Il secondo è una tela di Bernardo Strozzi rubata all’intellettuale americano Charles Loeser. Il quale, prima di morire, avrebbe poi donato parte della sua collezione agli Uffizi. L’autorità ne dispone la restituzione alla pronipote, Philippa Calnan. Ma nel marzo scorso il Tar lombardo nega la domanda di esportazione perché il termine entro cui la famiglia poteva reclamare i dipinti perduti è scaduto nel 2004. Per ironia, nel novembre 2010 proprio l’Italia aveva goduto di una restituzione.Grazie infatti a l’Holocaust Act la cattedrale di Benevento ha riottenuto un Messale del XII secolo trafugato nel 1944 e finito pochi anni dopo alla British Library. A una prima rivendicazione nel 1978 fu risposto che per la legge inglese un oggetto deve essere reclamato entro sei anni dalla scomparsa. Nel 2009 grazie alla nuova legge la richiesta è stata riconosciuta. Il Messale è il primo oggetto restituito da l’Holocaust Act. «Può sorprendere – dice Scovazzi – che l’opera non abbia nulla a che vedere con la Shoah. La legge però copre, con lungimiranza, un arco cronologico e un contesto: l’era nazista. Le ragioni giuridiche avanzate dalla British Library erano del tutto lecite. Ma qui, e a mio avviso giustamente, è stata preferita la ragione morale a quella strettamente legale. Credo che anche per l’Italia sia giunto il tempo di dotarsi una legge simile».
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