domenica 10 marzo 2024
La musica è un percorso "autotrascendente" dell’umano alla ricerca di una pacificazione che potrà essere data solo dalla conoscenza diretta del mistero di Dio
Rosso Fiorentino, "Angelo che suona il liuto". Firenze, Gallerie degli Uffizi

Rosso Fiorentino, "Angelo che suona il liuto". Firenze, Gallerie degli Uffizi - WikiCommons

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Pubblichiamo alcune pagine dal primo capitolo del volume La musica e la bellezza di Dio (Queriniana) del teologo e arcivescovo di Chieti-Vasto Bruno Forte.

Le forme più alte della musica sono spesso segnate dagli stilemi della nostalgia: anche una musica come il jazz, emblematica della modernità legata al “sogno americano”, nasceva dalla nostalgia di un mondo lontano, quello degli schiavi d’America, che ricordavano un’ancestrale libertà perduta, come quello degli emigrati, anche italiani, che traducevano in melodie struggenti il ricordo degli affetti e dei legami della terra natia. Anche gli stilemi del tango nacquero per tradurre in canto la nostalgia dei mondi perduti dai tanti emigrati che cercavano fortuna nel “nuovo mondo”. Due forme musicali così diverse, dunque, come il tango e il jazz nacquero da un’analoga situazione vitale, che trovava pacificazione, riposo e consolazione nella musica. Si potrebbe affermare che la musica, specialmente nelle sue forme più alte, è una sorta di cifra dell’auto-trascendenza umana alla ricerca di una pacificazione piena e ultima, che le potrà essere data solo dal mistero del Dio totalmente altro e insieme totalmente vicino.

È illuminante in tal senso la battuta di Karl Barth, significativa voce della teologia del ‘900, che dice che gli angeli in Paradiso davanti a Dio suonano Bach, ma quando sono soli suonano Mozart e il Padre eterno va dietro la porta ad ascoltarli! Anche Dio ha desiderio e nostalgia della bellezza espressa dalla migliore musica umana! Così, il medico dei lebbrosi Albert Schweitzer, che era anche un grandissimo musicista, scrisse un libro intitolato Johannes Sebastian Bach, le Musicien-poète (1905), in cui dimostrava che le cantate di Bach hanno sempre una struttura trinitaria, che richiama la fede della Chiesa, esprimendo in questo la profonda nostalgia del Dio che è amore nella relazione dell’Amato, dell’Amante e dell’Amore personale che li unisce… Se tutto questo corrisponde a realtà, si comprende anche come possa essere riconosciuta come forza ispiratrice e portante della musica l’amore… espressione del bisogno umano di auto-trascendenza, di quel desiderio di oltrepassare i limiti e l’inesorabile caducità della vita, che anima in ognuno di noi, mendicanti del cielo, la lotta quotidiana contro la morte a favore della vita.

Per questa ragione, quasi ogni testo scritto per essere musicato si rivolge a un tu, il pronome della relazione duale, in cui ci si mette in gioco verso l’altro sia nell’ascolto, che nell’offerta di sé. Nella musica sacra questo Tu è il Tu divino, il totalmente Altro, eppure totalmente prossimo e vicino. Perciò il canto sacro è voce dell’esperienza più profonda e più bella che un credente possa fare nella sua vita, quella di sentirsi amato da sempre e per sempre da un Amore infinito …Va anche evidenziato nei testi legati alla musica sacra l’uso del futuro, nel continuo ritorno dei verbi che esprimono l’apertura all’avvenire: si potrebbe dire che chi fa l’esperienza dell’auto-trascendenza approda infine al Tu maiuscolo, aprendo la sua vita ad una prospettiva di speranza e avvertendo nel cuore che l’ultima parola non sarà quella della morte, ma quella dell’Amore vittorioso sulla morte. Dietro il canto sacro, a ispirarlo e motivarlo, c’è insomma la fede e la sua grande forza, inseparabile dalla speranza…

Cantare con fede è vivere l’auto-trascendenza consegnandosi a Dio, e proprio così significa vincere la prigionia dell’adesso e il timore dell’ultimo silenzio, che è la morte… Chi crede non è mai solo, nella vita, come nella morte. Questa speranza fiduciosa e certa si esprime, appunto, nell’uso dei verbi al futuro dei canti sacri, fondata sulla memoria di cui è custode la Parola di Dio, trasmessa dalla Chiesa… Così nel Cantico delle creature c’è una strofa dedicata a sorella nostra morte: Francesco la scrive nelle ultime ore della sua vita, mentre sente l’avvicinarsi della fine. È un testo di una bellezza straordinaria, perché le parole di cui è composto sono pagate con la vita da un uomo, che sta ricevendo il dono dell’incontro definitivo con l’amato Signore. Nella memoria di quello che Gesù ha fatto per noi Francesco trova luce su tutto: il Cantico porta alla parola il movimento di trascendenza e la nostalgia, che sono propri di ogni vita umana. In esso si esprime nel modo più alto l’autentica creatività musicale, perché la musica si fa in esso voce della struggente attesa che ci portiamo dentro, la nostalgia del totalmente Altro… Cantore di Dio, Francesco è il cantore della bellezza delle creature e della sete che esse accendono in noi di vedere il Volto dell’Amato. Col Cantico egli si fa musicista di Dio nella forma più umile, alta e bella, cantando la profonda nostalgia di ogni cuore che credendo ama e amando spera, anche oltre ogni misura di speranza: in questa prospettiva pure la morte appare “sorella” e l’ultima soglia si offre come porta della vita.

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