martedì 26 dicembre 2023
Una iniziativa congiunta del Museo Diocesano e del Castello Sforzesco presenta, dopo un restauro durato circa cinque anni, la grande messinscena del pittore Londonio. E la ripropone a tutti
Particolare del presepe di Londonio in mostra al Museo Diocesano di Milano

Particolare del presepe di Londonio in mostra al Museo Diocesano di Milano

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Nel Settecento le opere di Francesco Londonio, di cui quest’anno cade il terzo centenario della nascita, erano molto richieste dalla nobiltà lombarda che spesso gli commissionava dipinti, incisioni e persino presepi da ritagliare nella carta e nel cartoncino dipinti a tempera, una tradizione più antica di cui forse quello del Londonio fu l’ultimo eseguito a mano. L’Ottocento vide anche vari suoi seguaci e imitatori, che diedero slancio alla produzione dei presepi stampando fogli con le sagome da ritagliare, opere che hanno una vaga somiglianza con i pop-up che tanto piacciono ancora ai bambini e che costituiscono un genere malto ricercato dal collezionismo (formidabili quelli cecoslovacchi e dell’Est europeo, dove quest’arte ha raggiunto livelli impareggiabili negli anni Venti e Trenta del secolo scorso).

Poi, Londonio è lentamente scomparso dalle scene e qualcuno non ha mancato di denigrarlo: «poetiche “pastorellerie”» cui corrispondeva nell’analizi il rilievo di una «insufficiente abilità» e di una «mancanza di fantasia», persino nelle opere dipinte di cui si disse che erano «slavate e manierate». I flussi del gusto nella storia, si sa, hanno questi alti e bassi, ma la mostra che il Museo Diocesano di Milano, a cura di Alessia Alberti – conservatrice del Gabinetto dei Disegni e Raccolta delle Stampe “Achille Bertarelli” del Castello Sforzesco – e di Alessia Devitini – conservatrice del Museo Diocesano di Milano – ha organizzato fino al 28 gennaio in collaborazione con le raccolte del Castello Sforzesco, dirette da Francesca Tasso, intende proprio sfatare questa perdita di peso specifico del Londonio.

In mostra 40 opere che guidano lo spettatore fino all’ultima sala dove è esposto integralmente il Presepe che Londonio realizzò, su richiesta del conte Giacomo Mellerio per la Villa Gernetto nei pressi di Lesmo, donato nel 2018 da Anna Maria Bagatti Valsecchi al Museo Diocesano che negli ultimi cinque anni lo ha fatto restaurare dallo studio Luigi Parma, e lo espone ora dentro una grande teca nell’allestimento curato da Alessandro Colombo e Paola Garbuglio (che quando il presepe non è oggetto di una esposizione prevede per ogni figurina ritagliata una ulteriore piccola teca a scopo conservativo).

Come nota Luca Tosi nel saggio pubblicato in catalogo (edizioni Dario Cimorelli), oggi Londonio patisce ancora una scarsa notorietà perché il pubblico che visita le mostre ha una estrazione sempre più internazionale che finisce col sottostimare ciò che il mainstream del turismo d’arte predilige. E questo non può che livellare la conoscenza e favorire l’ignoranza. Si aggiunga che Londonio si è contraddistinto producendo un immaginario agreste, “soggetti arcadico-pastorali”, oggi magari è lontanissimo dal gusto imperante – ma basterebbero i due piccoli dipinti a olio su carta del Castello Sforzesco, Studi di tre teste di pecora e Studi di tre di capre, o nella stessa collezione uno Studio di una pecora a matita nera, pennello, inchiostro e biacca, a sconfessare questo pregiudizio. Londonio non sarà un genio assoluto, non avrà guadagnato la sua grandezza con un capolavoro indiscusso che lo identica nella memoria di tutti (ma in un certo senso, è quello che d’ora in poi farà il Presepe di carta del Diocesano) ma come ricorda ancora Tosi le sue opere erano, quando lui le realizzava, must-have, vale a dire imprescindibili per le collezioni dei suoi nobili committenti.

Se il crollo della sua fortuna critica si è verificato nel Novecento, una ragione storica dev’esserci, al di là del Londonio stesso. E credo che sia da imputare alla crisi della stampa popolare dopo l’avvento delle avanguardie. È un fenomeno che ha colpito varie aree europee, con le diverse stamperie che producevano migliaia di fogli diffusi non soltanto tra un collezionismo alto, ma anche fra la gente comune: una delle storie che ancora poco è stata indagata è quella della stampa popolare russa fra Sette e Ottocento, fogli chiamati in russo lubok, che narravano miti e tradizioni popolari dove anche in questo caso avevano molto spazio gli animali e il mondo agreste.

La linea su cui muoveva Londonio ebbe seguaci importanti e nell’Ottocento fu sostenuta a livello editoriale dai Vallardi, grazie anche allo sviluppo di nuove tecniche, per esempio la litografia, come scrive in catalogo Alessia Alberti, secondo modelli iconografici accostabili all’imagerie d’Épinal, che tuttavia nel XX secolo si eclissarono progressivamente. E non è nemmeno da escludere che questa crisi sia dovuta alla progressiva scomparsa di una figura chiave, quella dei Colporteur, i venditori ambulanti di almanacchi, calendari e altre stampe popolari, oggetto pochi anni fa di una mostra proprio al Castello Sforzesco curata dal compianto ing. Alberto Milano, grande collezionista di stampe popolari – possedeva oltre centocinquanta lubok datati tra il Seicento e l’Ottocento –, e ci si chiede che fine abbia fatto la sua ricchissima collezione che, come lui stesso pensava, avrebbe ben figurato accanto alla Bertarelli sotto il tetto del Castello. Dove la Bertarelli è già una miniera contando ben un milione d’immagini.

Oltre alle circa 60 figure dipinte e ritagliate del Londonio – dove la composizione del Gernetto, come spiega Alessia Devitini in catalogo, è probabilmente nata dalla fusione di tre presepi, che creano una vera e propria scenografia complessa –, in mostra sono esposte dieci mirabili incisioni su carta azzurra, un segno di particolare raffinatezza sottolineato anche da ritocchi a biacca, realizzate dall’artista negli ultimi cinque anni di vita per il conte Mellerio. A questo si associa una campionatura di fogli con figure da ritagliare stampati dai Vallardi, ma anche di epoca più tarda, dai primi decenni fino a metà del Novecento, editi in Germania, a Milano e Trieste.

Insomma, una tradizione che continua fino a tempi recenti, e oggi da incentivare, magari coinvolgendo, come fa il Diocesano anche le scuole, mentre alcune scoperte storiche stanno trasformando una immagine che si diceva nata dal presepe di Greccio, di cui cadono quest’anno gli ottocento anni. Lo stesso editore del catalogo, Cimorelli, mettendosi sulle orme dei precedenti stampatori, ha prodotto anche una cartellina intitolata Costruisci il Presepe di carta di Londonio con le figurine da ritagliare e montare come nel Presepe originale esposto al Diocesano. Un'ottima opportunità per trovare nuovi amanti del presepe di carta.

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