martedì 17 novembre 2020
Il pilota spagnolo riporta la casa giapponese sul tetto del mondo: nata nel 1920, arriverà al successo nel 1962 grazie al tedesco Degner che la Germania Est bollerà poi come traditore
Il pilota spagnolo Joan Mir campione del mondo di MotoGp con la Suzuki

Il pilota spagnolo Joan Mir campione del mondo di MotoGp con la Suzuki - Afp/Lluis Gene

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A 20 anni esatti dall’ultima volta la Suzuki torna sul tetto del mondo. Lo fa in MotoGp grazie al 23enne spagnolo Joan Mir, che con il settimo posto in rimonta nella penultima gara del Mondiale vinta dall’italiano Franco Morbidelli sul circuito di Valencia, stacca definitivamente i suoi inseguitori, a partire dal francese Fabio Quartararo della Yamaha Petronas. Il titolo piloti del maiorchino, costruito sulle prestazioni della Suzuki GSX–RR e sulla regolarità di rendimento dell’iberico, è il sedicesimo nel Motomondiale per l’azienda giapponese, che nel 2020 festeggia un secolo di vita. Una scia di trionfi, conquistati con campioni del calibro di Barry Sheene, Hugh Anderson e Kevin Schwantz, iniziata nei primi Anni Sessanta. In quel periodo Suzuki si affacciava per la prima volta alle corse in Europa. La casa giapponese partecipava solo nelle cilindrate più piccole, 125 e 250, con risultati poco soddisfacenti.

In quelle due classi, da qualche stagione, gareggiava Ernst Degner. Classe 1931, nativo di Gliwice, nell’attuale Polonia, è un cittadino della Repubblica Democratica Tedesca. Dopo il diploma da ingegnere sviluppatore Ernst, che si è trasferito a Berlino e a 14 anni è orfano di entrambi i genitori, ottiene un lavoro in un’azienda di costruzioni, mentre coltiva la sua grande passione: i motori. Corre con una moto assemblata da lui e ottiene ottimi risultati, gareggiando per il Motorrad–Club Potsdam. Nel 1954, a 23 anni, Degner disputa la sua prima stagione da pilota “vero”. Nel 1956 è ingaggiato dal reparto corse della Mz, azienda di Stato nata nell’allora Germania Est, sulle ceneri della Dkw, storica casa tedesca che gareggiava durante il periodo nazista. Lì Degner incontra Walter Kaaden. I due, qualche anno prima erano stati avversari in gara, ma ora Kaaden, ingegnere, dirige la scuderia. Durante la Seconda guerra mondiale ha lavorato con Wernher von Braun, l’uomo dei missili V1 e V2. Grazie a questa esperienza e a una sconfinata passione e competenza motoristica, Kaaden sviluppa insieme a Degner, a Horst Fügner e agli altri piloti MZ, moto in grado di competere con i team occidentali, nonostante il budget limitato. Tanto che nel 1961 Degner, che ha esordito nel ‘56 e ha vinto il suo primo Gp a Monza nel ‘59, è in corsa per il Mondiale 125. Nella sua testa però c’è anche altro. Sta progettando, con il supporto di Frank Petry, importatore della Suzuki in Germania Ovest e di Jimmy Matsumiya, plenipotenziario della casa giapponese in Europa, la fuga verso l’Ovest. Vorrebbe già scappare al termine del Gp dell’Ulster, il 12 agosto, ma il giorno seguente le autorità della Ddr iniziano a costruire il Muro di Berlino.

La fuga è rinviata di poco più di un mese, dopo il Gp di Svezia. Se vincesse Degner sarebbe campione del mondo, ma la sua Mz lo “tradisce”, costringendolo al ritiro. Ernst decide di fuggire lo stesso, scappa e si imbarca senza visto per la Danimarca. Nel frattempo Frank Petry sta portando nel bagagliaio della sua auto, narcotizzati, la moglie e i figli di Degner in Germania Ovest, dove Ernst si ricongiungerà con loro. Il pilota slesiano, per i suoi ormai ex concittadini, da eroe diventa un traditore. Le autorità motoristiche della Ddr gli revocano la licenza per gareggiare e nonostante abbia una moto per correre nell’ultimo Gp e la licenza della Germania Ovest, non prende il via in Argentina, perché il suo mezzo non arriva. Perderà così quel titolo mondiale in 125, ma l’anno successivo, lo vincerà con la Suzuki nella neonata classe 50. È il primo della casa giapponese, con una moto progettata proprio grazie al Degner. Ernst però non sarà fortunato. Nel 1963 avrà un terribile incidente sul circuito di Suzuka e per guarire assumerà dei farmaci che lo renderanno dipendente. Morirà nel 1983, alle Canarie, in Spagna, per un infarto probabilmente dovuto a un’overdose, anche se qualcuno ha sospettato una vendetta da parte della Stasi. Una curva del circuito di Suzuka si chiama come lui. Per ricordare chi ha portato la Suzuki a trionfare per la prima volta. Rischiando la vita.

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