giovedì 30 marzo 2023
L'ex campione trentino che ha vinto tre volte di fila la "regina delle classiche" (in programma a Pasqua) scommette sul giovane azzurro: «È un talento assoluto»
Francesco Moser, ex campione di ciclismo, vincitore di un Giro e diverse classiche tra cui tre volte la Parigi-Roubaix

Francesco Moser, ex campione di ciclismo, vincitore di un Giro e diverse classiche tra cui tre volte la Parigi-Roubaix

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È un po’ come il Natale, anche se quest’anno la Parigi-Roubaix si correrà nel giorno di Pasqua. È una delle ricorrenze sportive più conosciute al mondo, qualcosa di più di una corsa ciclistica, proprio perché va oltre, verso un limite che i corridori sono portati a superare, sempre. È l’inferno del Nord, la regina delle classiche, la corsa in linea più conosciuta al mondo, proprio per la sua particolarità, per quelle strade lastricate di pietre, per quei tratturi a schiena d’asino che diventano impossibili con la pioggia e il fango, ma duri lo sono ugualmente anche con il sole, per la polvere che si innalza da terra a soffocarti la gola e a offuscarti la vista. È la Parigi-Roubaix, che l’Italia del pedale ha vinto quattordici volte nella storia, l’ultima con Sonny Colbrelli, due anni fa. Ora ci riproviamo con Filippo Ganna, l’uomo d’oro della pista, l’uomo d’oro del cronometro, che sogna le pietre più famose del pianeta. Per il piemontese di Vignone, secondo alla Milano-Sanremo, alle spalle di Mathieu Van der Poel che ritroverà sicuramente su quella pavimentazione a cubetti che Napoleone III volle per le strade di campagna, percorse da carri, quel traguardo che profuma di storia è il sogno bambino. Francesco Moser l’ha corsa tredici volte in carriera, vincendo tre edizioni consecutive, dal 1978 all’80. Due i secondi posti, altrettanti i terzi, oltre ad un quinto, un ottavo e un decimo posto. Il peggior risultato? 19°nella sua ultima apparizione. A lui che non è “monsieur Roubaix”, titolo che spetta di diritto solo a Roger De Vlaeminck e Tom Boonen, a quota quattro, abbiamo chiesto un parere su quello che potrà fare questo ragazzo di 26 anni, che vuole trasformarsi anche in cacciatore di classiche.
Il 9 aprile Filippo Ganna darà l’assalto alla “regina”: è lecito attendersi qualcosa di buono?
Altroché. Filippo ha un motore di prim’ordine. È un atleta di assoluto talento, non solo per quello che ha fatto vedere in questi anni sugli anelli di mezzo mondo o nelle prove contro il tempo, ma anche nelle corse in linea. Alla Sanremo è stato davvero molto forte e il suo secondo posto, se solo ci avesse creduto un po’ di più, poteva anche trasformarsi in qualcosa di molto più prezioso.
Da under 23 vinse un’edizione, tra i professionisti non ha avuto ancora fortuna.
Ecco, oltre ad una buona condizione, occorre avere anche fortuna. Un anno fa, dopo le prime due partecipazioni non propriamente felici (fuori tempo massimo nel 2018, ritirato nel 2019, ndr), è stato penalizzato non poco da un’influenza che gli ha in pratica condizionato tutta la prima parte della stagione. Quest’anno mi sembra che ci arrivi al meglio, anche se alla Gand è stato costretto al ritiro per una caduta.
È una corsa contro gli avversari, ma soprattutto contro sé stessi: un po’ come in una cronometro.
Per certi versi sì. È una corsa di gruppo, che beneficia del lavoro prezioso della squadra, ma in più di un’occasione, soprattutto negli ultimi cinquanta chilometri è una corsa molto individuale. Si devono avere grandi gambe, ma anche grandissima testa. È una corsa che va preparata, sia a livello di mezzo meccanico (la bicicletta deve essere settata in modo adeguato) ma soprattutto mentale. Il ciclismo è sport molto esigente, la Roubaix lo è in modo particolare.
Non tutti la amano.
Vero, c’è anche chi non la considera nemmeno ciclismo, ma generalmente sono quei corridori che non si trovano a proprio agio su queste superfici.
Saronni la odiava…
Io l’ho amata, più di ogni altra corsa. Vincere su quelle strade mi ha portato nell’Olimpo del ciclismo mondiale.
Vuol dire che Saronni non fa parte dell’Olimpo?
Voglio solo dire che lui la Roubaix non l’ha mai vinta e non sa cosa si è perso.
Filippo la ama, ma lei crede che abbia i numeri per inseguire un traguardo così?
Il motore c’è, il fisico anche, la testa è quella giusta perché si vede l’approccio che ha nello svolgere la sua professione: è molto scrupoloso e serio. C’è da verificare solo la sua capacità di guida su quelle pietre. Pedalare a sessanta/settanta all’ora nella Foresta di Arenberg non è cosa per tutti.
Cosa ci vuole?
Leggerezza. Potenza e leggerezza: un mix tutt’altro che facile da ottenere. Guai provare a governare la bicicletta, bisogna essere bravi solo a farla scorrere, con movimenti impercettibili. Bisogna avere sensibilità: facile da dirsi, un po’ più complesso da farsi. Molti pensano che chi non riesce in una corsa del genere non è forte, ma non è così. Ho visto corridori che erano muniti di grandi motori, ma non sapevano far scorrere la bicicletta, erano rigidi, tesi e terrorizzati e il mezzo si trasformava in un cavallo imbizzarrito. Invece bisogna avere l’accortezza di accarezzare i pedali. Il manubrio non va stretto, ma tenuto con cura, quasi ad ammortizzare con le mani e le braccia i sussulti che la forcella subisce dal pavé. Solo chi pedala su quelle superfici può davvero capire il fascino e la dannazione di pedalare sulle strade più infernali del ciclismo, che portano però quasi sempre in Paradiso».

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