sabato 9 novembre 2019
Il filosofo, che insegnò a Pisa, ha indagato la storia delle idee dal contrasto passioni-ragione che caratterizza da sempre l'essere umano fino all'avvento delle nuove tecnologie e della biomedicina
Il filosofo Remo Bodei, 1938-2019 (Ansa)

Il filosofo Remo Bodei, 1938-2019 (Ansa)

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«Vivere è un’arte e non una scienza », cosicché «la gestione ottimale del tempo della vita da parte di ognuno è probabilmente la conquista più preziosa ma anche la più difficile », ragionava nel suo recentissimo Dominio e sottomissione (il Mulino) Remo Bodei, scomparso 81enne a Pisa giovedì 7 novembre. Professore emerito all’Università della città toscana, in cui aveva iniziato i suoi studi accademici presso la Scuola Normale Superiore, il filosofo e storico delle idee occupa un posto di assoluto rilievo nel panorama della cultura italiana. Vi ha contribuito con una serie di studi ricchissimi in erudizione, capaci di parlare a un vasto pubblico istruito, e intessuti di un pensiero aperto e umanistico nel senso più pieno.

Non a caso, chiudendo il libro che diventa ora il suo alto commiato, auspicava una sintesi tra homo laborans, homo agens e homo contemplativus, «non per cercare una via di fuga dal mondo», bensì «per non svalutare e sprecare la propria vita». Un’evidente linea di continuità nell’opera di Bodei è stata la riflessione più storica che teoretica sulla soggettività moderna, sempre più sciolta da antichi vincoli, sempre più orientata a inseguire un presente in costante accelerazione e sempre più bisognosa di ricomporre se stessa – pull yourself together!, l’imperativo inglese che suggeriva di riprendere – anche grazie alla lezione dei classici, «il cui pensiero rifiorisce a ogni stagione, giacché essi sono più contemporanei dei nostri contemporanei».

Ecco allora i temi del dualismo passioni-ragione, dell’io che si trasforma, del limite e dell’irruzione delle macchine e della biotecnologia, della memoria che cambia e anche si perde, i quali danno l’impronta ad alcuni dei suoi testi più importanti, da Geometria delle passioni. Paura, speranza e felicità: filosofia e uso politico( Feltrinelli, 1991, arrivato alla settima edizione ampliata nel 2003) a Destini Personali. L’età della colonizzazione delle coscienze( Feltrinelli, 2002), da Piramidi di Tempo. Storie e teorie del déjà vu e Limite (il Mulino, 2006 e 2016) all’ultimo lavoro già citato uscito in settembre, che ha per sottotitolo «Schiavi, animali, macchine, Intelligenza Artificiale».

Nato a Cagliari nel 1938, dopo la laurea e la licenza, Bodei aveva approfondito gli studi in diverse università tedesche, dove era entrato in contatto con figure chiave come Ernst Bloch, Karl Löwith ed Eugen Fink. Il suo iniziale ambito di ricerca, mai abbandonato, fu l’idealismo classico tedesco, sul quale scrisse i suoi primi rilevanti volumi. In seguito, allargò il raggio d’interesse al pensiero utopistico del Novecento, al marxismo non ortodosso dello stesso Bloch e a Benjamin e al francofortese Adorno. Su posizioni di sinistra non comuniste, entrò nel dibattito italiano, confrontandosi e dialogando soprattutto con Bobbio, Badaloni e Veca, e sottolineando fino all’ultimo il dovere di una seria politica ispirata ai valori di una lunga tradizione da non disperdere. Se all’inizio simpatizzò con il Movimento studentesco e il clima del ’68, ne riconobbe presto eccessi e degenerazioni. A lungo docente di Storia della filosofia ed Estetica sia all’ateneo pisano sia alla Normale, dal 2006 tenne anche una cattedra all’Università della California a Los Angeles (Ucla), oltre a essere visiting professor in tre continenti.

«La signorilità, la correttezza e l’equilibrio uniti alla schiettezza erano i suoi tratti umani che lo facevano apprezzare da studenti e colleghi – dice Adriano Fabris, suo allievo a Pisa e ora ordinario di Filosofia morale –. Il suo profilo scientifico è caratterizzato da una grandissima cultura – conosceva molte lingue antiche e moderne, citava a braccio lunghi brani di Tacito e Tucidide in originale – e da una memoria prodigiosa, entrambe al servizio di studi puntuali e verificati. Era un laico dialogante – ricorda ancora Fabris – interessato alla dimensione e ai mondi religiosi, consapevole del “non potersi non dire cristiani”, anche se non fece il salto della fede. La sua attenzione agli altri e la sua umiltà emergono da un aneddoto relativo a una nostra visita a Cuba. Invitato a parlare anche in una scuola di periferia, Bodei si preparò con scrupolo e volle essere rassicurato sul fatto di avere parlato in uno spagnolo sciolto. Non lascia allievi diretti nel senso accademico – conclude Fabris –, tuttavia ha disseminato uno stile di pensiero di cui molti hanno fatto tesoro».

Bodei si è dimostrato anche un eccellente divulgatore, convinto della necessità di portare la filosofia fuori dall’accademia, persino ai bambini. Come presidente del comitato scientifico fu grande animatore del Festivalfilosofia di Modena, Carpi e Sassuolo, ma anche protagonista degli annuali cicli di conferenze a Ferrara e Sarzana. «Dire che sia stato un grande storico della cultura è certamente riduttivo, la sua era un’analisi che si concentrava sulla formazione e lo sviluppo dei concetti o degli oggetti che analizzava, con cultura e curiosità straordinaria – lo ricorda Diego Marconi, uno dei maggiori filosofi analitici italiani, professore di Filosofia del linguaggio all’Università di Torino, che gli è stato amico anche per il comune interesse giovanile verso la dialettica hegeliana –. Dal mio punto di vista, La civetta e la talpa. Sistema ed epoca in Hegel (Il Mulino, 2014, edizione rivista 40 anni dopo la prima uscita, ndr) è un libro di notevole valore, che rimarrà. La dinamica variamente declinata di servo-padrone tratta dalla Fenomenologia dello Spirito ha costituito un filo rosso della sua opera. D’altra parte, i suoi vasti orizzonti – prosegue Marconi – gli hanno permesso di raggiungere molti interlocutori e un ampio pubblico. A questo ha contribuito il taglio dei suoi libri, ricchi di storie affascinanti. Ma non ha mai cercato il consenso o il successo facile. Bodei è sempre rimasto rigoroso e, semmai, ha scelto, anche per i Festival, temi che stimolavano la sua intelligenza e che poi conquistavano anche gli spettatori».

A trovare qualche distinguo tra gli studiosi è la notorietà all’estero del grande filosofo. Riflette da Boston Mario De Caro, docente di Filosofia morale sia all’Università Roma Tre sia alla Tufts University: «Il fatto che in America Bodei sia conosciuto prevalentemente nei dipartimenti di Cultural Studies e di Letteratura e non in quelli di Filosofia (e viceversa che Bodei stesso abbia discusso poco con i filosofi anglosassoni contemporanei) è un segno di quanto profonda continui a essere la cesura tra filosofia continentale e filosofia analitica». Di diverso avviso Fabris, secondo il quale Bodei ha contribuito a gettare un ponte tra i due ambiti, sebbene lo studioso appena scomparso appartenesse al versante continentale.

Di certo la sua attenzione agli sviluppi tecnoscientifici gli ha permesso di aprirsi a un confronto con le tematiche etiche contemporanee più complesse e pressanti, avendo la chiara consapevolezza che non si può lasciare la decisione su come procedere soltanto all’autonomia della persona isolata e nello stesso tempo condizionata da un clima culturale. «Il problema non sembra essere quello di condannare il diritto degli individui ad avere una vita più sensata attraverso l’uso delle biotecnologie – scriveva nella voce redatta per l’Enciclopedia Treccani –. Si tratta di stabilire limiti e di creare una cultura dei limiti, di evitare una privatizzazione o un interesse privato nelle scoperte scientifiche e di non porre ostacoli, dettati soltanto dalla paura (...). Quello che invece serve è focalizzare insieme i vincoli e le possibilità, le conseguenze e le aspettative delle biotecnologie. Ci vuole umiltà (...) e l’etica funzionerà sempre meglio come guida che non come freno». Bodei lascia la moglie, classicista già docente universitaria, e due figlie impegnate nella ricerca.



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