domenica 26 febbraio 2023
L’invasione dell’Ucraina fa ripercorrere al filosofo e sociologo francese, 101 anni, gli eventi bellici che hanno attraversato la sua vita: il secondo conflitto mondiale, Algeria, Jugoslavia, Iraq...
Il filosofo e sociologo francese Edgar Morin

Il filosofo e sociologo francese Edgar Morin - Boato

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Pubblichiamo la prefazione del filosofo Mario Ceruti all'ultimo libro di Edgar Morin, Di guerra in guerra. Dal 1940 all'Ucraina invasa (Raffaello Cortina, pagine 104, euro 12). «Più la guerra si aggrava più la pace è difficile e più è urgente. Evitiamo una guerra mondiale. Sarebbe peggio della precedente», sono le ultime righe del libro.

Edgar Morin è uno dei pensatori più importanti del nostro tempo, un’autorità intellettuale e morale riconosciuta in tutto il mondo. Ma è stato anche protagonista, fin da giovanissimo, degli eventi che hanno segnato la storia europea e mondiale, sia con l’azione sia con il pensiero. E, rigenerando la nobile tradizione del saggismo à la Montaigne, ha fatto i conti con queste sue esperienze anche attraverso una scrittura diaristica e memoriale. In questo piccolo ma profondissimo libro, con la sua singolare capacità di concepire la complessità dell’umano, riflette sulla tragedia della guerra tornata a devastare il cuore dell’Europa, attraverso l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. Oggi, compiuti 101 anni, questa nuova guerra riporta alla sua memoria i terribili ricordi delle guerre che hanno segnato la sua lunga vita: la Seconda guerra mondiale, la Guerra d’Algeria, la Guerra di Iugoslavia, la Guerra in Iraq, il persistente conflitto israelo-palestinese... Qui racconta come la guerra in Ucraina gli faccia rivivere gli orrori delle guerre che ha conosciuto: le distruzioni di massa, le città distrutte, le carcasse di edifici sventrati, le innumerevoli morti militari e civili, gli afflussi di rifugiati, le torture, i crimini di guerra... E racconta come il riandare all’orrore di tutte queste guerre sia quanto mai essenziale per comprendere i pericoli inediti della guerra attuale.

Ma per fare ciò, ammonisce, è urgente dotarci di un pensiero capace di comprendere quanto siano accecanti il manicheismo assoluto, le propagande menzognere, le criminalizzazioni non solo degli eserciti ma anche dei popoli nemici, i deliri, le illusioni sempre rinnovate... E, a questo scopo, ancora una volta ci mette a disposizione non solo il suo pensiero critico, ma soprattutto il suo pensiero autocritico (complesso), rammemorando i suoi errori e le sue illusioni; i suoi autoinganni; i suoi auto-occultamenti; le sue giustificazioni; la difficile presa di coscienza della barbarie dei bombardamenti compiuti in nome della civiltà contro la barbarie nazista; l’orrore provato a Pforzheim completamente distrutta, un orrore che, oggi scrive, «rapidamente trattenni, dicendomi: “È la guerra”»; l’orrore provato per le atrocità naziste e razziste, nei Paesi occupati, e soprattutto nell’Urss, che, qui scrive, «occultava a noi resistenti e antinazisti l’orrore dei bombardamenti per terrorizzare le popolazioni civili, che distruggevano città intere, colpendo donne, bambini, anziani più che i combattenti»; l’orrore per i campi hitleriani che poi, scrive ancora, «ci fece ignorare l’orrore del Gulag sovietico»; insomma, riflettendo sulla difficile comprensione di come, «per quanto giusta fosse la resistenza al nazismo, la guerra del Bene comporta in sé del Male». Questo esercizio di auto-osservazione diventa così il laboratorio di un pensiero complesso, teso a cercare in sé stesso, prima ancora che negli altri, l’origine ricorrente dell’errore, dell’illusione e della menzogna.

Egli riflette su come, di fronte agli orrori della guerra, sia vitale saper non semplificare, perché «ogni guerra racchiude in sé manicheismo, propaganda unilaterale, isteria bellicosa, spionite, menzogna, preparazione di armi sempre più mortali, errori e illusioni, imprevisti e sorprese». E richiama l’attenzione su un fatto ineludibile: la nuova guerra accade in un tempo in cui ovunque domina un pensiero incapace di concepire la complessità dei fenomeni, un pensiero lineare, meccanicista, che frammenta ciò che nella realtà è strettamente connesso. Un pensiero incapace di concepire l’inatteso, gli effetti perversi e imprevisti delle nostre intenzioni. E soprattutto un pensiero incapace di riconoscere il carattere inedito della condizione umana nel nostro tempo, emerso inatteso e deflagrante nel 1945 a Hiroshima, con l’esplosione della prima arma nucleare, che ha reso l’umanità capace di autosoppressione. Questa minaccia di morte per l’umanità intera si è oggi potenziata con la diffusione e la sofisticazione delle armi nucleari in un contesto planetario sempre più interconnesso ma non solidale. Ed è proprio questo simultaneo aumento di potenza e di interdipendenza a rendere il contesto globale pericolosamente sensibile alla possibilità di una catastrofe.

Ripercorrendo le sue esperienze, Edgar Morin ricorda i modi in cui sono accadute le radicalizzazioni dei conflitti, e individua nelle radicalizzazioni il tratto comune e più pericoloso delle guerre del suo secolo, come nei casi esemplari della Guerra d’Algeria e della Guerra di Iugoslavia. Rilancia il suo allarme, volto al risveglio delle coscienze, mentre queste rischiano di cadere nello stesso tipo di sonnambulismo che accompagnò la discesa verso l’abisso del secondo conflitto mondiale: oggi è aumentata la possibilità di derive verso un abisso catastrofico, possibilità alimentata da errori e illusioni, da capillari e sofisticate propagande mediatiche unilaterali se non menzognere. Con la crescente spirale degli odi fra aggressore e aggredito, nella Guerra d’Ucraina, la radicalizzazione del conflitto si aggrava e si amplifica sempre di più, e così, non solo, come sempre, porta alle peggiori atrocità, ma può oggi condurre all’esito più tragico per l’umanità intera. Queste pagine sono la testimonianza lucida e appassionata di un eccezionale secolo di vita. Un testo illuminante per orientarci in questo momento di pericolo per la nostra umanità, scritto, come osserva lo stesso autore, «affinché queste lezioni di ottant’anni di storia possano servirci ad affrontare il presente in tutta lucidità, a comprendere l’urgenza di lavorare per la pace, ed evitare la peggiore tragedia di una nuova guerra mondiale».

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