venerdì 29 settembre 2023
Andrea Pinotti ragiona sui dispositivi monumentali e sulle pratiche artistiche che cercano di aggirarne le derive retoriche. I risultati non sono scontati
Un ragazzo salta sulle stele del Memoriale dell’Olocausto di Berlino

Un ragazzo salta sulle stele del Memoriale dell’Olocausto di Berlino - Georgie Pauwels / WikiCommons / CC by 2.0

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Il monumento è come il tempo di Agostino: «Se nessuno me ne chiede, lo so bene: ma se volessi darne spiegazione a chi me ne chiede, non lo so». Monumento è la statua, ma anche la basilica e la quercia secolare, è la grande piramide eppure chiamiamo monumento un documento. «Il monumento è un Proteo inafferrabile» scrive Andrea Pinotti, docente di Estetica all’Università degli Studi di Milano, in Nonumento (no, non è un refuso; Johan & Levi, pagine 304, euro 25,00), ricognizione sistematica attorno alla natura del monumento, del monumentale e del monumentalismo e quindi ai tentativi degli artisti per trovare soluzioni che aggirino le trappole retoriche e il destino per cui, è Musil a sottolinearlo, il “promemoria” sembra fatto apposta per distogliere la nostra attenzione, trasformandosi in macchina di oblio.

Un paradosso visto che, almeno nella sua accezione più stretta, il monumento è un dispositivo della nostra “memoria inorganica”: «Un supporto inerte – scrive Pinotti – sul quale iscriviamo i nostri ricordi, affidandoli a un archivio esterno a noi stessi e potenzialmente sempre accessibile». Ma se già Platone nel Fedro accusava la scrittura, in quanto dislocazione della memoria, di atrofizzare le facoltà fisiologiche e far perdere la “proprietà” del ricordo, il Novecento, osserva Pinotti, ha assunto il fatto che la verità del passato non è mai veramente accessibile: «L’unico modo per ricordare è distorcere e costruire, l’unico modo per tramandare è tradire».

Quest’epoca che mette i monumenti sotto accusa continua a costruirne di nuovi. Tutto ciò non deve sorprendere, se consideriamo che un monumento dice molto più del momento in cui è stato eretto che del passato a cui rimanda. Il monumento manca di una identità specifica «collassando sulle categorie di patrimonio o di traccia o di artefatto antico » e così facendo «si stempera, stingendosi nell’indifferenziato». Una conclusione «melanconica» a cui Pinotti risponde costruendo una tassonomia di dispositivi e strategie che operano per via negativa: sono i “contromonumenti” o gli “antimonumenti”, che Pinotti sussume nel termine “nonumenti”, espandendo il termine non-ument di Gordon Matta Clark.

Se il monumento, ad esempio, mira idealmente al sublime, alcuni nonumenti procedono piegando la retorica nella parodia o invertono il verticalismo affondando e inabissandosi. È il caso del Monumento contro il fascismo di Jochen Gerz e Esther Shalev-Gerz, a Harburg: una colonna in piombo di 12 metri su cui chiunque poteva incidere il proprio nome e la propria opposizione al fascismo. Via via che la colonna si copriva di scritte, sprofondava nel terreno fino a sparire. Dell’obelisco resta visibile solo la sommità, come una lastra: un monumento che si “autocancella” per sottolineare come nulla può sostituire l’impegno individuale. Se gli impacchettamenti di Christo e Jeanne-Claude rimettono in evidenza il monumento attraverso la sua temporanea inaccessibilità, i nonumenti effimeri lavorano in antitesi all’ambizione all’eternità della monumentalità tradizionale.

È il caso dei “monumenti” a filosofi come Spinoza e Gramsci di Thomas Hirschorn, oggetti ed eventi temporanei in cui il processo progettuale partecipato conta più del risultato finale. I nonumenti interattivi non sono soltanto, come si potrebbe intuire, in formato elettronico: il “Memoriale a un memoriale” di Horst Hoeisel e Andreas Knitz, che ricorda il primo monumento eretto a Buchenwald, è una lastra di metallo a terra, come una targa commemorativa o una tomba, mantenuta a una temperatura costante di 36,5°. I visitatori si inginocchiano per toccare il calore della lastra, «compiendo un gesto di raccoglimento, di rispetto e di pietà». La casistica prevede anche i “nonumenti aumentati”, che operano attraverso i device digitali.

Ci sono i memoriali virtuali (come quello che ricostruisce il rifugio di Anna Frank), ma per Pinotti questi si limitano a clonare il memoriale materiale. Più interessanti invece i memoriali in realtà aumentata, che spesso “demoliscono” virtualmente un monumento controverso sostituendolo nello schermo con un altro. È il caso del Monuments Projects, lanciato nel contesto del movimento Black Lives Matter dal collettivo Kinfolk. Attraverso una app è possibile costruire una controstoria monumenta-le: alla statua dedicata a Colombo, a New York, si sovrappone quella di Toussaint l’Ouverture, padre dell’indipendenza di Haiti. Quelli aumentati sono i più politici e anarchici tra i nonumenti, ma i più problematici sono quelli astratti, su cui grava il sospetto dell’impossibilità di rimandare davvero all’oggetto della memoria – e infatti talvolta controbilanciati a posteriori da monumenti più tradizionali.

Pinotti osserva però come astratto o figurativo non siano categorie dirimenti, mentre appare più utile discernere tra monumenti “transitivi” e “intransitivi”, ossia tra quelli che rinviano al tema e quelli che restano in una sostanziale indeterminatezza. In ultima analisi i nonumenti sono capaci di superare le impasse del monumento? Pinotti osserva che ciò che il nonumento contesta al monumentale non è lo scopo ma il metodo: «il monumentalismo e il nonumentalismo non combattono una lotta fra di loro, ma contro l’oblio».

Non solo, Pinotti osserva come dopo la carica e lo choc iniziali anche le strategie nonumentali «condividano alla fine il medesimo destino dei monumenti commemorativi tradizionali». La virtù del nonumento, allora, è innanzitutto la capacità di attivare uno sguardo critico: più che denunciare la morte del monumento sollecita uno sguardo meno ingenuo sulla memoria e sulle boe fluttuanti nel mare del tempo a cui pensiamo di ancorare l’esperienza di una comunità.

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