venerdì 20 gennaio 2012
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​Le nobili terre del Montefeltro, situate alle spalle di San Marino, là dove la Romagna incontra le Marche, comparivano all’orizzonte della nostra giovinezza sullo sfondo del naso adunco di Federico III. Condottiero, statista e mecenate tra i massimi del Rinascimento italiano, ce ne portava l’immagine sui banchi di scuola il pittore di corte Piero della Francesca con la <+corsivo>Pala di Brera<+tondo> e col <+corsivo>Doppio ritratto dei duchi di Urbino<+tondo>, dove Federico da Montefeltro appare con la rossa berretta in testa e il formidabile naso, portato con spavalda solennità. Federico fu duca di Urbino, ma la sua casata veniva da quella terra di dolci ondulazioni, che ha il suo cuore nell’Alta Valmarecchia: un paesaggio collinare la cui verde armonia è rotta dall’improvviso impennarsi di rupi minacciose, sulle cui sommità si sono rifugiati, anche in ragione di un Medioevo bellicoso, nuclei abitati e i castelli come sospesi sul fondovalle.La dinastia nacque da un ramo della famiglia dei conti di Carpegna e scelse come sede una di queste rocche, San Leo, un nido d’aquile abbarbicato sul monte Feretro, da cui trasse il nome «Montefeltro».Carpegna sorge ai piedi del maggior rilievo del Montefeltro, il Monte Carpegna, sui cui fianchi biancheggia una trama di affioramenti calcarei. La città conserva notevoli vestigia storiche di epoca successiva ai Montefeltro, primo fra tutte il secentesco Palazzo comitale, o dei Principi, in cui sul finire della II Guerra Mondiale furono poste al riparo dell’esercito tedesco in ritirata oltre 10.000 opere d’arte marchigiane. La coeva chiesa di San Nicolò va, invece, fiera del misterioso fenomeno delle campane, che suonavano rimanendo immobili. L’inspiegabile evento si ripeté per parte del 1970 e cessò del tutto nel 1971, senza che nessuno, tra i curiosi e gli studiosi accorsi a frotte, ne sapesse dare una ragione plausibile.San Leo, capitale storica del Montefeltro, si staglia a quasi 600 metri d’altezza sulla Valmarecchia, in cima ad una portentosa rupe, relitto miocenico di calcare tra le colline incantate del Montefeltro. La balza rocciosa ha il profilo di un feretro, cui forse si deve l’antico nome latino di Mons Feretri. Il nome attuale le viene da Leone, santo dalmata che nel IV secolo evangelizzò la Valmarecchia divenendone il primo vescovo. La diocesi si costituì in realtà solo tra il VI e il VII secolo, quando ai piedi della rocca, a lungo contesa da Goti e Bizantini, si formò il primo nucleo abitato. La parte più antica della fortezza, in cui terminò l’avventura del re d’Italia Berengario II, assediato da Ottone I di Germania negli anni 961-963, venne ampliato una prima volta a cavallo del 1300 secolo, poi completamente ridisegnato da Francesco di Giorgio Martini nel 1479 per volere di Federico da Montefeltro. Interamente circondato da pareti a picco, il borgo medievale ha un unico accesso, da cui si raggiunge in pochi passi l’antichissima pieve di Santa Maria Assunta, sorta nell’VIII-IX secolo sul luogo del primo sacello fondato da san Leone. Meraviglioso esempio di arte preromanica, la pieve suscita un immediato senso di pace, che trasporta l’osservatore indietro nei secoli. Alle sue spalle si eleva la cattedrale intitolata a San Leone, fondata nel IX secolo, ma completamente rinnovata in forme romanico lombarde a partire dal 1173. L’interno è un capolavoro di sobrietà che induce alla preghiera, mentre l’esterno, in conci d’arenaria ocra, s’accende di toni suggestivi nella luce del tramonto. Alla sua ombra predicò san Francesco nel 1213. La leggenda vuole che il Poverello, giunto di notte e non potendo entrare in paese, passasse la notte presso un fuoco di pastori. Egli chiamò quel luogo Sant’Igne, «fuoco sacro», dando così nome al convento che vi sorse poco dopo. Sant’Igne, col suo splendido chiostro è ancor oggi immerso in una bucolica conca verde, dove si vedono solo bosco e cielo e si respira la pace dello spirito francescano.La capitale culturale del Montefeltro è però Pennabilli, patria elettiva del maestro Tonino Guerra, santarcangiolese di nascita. Strappato all’incuria degli uomini e abitato da una serena beatitudine, Pennabilli è un luogo dell’anima. Anzi è il paese dei Luoghi dell’Anima. È così che si designa il museo diffuso, nato dalla fervida fantasia del poeta-sceneggiatore, amico fraterno di Fellini, le cui sale <+corsivo>open air<+tondo> hanno molto da offrire al visitatore: un mosaico di invenzioni che, per i valori universali che trasmettono, possono essere vissuti come un viaggio interiore. Si può iniziare dagli incantesimi dell’Orto dei Frutti Dimenticati, dove accanto alle opere di ceramisti fioriscono ancora il biricoccolo, il pesco pupino, la ciliegia cuccarina e altre specie perdute d’alberi da frutto. Si prosegue per la Strada delle Meridiane, dipinte sui muri delle case da Mario Araldi. Si entra nell’ex chiesetta dei Caduti, che ospita un’unica opera, il dittico di Luigi Poiaghi ispirato alla poesia che Tonino Guerra ha dedicato all’ «angelo coi baffi che non era capace di far niente». Ci si siede sull’unica panca del Santuario dei Pensieri, di fronte alle sette enigmatiche sculture che abitano questo suggestivo luogo di meditazione. E poi ancora il Rifugio delle Madonne Abbandonate, riproduzioni in terracotta policroma delle immagini che adornavano le edicole votive ai crocicchi di campagna. Ai piedi dell’alta torre millenaria di Bascio sono stesi i sette tappeti di ceramica del Giardino Pietrificato. Nella frazione di Ca’ Romano la chiesa della Madonna del rettangolo della neve offre riparo a una grande opera in ceramica della faentina Muki.Il borgo di Pennabilli era in origine diviso, di qua Penna e di là Billi: due comunità rivali, che si guardavano in cagnesco dalle due rocche e sembra si tirassero persino cannonate. I ruderi dei due castelli, che svettano contro il cielo, sono sì vicini, ma separati dalla conca che ospita il paese, disteso col suo intrico di viuzze tra le rupi minacciose, così che qualcuno ha pensato bene di accorciarne la distanza, tirando una corda da un castello all’altro e camminandoci sopra! L’impresa è stata compiuta da Andrea Loreni il 4 giugno 2011, in occasione della XV edizione di Artisti in Piazza, il prestigioso Festival Internazionale dell’Arte di Strada ospitato nella capitale del Montefeltro. Una traversata spettacolare, a novanta metri da terra, per unire una volta per tutte quelli di Penna e quelli di Billi.
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