mercoledì 7 luglio 2010
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Trentadue anni dopo l’ultima finale, trentasei dopo quel Mondiale in cui emise l’urlo primordiale di una grande rivolu­zione calcistica, l’Olanda scenderà in campo domenica a Johannesburg per cercare di coronare la storia di u­na grande scuola di football col titolo mondiale. Strano, quasi spiazzante pensare che possano essere questi giocato­ri, questa squadra, a salire sulla vet­ta che ha rifiutato Cruijff e Neeskens, Rep e il “guru” Rinus Michels. Ep­pure questo sarà, lo dice il campo e lo dice anche il vento delle cose, de­gli episodi, che spinge inesorabil­mente alle spalle di gente, lo sanci­sce la storia, che il mare aperto lo affrontava per sete di oro, lo stesso materiale di cui è fatta la Coppa del mondo.Perde l’Uruguay, vince l’Olanda a di­spetto di una prestazione scricchio­lante, l’Olanda che non riesce a ca­pitalizzare lo Jabulani-gol del capi­tano Giovanni Van Bronckhorst, che azzecca, anche grazie al volatile pal­lone 2010, un sinistro su cui Musle­ra fa la figura del pollo: in realtà, la traiettoria e l’angolazione iscrivono il tiro alla categoria “una volta su mil­le” (18’). Il vantaggio è un grande a­tout per una squadra che, pur cer­cando di imprimere il suo marchio alla partita, non era riuscita fino a quel momento a scavare il fossato, a creare problemi se non sfruttando le pochezze del lato sinistro della di­fesa uruguagia, presidiata dal fresco ex-juventino Caceres.Ma l’Olanda commette errore di presunzione che, amplificato dalla solidità psicologica e tattica degli av­versari, rimette in bilico la semifi­nale. La Celeste gioca, lotta, rimane corta, si appoggia al grande lavoro di quantità e qualità compiuto da­vanti da Forlan e da uno scintillan­te Cavani, finalmente a suo agio in un ruolo più centrale rispetto alle precedenti esibizioni. Gli Orange perdono qualche collegamento, perdono il mediano De Zeeuw (che gioca con la maglia numero 14, quella del mito Cruijff ) atterrato da una involontaria scarpata in piena faccia di Caceres, non riescono a col­pire in ripartenza perché Sneijder, braccato a tutto campo, è impreci­so e nervoso pure. Succede che For­lan ricama e prova il sinistro da fuo­ri area: è centrale, ma sufficiente gra­zie al capriccioso nume Jabulani e al distratto Stekelenburg a un pareg­gio che non può dirsi immeritato (40’).Il vecchio maestro Tabarez si ritro­va al timone del match e non lo vuo­le mollare: il quartetto di grandi solisti olandesi è dentro fino al collo nella ragnatela sudamericana retta dai settepolmoni Arevalo e Garga­no, inspiegabilmente lasciato in naf­talina nella prima parte del cammi­no mondiale dell’Uruguay. Neanche l’ingresso di van der Vaart, che si in­stalla alle spalle dei trequartisti, re­stituisce un minimo di geometria e di supremazia all’Olanda, che ha co­me unica arma la velocità e la tec­nica di Arijen Robben, che fa quel­lo che vuole contro lo smarritissimo Caceres: nessuno critichi la Juven­tus per non averlo riscattato.Agli europei servirebbe la prodezza isolata, la giocata super da fermo o in movimento, la botta di fortuna: ser­virebbe, in due paro­le, Wesley Sneijder, apparentemente fuori dal gioco, in a­pnea come e più dei suoi compagni. E in­vece il destino, non solo il grande ta­lento, lavora ancora una volta per il Mago Wesley, che nel momento ap­parentemente più delicato azzecca un destro da flipper tra gambe av­versarie e quella di Van Persie, che tra l’altro sarebbe pure in posizione di fuorigioco (70’). In Uruguay sono saggi, e conoscono le parole del ven­to: tre minuti dopo il 2-1, Robben, di testa, può chiudere con il 3-1 un cross di Kuyt e la storia di questa par­tita. Troppo tardi la rete di Pereira per il definitivo 3-2 e l’arrembaggio finale dell’Uruguay.L’Olanda va, pronta ad affrontare con tutte le forze rimaste (e non sembrano molte), l’ultimo braccio di mare che può portare all’oro so­gnato da sempre. Di fronte, la Spa­gna, o quella Germania che 36 anni fa impedì che la Rivoluzione Oran­ge portasse al potere assoluto. Sa­rebbe la chiusura del cerchio, l’oro brillerebbe ancora di più.
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