venerdì 16 giugno 2017
Nel progetto «Lumen» il maestro bolognese racconta l'arte con una fiamma nel buio. A lui il Premio Hemingway per la fotografia
Il fotografo Nino Migliori

Il fotografo Nino Migliori

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Nino Migliori ha rivelato «una misteriosa bellezza scultorea, offrendo sconosciute sensazioni ancestrali, sfiorando il buio con le tremule fiammelle delle candele, una Luce che già avviava all’enfasi dell’attuale Era Tecnologica». È con questa motivazione che la giuria del Premio Hemingway di Lignano Sabbiadoro, ha assegnato quest’anno il riconoscimento per la sessione “fotografia” al maestro nato a Bologna nel 1926 autore di «Lumen», «tra i fotografi italiani contemporanei che si è dedicato, più intensamente di altri, alla sperimentazione, anche alchemica, relativa al linguaggio delle immagini ottico-chimiche, la Fotografia, per una esaustiva verifica tecnica e concettuale». Un premio che viene assegnato quest'anno anche allo psicoanalista Massimo Recalcati per la sezione “Testimoni del nostro tempo”; al filosofo Slavoj Žižek, sessione “L’avventura del pensiero”; e a Zadie Smith, sessione “Letteratura”. L’evento promosso dalla città in provincia di Udine, giunto alla 33ª edizione, celebra uno degli scrittori più amati di sempre, che a Lignano e nella sua laguna trovò un buen retiro in periodi diversi della sua vita. L’autore di Il vecchio e il mare amava profondamente Venezia e proprio “via laguna” nacque il suo speciale rapporto con la piccola penisola friulana, tra Venezia e Trieste, che lo scrittore amava definire come «la Florida d’Italia». Hemingway, conquistato e ispirato da una visione di bellezza. Ecco, Nino Migliori può considerarsi un architetto della visione, mentre esplora «antichi “paesaggi” architettonici, arricchiti da complesse presenze scultoree», rivelando «un sublime paesaggio di pietra, avvolto nel buio» con la debole, «metaforica luce delle candele». Un “architetto”, ma anche uno “scrittore” con la fotografia. Di seguito il testo del fotografo in cui spiega come nasce il progetto «Lumen», gli scatti che raccontano l'arte a lume di candela. (G.Mat.)

«Fotografia tu sei l’ombra…/ del sole/ …tutta la sua bellezza». Mi ha sempre intrigato questo verso di Apollinaire e mi è apparso pieno di fascino, nella sua estrema opposizione ombra e luce, quando mi sono dedicato, nel 2006, al Battistero dell’Antelami di Parma e in particolare alla fascia dello zooforo che lo cinge.

Certamente gli uomini nel Medioevo avevano vissuto nella loro quotidianità il contrasto luce-ombra che alimenta l’approccio all’immagine catturata in fotografia. Pensai così di fare un ipotetico salto nel tempo realizzando un lavoro che corrispondesse alle possibili visioni notturne delle formelle dello zooforo, ritraendolo così come avrebbe potuto fare un passante medioevale dotato a malapena di un lume. Per le riprese era necessario oscurare i bassorilievi, cosa non facile oggi con il forte inquinamento luminoso, e rischiararli invece con una fonte luminosa adeguata a quei tempi. Mi attrezzai quindi con due pesanti teli neri, un supporto telescopico di alluminio sul quale stenderli per creare un ambiente buio, una rudimentale camera oscura nella quale inserirmi; un cero nero, perché non desse riflessi, inserito su un supporto astato di bambù; una scaletta fornita di distanziatore per raggiungere le formelle e per le riprese una macchina fotografica digitale Canon Eos 5D. Ero curioso di verificare il progetto, dato che il risultato non era affatto prevedibile. Nei giorni delle riprese mi trovai in una posizione quasi caricaturale: arrampicato sulla scaletta, sostenuto da un robusto braccio per evitare il ribaltamento all’indietro, fotografavo a mano libera, mentre con l’altra mano dirigevo il cero sorretto da terra. Nonostante lavorassi in questa situazione anomala l’incanto fu certamente notevole. La fiamma, molto più luminosa di quanto si possa pensare, creava una realtà fantastica, una vibrazione onirica. Bastava spostare la candela di pochi centimetri, inclinarla leggermente a destra o a sinistra, alzarla o abbassarla e le forme scolpite si rivelavano in modo completamente diverso. Non solo appariva nella sua drammaticità il passaggio del tempo, non solo si svelavano particolari dapprima non visibili, ma i personaggi, gli animali, gli esseri mitologici raffigurati nelle formelle quasi prendevano vita e si mostravano in una continua metamorfosi. Addirittura spesso sembravano appartenere ad altre civiltà e ad altre epoche, un vero e proprio sogno ad occhi aperti. Le immagini che ho tradotto dalla realtà, in alcuni casi l’intera formella in altri solo un particolare, sono quelle che mi hanno dato maggiori sensazioni, quelle che ho sentito più vicine al mio immaginario, quelle che si sono proposte come altre possibili letture.

Dallo zooforo del Battistero il progetto Lumen è proseguito con sculture e bassorilievi molto noti: come Il Compianto sul Cristo Morto di Nicolò dell’Arca conservato presso il Santuario di Santa Maria della Vita a Bologna, Leoni e metope del Duomo di Modena, Il monumento funebre di Ilaria del Carretto di Jacopo della Quercia conservato presso il Duomo di Lucca. A Napoli ho lavorato a “lumen” sul Cristo velato di Giuseppe Sanmartino, nella Cappella Sansevero, e a Roma sulla statua di Paolina Borghese di Antonio Canova esposta alla Galleria Borghese.

I versi di Apollinaire, ma anche di Federico García Lorca: «Sogni nella luce, ma vibri nell’ombra».

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