venerdì 27 ottobre 2023
Abitatore della notte e quindi malvagio, ma per natura un po’ mammifero un po’ uccello, il vespertillo assume un duplice valore simbolico nelle profezie oracolari medievali
Illustrazione di un pipistrello dalla “De arte venandicum avibus” pubblicata nel 1241 alla corte di Federico II

Illustrazione di un pipistrello dalla “De arte venandicum avibus” pubblicata nel 1241 alla corte di Federico II - archivio

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Arriva in libreria l’ultimo lavoro dello storico del cristianesimo Gian Luca Potestà, Segni dei tempi. Figure profetiche e cifre apocalittiche (Vita e pensiero, pagine 276, euro 30,00), un testo che indaga e spiega le trasformazioni e gli utilizzi, fra medioevo centrale e prima età moderna, di tante rivelazioni più o meno conosciute, profezie, oracoli e sibille, messianismi e visioni apocalittiche, che per lungo tempo sono rimaste ai margini degli studi storici, a causa dell’ambiguità del loro lessico e simbolismo, oltre che, in tanti casi, per la poca ortodossia dei contenuti. Qui proponiamo un estratto da un capitolo dedicato alla “Potenza simbolica del pipistrello nel profetismo medievale”.

Polimorfismo del simbolo: a nessuna specie animale è attribuito un significato univoco e sempre identico. Ogni generalizzazione va quindi evitata. Ciò vale in special modo per i testi profetici, genere letterario in cui è marcata la dimensione di propaganda, sicché una specie animale evocata in uno scritto profetico può avere significato opposto in un altro.

Per il pipistrello queste osservazioni valgono per così dire al quadrato. Il vespertilio è tale perché compare al vespro: un animale inquietante, perché viene fuori quando scendono le tenebre; un ibrido, riconducibile a specie diverse, poiché è un mammifero che vola. Forse anche per le sue caratteristiche ibride, il pipistrello, in quanto indicante simbolicamente un soggetto umano, nella letteratura profetica ed oracolare può significare di volta in volta sia un persecutore sia un liberatore, talvolta persino l’uno e l’altro nel medesimo testo.

La perdita degli ultimi bastioni dei cristiani d’occidente in Siria fu presentata nella pubblicistica ecclesiastica del tempo come un segnale dei tempi finali e dell’imminenza dell’ultimo nemico. Una visione profetica riguardante la caduta di Tripoli (1289) è la prima testimonianza nota in cui il pipistrello rappresenti allusivamente la figura di nemico dei tempi finali della christianitas. Così si presentava in origine il testo secondo il «working model and point of reference» prospettato a titolo di ipotesi da Robert Lerner (...).

Durante una messa celebrata da un monaco cistercense, una mano celeste avrebbe scritto sul corporale un preannuncio dettagliato degli eventi finali. La caduta dell’alto cedro del Libano preannunciata in Ez. 31 sta per realizzarsi nella caduta di Tripoli. Clero e christianitas subiranno quindi tribolazioni per un quindicennio. La “navicella di Pietro”, cioè la Chiesa romana, parrà quasi travolta dai flutti, ma ne verrà fuori (cfr. Mt. 14, 24 e ss.) e alla fine prevarrà. Dopo un intervallo di pace, inizierà un nuovo quindicennio, privo di guerre e di carestie. Gerusalemme sarà recuperata, le città della Giudea saranno ricostruite, il Santo Sepolcro sarà onorato. Infine verranno l’Anticristo e le prove ultime.

Lerner ha mostrato che il testo presuppone una precedente visione, prodotta forse in Ungheria tra 1238 e 1240, “profetizzante” la micidiale invasione dei mongoli. Mezzo secolo più tardi, i mongoli non rappresentano più una minaccia per i cristiani d’Occidente. Un anonimo compilatore decide allora di rimodellare la visione primigenia per denunciare il nuovo pericolo che avanza dal Medio Oriente. La ristrutturazione è contrassegnata da tre elementi nuovi, assenti nella visione originaria e inseriti qui proprio all’inizio: la datazione al 1287, evidentemente fittizia, mirante ad avvalorare il messaggio profetico; la previsione della caduta di Tripoli, presentata come imminente, in verità già avvenuta al momento della stesura dell’oracolo («l’alto cedro del Libano sarà abbattuto e Tripoli sarà distrutta fra breve»); l’evocazione del pipistrello e delle api («il pipistrello sottometterà il signore delle api»). Poiché il testo richiama espressamente la presa di Tripoli (primavera 1289) e non quella di Acri (primavera 1291), ultima postazione dei crociati in Siria, se ne deduce che la visione fu allestita nell’intervallo fra le due.

Per spiegare il riferimento al pipistrello e alle api, Lerner da un lato rinvia ai nessi proposti da Gerolamo (pipistrello/tenebre/idoli), dall’altro mette in luce le caratteristiche positive tradizionalmente riconosciute alle api (verginità, ordine, operosità, produttività) ed elencate nel trattato Bonum universale de apibus del domenicano Tommaso di Cantimpré, opera composta a metà del Duecento. Testo di zoologia contenente insegnamenti pastorali e morali, è diviso in due libri. Il primo riguarda prerogative e doveri del prelatus, il secondo tratta delle proprietà delle api, in quanto specie animale il cui modello di organizzazione, gerarchica e solidale, è proposto come esemplare per gli uomini. (...)

Se, nell’opera di Tommaso, per signore delle api si intende il prelatus di una comunità, sembra logico che la Visione si riferisca propriamente al vescovo di Tripoli: dal 1286 il benedettino Bernardo. Di conseguenza, il pipistrello che lo sottometterà - o lo metterà in fuga - è identificabile nel conquistatore di Tripoli: Qalâ’ûn, sultano dei mamelucchi d’Egitto.

Arnaldo di Villanova (il più celebrato medico e docente di medicina del suo tempo oltre che collezionista e autore di testi profetici) rovescia il valore simbolico del pipistrello e lo trasforma nella figura di un sovrano messianico aragonese. (…)

A Roma, mentre tratta con successo le coliche renali di Bonifacio VIII, Arnaldo compone in pochi mesi nella residenza di Sgurgola il De mysterio cymbalorum ecclesie (1301) . Al suo interno si trova inserito un breve testo a sé stante, il Ve mundo in centum annis... che passa in rassegna una serie di territori prevalentemente lacerati da conflitti, a partire dalla Siria. Procedendo in senso antiorario, muove di là e arriva fino alla Spagna. Il procedimento è quello consueto degli oracoli profetici e sibillini: si accredita come composto prima del 1289 (l’abbandono della Siria da parte dei cristiani è il primo evento “previsto”), in realtà è del 1301. Così eventi nel frattempo già accaduti sono allusivamente presentati come futuri. (…)

Il debito nei confronti della Visione Tripolitana è evidente, ma il significato simbolico degli animali è cambiato. Se per un evento avvenuto in Medio Oriente era logico che il vespertilio designasse un malvagio sultano d’Egitto, nell’opera del catalano Arnaldo la terra del sole al tramonto è la sua Spagna. L’identificazione si chiarisce nella parte conclusiva del Ve mundo. Vi si legge che il pipistrello divora scinifes, non api. Come spiega Isidoro di Siviglia, si tratta di una specie di mosche piccolissime, dotate di fastidiosi pungiglioni. Il termine viene dalla Vulgata: gli scinifes sono responsabili della quarta delle piaghe prodotta da Mosè contro il Faraone (Es. 8,16-20). Già i primi lettori del Ve mundo ne colsero il valore simbolico: poiché “mosca” in catalano è mosca o mosquit, termine che fa immediatamente pensare a “moschea” (in catalano, mesquita), il riferimento è ai musulmani stanziati nella penisola iberica. E colui che è destinato a divorarli, sottomettendo anche l’Africa settentrionale e spingendosi fino in Egitto, è il re d’Aragona, Giacomo II. In quanto vespertilio Giacomo II è destinato a grandi imprese anche in Oriente.

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