martedì 24 gennaio 2012
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​Ormai da anni siamo obbligati a registrare il fenomeno dell’attualità-attualizzazione del medioevo: magari di un Medioevo da cinema, da televisione, da festa cittadina o paesana, da war games, da heroic fantasy, che irrita molti medievisti seri, quelli che insegnano all’università, mentre ne divertono o ne tentano alcuni altri, che intravedono la possibilità di conquistare allo studio severo del medioevo qualche giovane (ora che l’università è in calo) facendolo divertire o che, più banalmente, sono a loro volta in cerca di visibilità in questa società dell’immagine. Uno studioso che senza dubbio non ha bisogno di correre dietro alla notorietà, perché ne ha fin troppa, è Umberto Eco, che da molto tempo, soprattutto da quando dovette gestire il colossale successo di Il nome della rosa, si è posto il problema del rapporto tra il medioevo "vero" (quello della storia e della filologia) e quello a più livelli immaginato, rielaborato, ricostruito e sconvolto. Ora esce il suo volume conclusivo, dedicato a Il Medioevo e sintetizzante la grande opera in dieci volumi redatta sotto la sua guida per Encyclomedia. Eco, medievista e studioso di estetica medievale per formazione, è stato a lungo affascinato e lo è senza dubbio ancora, dalla vitalità di un medioevo che poco forse ha a che fare con quello reale, ma che comunque impazza nelle rievocazioni e nelle ricostruzioni di ogni genere, dalle più o meno velleitariamente "fedeli" a quelle scopertamente "fantastiche". Ma in fondo bisogna pur ammettere di essere ancora prigionieri, due secoli e più post eventa, dal micidiale duello tra illuminismo e romanticismo, tanto fondamentale per la contemporaneità. Già un grande studioso di alcuni anni or sono, aveva ricostruito questo scontro in un libro divenuto un "classico", La polemica sul Medioevo. Agli enciclopedisti e a Voltaire, che avevano condannato e ridicolizzato il medioevo era della superstizione, della violenza, della barbarie e del fanatismo, il romanticismo aperto da Novalis e da Chateaubriand aveva risposto col Medioevo europeo e cristiano della poesia e delle cattedrali, quel medioevo su cui, riferendosi alla storia italiana, è tornato recentissimamente a insistere Paolo Golinelli col suo Medioevo romantico. Poesie e miti all’origine della nostra identità (Mursia). Ma Tommaso di Carpegna Falconieri, guardando al presente, è andato oltre e, nel suo Medioevo militante. La politica di oggi alle prese con barbari e crociati (Einaudi), è partito dal gioco attualizzante del medioevo (quello delle molte sagre e rievocazioni che oggi fioriscono non solo in tutta Europa, ma nel mondo intero, dall’America all’Australia al Giappone, e alle quali il diffuso mensile Medioevo dedica regolarmente una ricca rubrica fissa dal titolo Medioevo oggi) per studiare, con particolari eruditi e finezza interpretativa, il fenomeno della politicizzazione di massa di un Medioevo preso a pretesto dalla demagogia politica in infinite occasioni: dal "giuramento leghista" di Pontida all’incitamento a "nuove crociate" in difesa dell’Occidente invaso dai "nuovi barbari", gli extracomunitari, fino alle risorgenti paure della fine del mondo. Rispetto alla medievistica, termine designato per indicare il complesso di materie di tipo storico, filosofico e filologico che studiano l’età tra V e XV secolo e convenzionalmente posta sotto la denominazione di "Medioevo" il fenomeno proposto dal di Carpegna Falconieri è il "medievalismo", che può non andar disgiunto da un serio impegno erudito oppure giungere a livelli di assurdità abbastanza divertente o irritante, ma che qua e là può addirittura turbare e preoccupare: come nel caso del serial killer Breivik e delle sue ossessioni templari le quali ci obbligano a domandarci se il diffuso associazionismo e le ossessive mode "neotemplaristiche" siano davvero innocui, e fino a che punto. Il "gioco del Medioevo" riconduce comunque, lo si voglia o no, al "vero" medioevo, quello che continua a essere oggetto di studio serio e impegnato, correlato a scuole precise e sostenuto da una ricerca metodologicamente condotta. Non si tratta necessariamente di materia per i soli addetti ai lavori. Chi è abituato a pensare al bislacco medievalismo che troppo spesso s’incontra in tv, con le sue improbabili connessioni tra fantascienza, ufologia e misteriosofia, deve tener presente che spesso la realtà storica supera la fantasia. In un libro straordinario, uno dei più belli e geniali che siano stati scritti nel Novecento, Le pietre che cantano, Marius Schneider ha studiato i capitelli del duecentesco chiostro di Sant Cugat del Vallès in Catalogna, dimostrando che ciascuno dei vari animali in essi scolpito ha un preciso valore in termini di scala musicale: il chiostro è un immenso spartito, che può esser letto, musicato e cantato. Qui la realtà supera di gran lunga la fantasia: ma si tratta di un’appassionante ricerca che richiede fatica e acquisizione di competenze, che non si esaurisce nella lettura di qualche libretto funambolesco acquistato in edicola. Ecco perché bisogna salutare davvero come un evento la pubblicazione di un’opera seria e prestigiosa, l’Atlante storico della musica nel medioevo, pubblicato dalla Jaca Book su un progetto editoriale di Vera Minazzi, con il contributo di F.A. Gallo. Pregio specifico di questa grande opera è l’avere contestualizzato la musica in un universo che mostra com’essa fosse strettamente collegata non solo alla filosofia, alla letteratura, alle scienze (a partire ovviamente dalla matematica) e alle arti (principale fra tutte l’architettura, essa stessa scienza a sua volta) del suo tempo, ma anche alla vita politica e sociale. La scoperta di Marius Schneider, ad esempio, da sola, vale molto di più di mille "misteri templari" evocati da sedicenti esperti, e fa capire come davvero ci siano più misteri nel nostro Medioevo, quello vero, di quanti non possano neanche immaginare quanti sono abituati a cercar di risolvere il mistero del Graal leggendo libretti new age.
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