martedì 28 agosto 2012
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Con e non per. Con l’Africa suona diverso: è insieme all’Africa che si costruisce il suo futuro, che si promuove e si tutela la vita, senza accenni paternalistici, rimasugli di colonialismo (almeno culturale, ma anche scientifico), sensi di colpa ovattati da una commerciale e impulsiva generosità in cui il capitalismo e il moralismo fanno, spesso, capolino. Il Cuamm di quel “con” ne ha fatto un progetto umanitario, diventando una delle più grandi organizzazioni italiane di volontari che opera oggi in sette paesi africani con lo scopo di rendere l’accesso ai servizi sanitari disponibile a tutti. Lo spiega bene don Dante Carraro, cardiologo e presidente, insieme al suo predecessore don Luigi Mazzucato, prima che le immagini del documentario Medici con l’Africa scritto e diretto da Carlo Mazzacurati e prodotto da Francesco Bonsembiante e Marina Zangirolami per Argonauti – presentato domani fuori concorso alla Mostra del Cinema di Venezia – ci porti laggiù, per fare tesoro di una serie di volti e parole che non dimentichi. Cappellino in testa, occhiali da sole, camicia bianca, discrezione e un sorriso, per il regista padovano nulla di più. «Alla vigilia, era talmente imprevedibile la mia reazione – ricorda – era qualche cosa di nuovo e un cambiamento profondo. Le persone che mi conoscono si dicevano davvero colpite da questa mia scelta. Sono partito con un sentimento di grande apertura. Ci sono vari modi di affrontare le situazioni. A volte c’è un modo che nasce dalla paura, uno si protegge, cercando di prevedere quello che succederà. C’è un altro modo, che è quello più rischioso, di accettare l’idea di mettersi in gioco e sapere che quello che arriva determinerà il risultato, più che determinarlo tu prima, cercando di orientare quello che succede». Medici che non lavorano per un guadagno, se non per quello che rende più ricca l’anima e la professione.Li vediamo nelle sale di un orfanotrofio a Maputo, nelle aule dell’Università Cattolica del Mozambico o nelle corsie dell’ospedale a Beira. Immagini e testimonianze accompagnati da musiche e suoni che fanno "sentire" l’Africa. «Proprio così, perché è stato un lavoro realizzato in modo rapido e impulsivo – confessa Mazzacurati – senza nessuna strategia né prima né durante le riprese. L’idea che ho seguito è stata quella di raccontare un mondo che non conoscevo man mano che lo scoprivo. Il film è la storia di un gruppo di persone che si occupa di portare salute in Africa e del loro modo un po’ speciale di farlo. È venuto fuori un ritratto collettivo dove ciascuna individualità è fondamentale, ma dove esiste uno spirito comune molto forte che fa convivere tenacia, capacità di sacrificio, con dolcezza e anche ironia. Influenzato da questo loro stile ho cercato anch’io di fare un film “leggero” per quanto sia possibile su di una materia comunque drammatica come la questione della salute nell’Africa sub-Sahariana».La conosce molto bene, questa materia, Claudio Beltramello, medico Cuamm fin dai tempi dell’università, che Mazzacurati ha scritturato prima come guida, poi anche come "attore". «Sono stato il coordinatore di tutti i progetti e i medici del Cuamm in Mozambico per tre anni, dal 2004 al 2006, e quindi conosco bene il paese e la lingua. All’inizio dovevo soltanto essere un traghettatore per spiegare un mondo che nessuno di loro aveva mai visto da vicino. Ma Carlo mi ha chiesto di intervenire direttamente e così mi sono ritrovato davanti alla telecamera». Lui ci si è abituato subito, ma non deve essere stato facile convincere i bambini, i malati, il personale sanitario locale a fare altrettanto. «In altri paesi sarebbe stato difficile, se non impossibile – precisa – ma in Mozambico, una volta che hai un minimo di relazione con le persone, accettano facilmente di essere fotografate o riprese. Carlo e Luca Bigazzi, il direttore della fotografia, hanno un modo di lavorare talmente discreto, una capacità immediata di cogliere i momenti essenziali, che non abbiamo mai disturbato o imposto la nostra presenza.Con i malati è stata preziosa la collaborazione dei medici del Cuamm direttamente coinvolti nelle strutture, che hanno spiegato ai loro pazienti il senso del progetto. Non si sono mai rubate immagini, abbiamo sempre rispettato in pieno la privacy e la volontà delle persone filmate». Nel film emerge anche la caratteristica del medico Cuamm. «Ci convivono – prosegue – persone profondamente credenti e dichiaratamente atee, ma tra noi c’è una comune prospettiva valoriale sulla persona che viene prima di tutto, si trasforma in un lavoro tecnico molto approfondito alle cui spalle c’è una formazione completa, e non degenera mai in buonismo. Per questo gli approcci sono molto diversi, come si vede nel film. Qualcuno ci ha provato a chiamarci "cuammini", ma non dura, perché presuppone una omologazione di pensiero che da noi non c’è».
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