giovedì 30 gennaio 2014
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Il 2014 è l’anno della mazurka. O forse è meglio dire quello delle danze po­polari. Non si sa bene se sia frutto di una moda passeggera o di una presa di coscienza dei valori della tradizio­ne, fatto sta che a Bologna sta diven­tando una vera e propria febbre, e non solo del sabato. Tutti i martedì sera cento­cinquanta ragazzi, alle volte di più, si riuni­scono nella grande sala del centro sociale Là­bas, in pieno centro storico. Il passaparola corre veloce sui social network e alle nove si comincia. La squadra di maestri è giovanis­sima, ma autoritaria. Si parte con il valzer, lo scottish, la chapeloise, tutte danze popolari che hanno antenati in Francia, in Irlanda e in Inghilterra. E infine la temuta e amata ma­zurka, il ballo degli abbracci, tanto bello da ve­dere quanto da danzare. Il gruppo 'Giovani danzatori bolognesi' è nato a febbraio del­l’anno scorso, quasi per caso. «Ci siamo in­contrati a una serata di danze popolari in pro­vincia di Bologna, una di quelle in cui l’età media è di cinquant’anni quando va bene - scherza Va­lentina, classe ’93, studentes­sa universitaria - . Eravamo in quattro o cinque quella sera e ci siamo chiesti perché mai, in una città viva come Bolo­gna, non ci dovessero essere più giovani a voler ballare queste danze tradizionali». Nel capoluogo emiliano i gruppi di danze 'folk' sono cinque, composti da ballerini esperti «per lo più con la puz­za sotto il naso quando si par­la di giovani che vogliono im­parare, perché siamo troppo chiassosi» continua. E così è partita l’iniziativa: «Prima e­ravamo appena una ventina ­spiega - poi, da settembre di quest’anno, la cosa è diventa­ta virale». Tra le fila di appassionati c’è un po’ di tutto: matricole al primo anno, pensionati pieni di buona volontà, hippie a piedi scalzi, profes­sionisti in camicia. Presi dalla curiosità, han­no fatto capolino anche i vecchi ballerini, quelli esperti, che non volevano credere alle loro orecchie. «Quando mi hanno chiamato i ragazzi per tenere qualche lezione mi a­spettavo di vedere un gruppetto di una qua­rantina di persone - spiega Umberto Bonfà, maestro della Polisportiva Masi di Casalec­chio di Reno - . Me ne sono trovato davanti centocinquanta, motivatissimi, con un sac­co di voglia di imparare. Mi sono quasi emo­zionato. Se non è questo un esempio bello e semplice di scambio generazionale».Come Umberto, tanti altri artisti sono venuti al Là­bas a prestare la loro esperienza, a titolo ri­gorosamente gratuito. C’è Stefano Tomme­sani di Monte San Pietro, che con il suo vio­lino e la sua band ha fatto ballare per una not­te intera i giovani danzatori o Maria Grazia e Nicola dei 'Piment Trio' di Budrio. «Forse è solo un fenomeno passeggero - si interroga Lorenzo, capelli lunghi, cipiglio da esperto -. Certo però che è interessante».Lui la storia la conosce tutta perché le danze gli hanno cam­biato la vita. «Ho cominciato a ballare il folk nel 2008, e non ho più smesso - racconta - . Mi sono innamorato dei movimenti, delle sono­rità, degli strumenti. E mi sono accorto che, dopo la generazione di persone che oggi han­no sessant’anni, questa tradizione è comple­tamente sparita, più o meno in tutta Italia. Solo nel 2008, complice forse anche Face­book che accorcia le distanze, qual­cosa ha cominciato a muoversi prima a Milano, poi a Torino. Nel frattempo si era già sve­gliata la Romagna insieme al sud Italia». Lorenzo fa riferi­mento alle ma­zurke clandestine. Nessuno sa come siano nate. Si sa so­lo che all’improvvi­so centinaia di persone provenienti da tutta Italia si trovano in una piazza battezzata di volta in volta nei diversi capoluoghi, porta­no bevande calde, tirano fuori gli strumenti e un amplificatore e comin­ciano a ballare. Atti­rano curiosi e passanti senza l’aiuto di nessuna pubblicità. Danzano abbracciati fino all’alba e poi se ne vanno da dove sono venuti. A Bologna è sta­to Fabrizio il primo ad accendere un ampli­ficatore in piazza Minghetti e ad aspettare di vedere quello che succedeva. «A Natale da­vanti a San Petronio eravamo talmente tan­ti che non stavamo nel Crescentone - si ri­corda -». «Io ci sono capitato per caso - rac­conta Tommaso, della parrocchia di Sant’An­tonio di Savena, appena laureato - . Quando posso ci torno più che volentieri». «Noi in­vece siamo qui perché ci ha mandato il par­roco di San Giuseppe - spiegano Isabella e Anna, anziane sorelle ballerine - . L’entusia­smo di questi ragazzi è una bellissima pa­rentesi in questo periodo da incubo». Ma poi perché, tra i tanti balli, compresi quel­li che i 'Giovani danzatori' a Bologna inse­gnano, gratuitamente, tutti i martedì sera, questa passione viscerale per la mazurka? «Secondo me perché è il ballo della nostra ge­nerazione - ha pochi dubbi Lorenzo - . La ma­zurka è il ballo più romantico che c’è e an­che il più affettuoso. L’incertezza economi­ca e sociale che tutti noi viviamo ha portato anche un’instabilità affettiva non da poco. La mazurka ti fa tornare a sentire più uma­no ». A Bologna intanto il passaparola ha por­tato anche gli Erasmus dalla Germania, dal­l’Olanda, dalla Francia. C’è qualcuno dal­l’Afghanistan e qualcuno dall’India. Il cer­chio diventa più grande e si aspetta il pros­simo giro di danze. 
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