martedì 26 dicembre 2023
L'attore al Manzoni di Milano con "Dove eravamo rimasti". «Assieme a Tullio Solenghi riprendiamo il filo interrotto con gli show nei teatri. Nel nostro stile, tra sketch, musica e un ricordo di Anna»
Tullio Solenghi e Massimo Lopez nel duetto Mattarella-Bergoglio, in "Dove eravamo rimasti", al Manzoni di Milano

Tullio Solenghi e Massimo Lopez nel duetto Mattarella-Bergoglio, in "Dove eravamo rimasti", al Manzoni di Milano - Teatro Manzoni

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Nessun altro attore imita i papi come Massimo Lopez. Li fa tutti, da Roncalli a Bergoglio: uguali nella voce, nei gesti, nelle camminate. Ma lui non li “mostrifica” mai perché è capace di far ridere senza usare volgarità: la sua è una vis comica sempre garbata, rispettosa del pubblico e delle “vittime designate” che, anzi, sa rendere più simpatiche, si tratti di pontefici, politici o personaggi del mondo dello spettacolo. Come sa fare anche il suo compagno di palcoscenico Tullio Solenghi. «Ormai mi sono specializzato in papi – commenta Lopez –, imito volentieri Wojtyla e di san Giovanni XXIII conosco a memoria il discorso della Luna, quello delle carezze ai vostri bambini…». Lui si diverte e alla gente piace.

«Quando fu eletto Ratzinger, il 19 aprile del 2005 – racconta – ero tra i fedeli in piazza San Pietro e aspettavo che il nuovo Santo Padre uscisse sul balcone della loggia per la tradizionale benedizione. A un certo punto mi si avvicinò un alto prelato e mi domandò: “Ma lei è qui per studiare, vero”? Un’altra volta mi trovavo nella basilica vaticana per la cerimonia della candelora, celebrava san Giovanni Paolo II, malato e in avanzata età, parlava a fatica: ero seduto in un banco della seconda fila quando arrivò un cardinale che scherzosamente mi disse: “Che piacere vederla qui, il Santo Padre è stanco, perché non finisce lei di leggere l’omelia?”».

Anche nel nuovo spettacolo scritto e interpretato con Tullio Solenghi, Dove eravamo rimasti (al Teatro Manzoni di Milano fino al 1° gennaio), Lopez veste l’abito bianco e parla con accento argentino…
Sì, c’è un gustoso duetto tra papa Francesco e Mattarella, imitato da Tullio… I testi sono nuovi, legati all’attualità. È uno spettacolo di arte varia.

Perché questo titolo, Dove eravamo rimasti?
Perché ci piace ricominciare, abbiamo voluto riprendere quel filo interrotto con gli spettatori dei teatri nel 2017, prima della pandemia. Lo show è nel nostro stile e segue una formula ormai collaudata dove si alternano sketch, musica dal vivo con la Jazz Company diretta da Gabriele Comeglio, canzoni, imitazioni. Ci sono anche un omaggio all’avanspettacolo, una lectio magistralis di Sgarbi sull’arte pittorica, un tributo a Renato Zero e un ricordo musicale di Anna Marchesini. E si improvvisa, come sempre.

Il grande pubblico la conosce come attore comico, soprattutto grazie al trio con Solenghi e la Marchesini, ma lei ha cominciato con i classici della drammaturgia, cose serie…
Il mio debutto sul palcoscenico risale al 1976, con la compagnia dello Stabile di Genova: Il fu Mattia Pascal di Pirandello, per la regia di Luigi Squarzina, con Giorgio Albertazzi e Lina Volonghi, i miei maestri. L’anno dopo ho fatto I due gemelli veneziani di Goldoni e poi L’anitra selvatica, un dramma di Ibsen, entrambi diretti da Luca Ronconi. Quindi sono arrivati il doppiaggio, la radio con il musical Helzappoppin, nel 1982, e tanta televisione col trio.

Quando ha deciso di fare l’attore?
Sin da bambino, quando andavo alle elementari dalle suore, fare l’attore è stato il mio unico sogno. Ma ero molto timido e mi dicevo “So che non ci riuscirò mai”. Mio fratello Giorgio morto un anno e mezzo fa ha fatto questo mestiere prima di me e mi ha stimolato. Anche nostra mamma sarebbe riuscita molto bene: a noi quattro fratelli sapeva raccontare storie bellissime.

Figlio di napoletani, lei è nato ad Ascoli Piceno ma fino a 11 anni, quando la sua famiglia per motivi di lavoro si è definitivamente trasferita a Roma, ha girato tutta l’Italia…
Già. Ho vissuto a lungo a Milano, ma anche a Foggia, Bari, Padova. Dopo il liceo nella capitale sono andato a Genova dove ho avuto un’audizione al Teatro Stabile. Lì è cominciata la mia carriera.

Come hanno influito tutti questi cambiamenti nel suo essere artista?
Girare di città in città per me ha significato ogni volta voglia di conoscere, ha stimolato la mia curiosità, la capacità di osservare la realtà e le persone, ho affinato l’orecchio. Ho imparato i dialetti. Posso dire che queste esperienze sono state alla base del mio lavoro.

Non solo attore comico e imitatore, Massimo Lopez è anche un doppiatore e un apprezzato cantante. Al Lincoln Center di New York ha mandato in visibilio il pubblico cantando brani di Frank Sinatra, “The Voice”… Quanto è importante la voce per lei?
È tutto per me, uno strumento di comunicazione. Da sempre ho la passione per il canto, qualcosa che viene dal cuore. Inoltre, amo relazionarmi con il pubblico, cantare e recitare in diretta, comunicare emozioni usando la voce mi viene facile.

Il suo sodalizio artistico con Tullio Solenghi dura da oltre trent’anni. Vi siete conosciuti in una sala di doppiaggio di cartoni animati, dove c’era anche Anna Marchesini…
Io e Tullio siamo molto uniti. C’è intesa tra noi, un’empatia rafforzata dall’esperienza vissuta insieme nel Trio. C’è soprattutto un’amicizia, che è un privilegio. Sul palcoscenico basta uno sguardo per capirci. Un rapporto così, poi, facilita anche la scrittura dei testi. Lo stesso accadeva anche con Anna.

Che rapporto ha lei con la fede? Crede in Dio?
A prescindere dal lavoro, per me la fede è fondamentale. Cerco di non farla minare da fattori esterni e devo combattere per questo perché la spiritualità è importante. Perciò dedico del tempo alla preghiera. In famiglia ho ricevuto un’educazione cattolica, ma poi ho seguito un mio percorso, dopo un episodio, che è stata una svolta nella mia vita…

Ce lo può raccontare?
Anni fa ero andato ad Assisi, da solo, volevo ammirare i dipinti di Giotto nella basilica e vedere i luoghi dove ha vissuto san Francesco. A un certo punto decisi di entrare per la prima volta nella Porziuncola, all’interno di Santa Maria degli Angeli. Non ero attirato granché dalle architetture del piccolo edificio... Ma quando ho visto quella casetta in pietra mi sono inginocchiato per pregare. È stato gesto istintivo. Non so ancora spiegarmi perché ma mi sono commosso fino alle lacrime, ho pianto come non mi era mai accaduto prima. Davvero un mistero. Dentro di me pensavo che, presi come siamo dalle mille cose quotidiane che ci distraggono, non abbiamo mai il tempo da dedicare alla nostra anima. Viviamo come se avessimo la testa appena fuori dall’acqua. Mi vide un fraticello che passava: “Che succede?”. Gli risposi: “Non lo so, padre”. “Beh, non sottovalutare questo momento” mi rispose. “Sai dove ti trovi? È il luogo del Perdono, dove il Poverello è vissuto seguendo il santo Vangelo e dove ha mandato i primi frati ad annunciare la pace”. Ecco, insomma, è come se avessi percepito questa misteriosa energia, questa presenza. Quell’episodio mi ha segnato e cerco di non scordarmelo mai.

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