martedì 4 maggio 2021
Il cantautore in streaming per l’Ospedale pediatrico Meyer di Firenze: «Suono anche per quei figli che avrei voluto. Ho diviso il pubblico e son stato osteggiato, ma ho sempre detto ciò che pensavo»
Il 56enne cantautore fiorentino Marco Masini: sarà in concerto in streaming il 9 maggio dal Teatro della Pergola

Il 56enne cantautore fiorentino Marco Masini: sarà in concerto in streaming il 9 maggio dal Teatro della Pergola - / Luisa Carcavale

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Dalla parte dei bambini, quelli che la pandemia l’hanno subita in silenzio soffocando il più istintivo anelito di libertà, per legge naturale a quell’età. Se l’ex sodale di tournée Umberto Tozzi un mese fa dalla sua acquisita Montecarlo aveva suonato in acustico a favore del proprio entourage artistico, Marco Masini lo farà a sostegno della Fondazione dell’Ospedale pediatrico Meyer della sua Firenze. Appuntamento domenica 9 maggio dal Teatro della Pergola, alle ore 21, in streaming sulla piattaforma Zeye Payperlive (biglietti in prevendita sul sito ufficiale di Masini). «Un’idea venuta considerando che la pandemia non ha portato soltanto una crisi economica, ma anche sociale – spiega il 56enne cantautore fiorentino –. E quelli che stanno forse sopportando le conseguenze maggiori sono i bambini e gli adolescenti. Questi ultimi perché mai come a 15 anni si ha necessità di vivere la propria libertà, i bambini invece perché hanno bisogno di particolare attenzione, soprattutto psicologica. Su tutti ci sono naturalmente quelli malati, che non devono essere lasciati soli e abbandonati. A questo riguardo il Meyer, al di là dell’aspetto strettamente curativo, è un ospedale che ha sempre sviluppato iniziative per fare anche sorridere i suoi piccoli ospiti, componente essenziale dell’approccio terapeutico. Iniziative che vanno aiutate e supportate.

Non è la prima volta per lei…

Avevo dato una mano alla Fondazione Meyer anche attraverso la nazionale cantanti. Comunque noi fiorentini siamo molto attenti a questa Fondazione, un fiore all’occhiello della mia città. Guardare ai bambini significa proiettare l’attenzione al futuro della nostra stessa società. E in questo la musica può rappresentare un messaggio ancora più universale.

Da dove le viene questa spiccata sensibilità verso l’infanzia?

Forse è anche legata al fatto che io non ho mai avuto bambini miei, è il desiderio non realizzato. E certamente a quasi 57 anni questo sogno è ormai un po’ tramontato. Quando l’effetto svanisce a maggior ragione cerchi allora di fare qualcosa per i bambini in generale. Io cerco di farlo attraverso ciò che mi riesce più facile, la musica. Oltre che con le partite della nazionale cantanti a favore di tante associazioni e fondazioni come, per esempio, qui a Firenze, la “Bacciotti” che segue e assiste bambini malati di tumore. La musica ha molte frequenze di sintonizzazione per arrivare a tutti con la sua forza e il suo peso sociale.

Dopo la musica il calcio, altra sua grande passione. Come ha vissuto la vicenda della Superlega?

Ho tirato un sospiro di sollievo per lo sventato attentato al calcio e all’immaginario dei bambini. Ma soprattutto è stato deludente assistere a questo colpo di mano, oltretutto sbagliando il momento oltre che la sostanza della questione. Sarà stato anche molto deprimente per queste società trovare così poco riscontro alla loro iniziativa, sia dalla politica che dallo stesso mondo del calcio, tifosi in testa. Quei dodici club hanno messo una mano nel nido dei calabroni. Una mossa quasi da dilettanti o forse da disperati per i troppi debiti accumulati. Alla faccia del fairplay finanziario. Ricordiamoci che la Fiorentina era fallita per 22 miliardi di vecchie lire. E con gli equivalenti 11 milioni oggi compreresti a malapena un terzino dalla serie B. Comunque, il calcio è di tutti e soprattutto dei ragazzi perché lo sport insegna che i sogni con l’impegno e la serietà sono realizzabili, non solo avendo i soldi. L’Atalanta è lì a dimostrarcelo, un esempio per le squadre meno ricche che riescono comunque a costruire un grande progetto. Ma ora sono contento anche per l’Inter, ho tanti amici interisti e credo che sarà l’inizio di un ciclo perché sono molto forti.

Tornando alla musica e a una sua vecchia canzone, se lei avesse un figlio ne vorrebbe fare “un piccolo Chopin”?

No, perché io credo che la musica si trasmetta soltanto con un gene, non educando o insegnandola. Se non c’è il gene non penso sia giusto obbligare a fare una scelta artistica che non nasce d’istinto, dal proprio Dna.

Come sarà il suo concerto di domenica sera?

Intimo ed elegante, magari con qualche sorpresa. Opterò per una dimensione acustica, anche se avevo in mente un mega spettacolo per i 30 anni di carriera, con un allestimento più tecnologico. Ma non si può fare e così abbiamo deciso di trovare questa veste più intima e calda in un teatro storico fiorentino.

Chi l’accompagnerà?

Saremo in tre più uno, che non è uno schema calcistico ma significa che io sarò con altri due musicisti, Massimiliano Agati alle percussioni e Cesare Chiodo alla chitarra e basso, e con un tecnico che oltre a suonare la chitarra si occuperà del computer e dell’ideazione sonora. Eseguirò alcuni miei successi e riproporrò brani dall’album Scimmie, uno disco sperimentale che poche volte ho suonato dal vivo.

Da qualche anno ha un look da vecchio saggio: è più per sé o per gli altri?

Mi piaccio un po’ più magro e con questa folta barba, mentre gli occhiali li devo mettere per forza se no non vedrei nemmeno il pianoforte davanti a me. La barba poi è anche una forma antistress: quando penso e rifletto me la pettino, me la giro, me la spettino. Rispecchia anche una mia filosofia acquisita negli anni, crescendo si cambiano tante visioni della vita. Aumentando l’età le opinioni si modificano anche più velocemente rispetto a prima. Si ha meno timore dei cambiamenti che non ci sembrano poi così rivoluzionari, forse perché con l’esperienza se ne ha meno paura. Poi a 57 anni il grosso della vita l’hai già affrontato, anche se io sono uno che pensa sempre che la vita cominci domani. Non mi sono mai perduto nella nostalgia, nel buco nero dei ricordi.

Ricanterebbe oggi il suo “Vaffa” di quasi trent’anni fa?

Delle canzoni che ho scritto, non rinnego niente. Ma oggi quella canzone non so se la scriverei, perché i toni sono sempre accesi e non c’è bisogno di dare ulteriore fuoco alle polveri. Troppi odiatori ovunque. Oggi semmai scriverei persino l’opposto perché questa pandemia ha contribuito a provocare ulteriori disastri dal punto di vista morale e degli ideali.

È riuscito in tutti questi anni di carriera a capire perché è sempre stato così divisivo: da una parte amato, dall’altra osteggiato?

Non lo so ancora. Il mio lavoro comunque è anche prendersi delle responsabilità e anche darsi delle colpe perché sicuramente ho scritto cose che sono piaciute e altre che non sono piaciute. È normale che quando un artista divide così tanto il pubblico è perché magari c’è una precisa filosofia di pensiero che viene sposata da alcuni e condannata da altri. Credo in ogni caso di avere scritto cose che definirei comunque precise. Così, se viene capita, o sei dentro o sei fuori, cioè condannato. Di questo io sono felice, ma riconosco che molte cose che sono successo nel mio percorso artistico sono frutto dei miei sbagli.

Qual è il perno della sua poetica musicale?

Ho sempre cercato di abbinare me agli altri e credo sia stato giusto, perché scrivere canzoni solo intimistiche o autobiogafiche è sintomo di egoismo. Alla fine chi sei per poterti o doverti raccontare e basta, senza andare a cercare situazioni in cui altri possano identificarsi? Quando in una canzone si racconta una storia deve essere riconoscibile da tanti. Poi è chiaro che per poterla raccontare bisogna averla vissuta o quantomeno immaginata, immedesimandosi. In ogni caso la devi fare tua. La caratteristica del mio modo di scrivere è stata semmai cercare me stesso attraverso gli altri e le loro storie. E allo stesso modo cercare gli altri attraverso me.

Come ha vissuto questa pandemia?

In questo periodo ho scritto un po’ di cose e non solo per me. Poi vedremo cosa ne uscirà, in questo momento è difficile fare programmazioni. Di scrivere non smetto mai, mi capita anche quando sono in macchina. Questi ultimi anni, non solo quello della pandemia, mi sono comunque serviti per fare ricerca, non solo esistenziale ma anche come musicista: io amo ascoltare e imparare soprattutto dai giovani. Ricerca e sperimentazione musicale sono il mio Dna.

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