domenica 7 aprile 2019
Maria Cristina Finucci porta a Milano per il Salone del Mobile le sue installazioni realizzate con tappi di bottiglia: «Sono un vero grido. Le isole di spazzatura negli oceani sono come uno Stato»
L’installazione “Help the Planet. Help the Humans” di Maria Cristina Finucci nel chiostro dell’Università degli Studi a Milano per la mostra “Human spaces”

L’installazione “Help the Planet. Help the Humans” di Maria Cristina Finucci nel chiostro dell’Università degli Studi a Milano per la mostra “Human spaces”

COMMENTA E CONDIVIDI

«Oggi uno Stato viene finalmente riconosciuto. Si alza il velo di ipocrisia che teneva nascosta questa realtà che nessuno voleva vedere... una Nazione composta pezzo per pezzo da qualcosa che ognuno di noi ha gettato via...». Lo Stato della spazzatura, lo Stato delle cose gettate «perché poco importanti», lo Stato che con la sua stessa presenza testimonia e denuncia il processo di autodistruzione del Pianeta messo in moto dall’umanità, in ogni singola persona.

Era l’11 aprile del 2013 e con quelle parole “costitutive”, nella sede parigina dell’Unesco, davanti al direttore generale Irene Bokova, nasceva una singolare realtà simbolico-artistico, il Garbage Patch State-Wasteland: uno Stato federale galleggiante, con una sua bandiera, una capitale, Garbaland, un’ambasciata presso il Maxxi di Roma, con territori in tutti gli oceani e una superficie totale di 16 milioni di chilometri quadrati (il secondo “Stato” per estensione, dopo la Russia). A pronunciare l’atto costitutivo l’ideatrice stessa dell’iniziativa, l’architetto e artista Maria Cristina Finucci, che negli anni, per rendere visibile e tangibile questa realtà (di cui è presidente e ambasciatrice) ha realizzato installazioni in tutto il mondo interamente costituite, ognuna, con cinque milioni di tappi di plastica.

Già nel quartier generale dell’Unesco, Finucci aveva reso il Garbage Patch State con una grande installazione di tappi in cui un enorme specchio faceva in modo che i visitatori venissero riflessi al suo interno con un singolare effetto di coinvolgimento. Da quel giorno l’iniziativa di Finucci ha fatto il giro del mondo ottenendo la collaborazione diretta di istituzioni universitarie. Sempre nel 2013, un’installazione a Ca’ Foscari trasferiva la denuncia nel bel mezzo della Biennale di Venezia. A febbraio 2014 sulla Gran Via a Madrid. Poi l’apertura della simbolica ambasciata al Maxxi e a settembre una nuova installazione nella sede dell’Onu a New York. Nel 2015 a Milano collateralmente all’Expo. A novembre dello stesso anno ancora a Parigi per il Cop21. Nel 2016 una grande scritta “Help”, il grido d’aiuto della terra, fatta di enormi cubi di tappi, illumina la notte sull’isola di Mozia. Quella stessa scritta si snoda a giugno 2018 fra gli scavi archeologici del Foro Romano per la giornata mondiale degli oceani. Due mesi prima il Garbage Patch State aveva simbolicamente firmato l’Agenda 2030 dell’Onu per lo sviluppo sostenibile. Domani alle 22 il grido di dolore del Pianeta si alzerà dal Cortile d’onore della Ca’ Granda di Milano, sede dell’Università degli Studi, come parte della mostra “Human spaces” in occasione del Salone del Mobile.

Come nasce questa tappa milanese?

Su richiesta della rivista “Interni” in collaborazione con One Ocean Foundation. L’idea è quella di manifestare il grido d’aiuto del Pianeta non solo a causa della plastica, ma per tutte le emergenze ambientali. Come si spiega con grande lucidità la Laudato si’, è il nostro modo di stare al mondo che deve essere cambiato e per far questo occorre mettere al centro non gli interessi personali, ma l’uomo nella sua integralità e nella sua esigenza di futuro.

Dal punto di vista artistico cambia qualcosa dai precedenti “Help”?

I tappi sono sempre collocati in piccoli sacchetti di rete rossa e poi all’interno di cubi di rete metallica sistemati in modo da comporre la scritta. La differenza dagli “Help” di Mozia e del Foro romano è che quelli rappresentavano ritrovamenti di un’antica civiltà fatti da un fantomatico archeologo del futuro giunto in astronave, questo “Help” di Ca’ Granda è invece una ferita della terra che sanguina plastica. Quando alle 22.30 si illuminerà sarà come una lava rosso sangue, che fuoriesce dal terreno. Contemporaneamente si sentirà il grido straziante della Terra e di tutti i suoi abitanti. Da qui il titolo dell’iniziativa Help the Planet. Help the humans.

Cinque milioni di tappi. Come sono stati raccolti?

Non si tratta di spazzatura, ma del frutto di un comportamento virtuoso di raccolta differenziata grazie all’impegno dell’Università Roma3 e della Caritas di Roma. Ogni tappo rappresenta oltre 3 chilometri quadrati del Garbage Pach State, ma anche il concetto che la plastica se riciclata è una risorsa. E questi tappi verranno riciclati.

Come è venuta l’idea dello Stato di spazzatura?

Sono rimasta colpita dalla grandezza di quegli agglomerati di plastica accumulati dalle correnti oceaniche. Cinque isole: una nel Nord Pacifico, una al largo del Cile, una nel bel mezzo del Nord Atlantico, una nell’Atlantico del Sud e una nell’Oceano Indiano. Un vero e proprio Stato federale la cui porzione più grande, nel Nord Pacifico, secondo dati dell’Onu misura 8 milioni di chilometri quadrati. Una cosa sconvolgente per la quale tutti siamo responsabili, ma nessuno se ne rende conto. Plastica che si degrada in microparticelle, viene mangiata dai pesci e inquina l’acqua. Così ho pensato che fosse necessario sensibilizzare l’opinione pubblica come artista, ma anche mettendo in moto le conoscenze diplomatiche che derivano dall’essere moglie di un ambasciatore.

C’entra qualcosa Italo Calvino?

Il nome Wasteland deve molto al poemetto The Waste Land, La terra desolata scritto nel 1922 da Thomas Stearns Eliot anche sull’onda delle tragedie della Grande guerra. Ma anche la consumista Leonia una delle Città invisibili di Calvino è una potente suggestione, simbolo di un’umanità travolta dai suoi scarti. Ma la plastica, ripeto, è un aspetto di un problema dai tanti volti: riscaldamento globale, inquinamento delle acque, disuguaglianze fra popoli, fame, guerre. In questo senso la Laudato si’ è una grande fonte ispirativa. Così nella prossima installazione userò plastica in piccola parte, con l’idea di mostrare fino a che punto ci ha condotti l’egoismo umano.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: